martedì 9 marzo 2010

Complessità del sé e distribuzione dello stress /1


Secondo la teoria di Patricia Linville (1987)[1], una maggiore complessità del sé costituisce una garanzia di più elevata capacità di sopportare e gestire gli eventi stressanti. L’ipotesi si basa sull’idea che la rappresentazione di sé da parte di un soggetto, ovvero su come il soggetto si vede, su come vede il suo ruolo nella sua vita, quanto più è complessa e diversificata tanto maggiori sono le possibilità di mantenerne degli aspetti attivi anche in seguito a eventi stressanti che ne compromettano uno o più di uno. Luigi Solano[2] riporta l’esempio di una donna che deve affrontare un divorzio. Se questa donna avesse, per esempio, una rappresentazione di sé come moglie e come avvocato, e se questi due aspetti fossero fortemente legati, in seguito al divorzio con l’andare in crisi della sua rappresentazione di moglie ne verrebbe compromessa anche quella di avvocato, con conseguenze negative sulla rappresentazione generale di sé.
Se invece questa donna avesse una rappresentazione di sé più complessa, ad esempio come moglie, avvocato, giocatrice di tennis e amica di diverse persone, e ognuno di questi aspetti avesse una certa autonomia rispetto agli altri (in pratica ne esistesse di ogni aspetto una rappresentazione indipendente e non vincolata o collegata agli altri, di modo che l’influenza positiva di un’autorappresentazione non ne condizionasse, con il suo carico di autorità, un altro), al venir meno di uno di questi, gli altri continuerebbero a esistere, compensando con un effetto buffer (tampone) il portato delle esperienze negative e stressanti.
Sembrerebbe di osservare, qui, l’effetto tipico di una rete distribuita, nella quale, anche se si elimina un nodo, rimane possibile  il collegamento tra tutti gli altri. La propria personalità come una rete che, a seconda di come è strutturata e di quanto è complessa, resiste ai traumi ambientali lasciando quasi completamente  intatta quella cosa che definiamo rappresentazione di sé.




Ma possiamo anche immaginare questa struttura agente per la coscienza primaria. Possiamo ipotizzare che la rappresentazione di sé di questa coscienza, che spesso è anche l’unica utilizzata da una grande quantità di organismi dotati di sistema nervoso, come l’insieme degli atti possibili, considerando tutti i possibili livelli in cui può accadere che un organismo abbia la ventura di incappare.  Penso, per esempio, al repertorio comportamentale di un qualsiasi animale non umano e a come egli abbia necessità di possedere un esercito di “rappresentazioni di sé” in relazione a tutte le situazioni in cui è obbligato a un atto motorio. Queste rappresentazioni possono ridursi a un numero più manovrabile se le accorpiamo, tanto strettamente da ridurle a un unico aspetto essenziale: possibilità di agire.
Noi possiamo agevolmente immaginare la personalità di un animale come una rete distribuita, in cui vi sia necessità di collegare i nodi che portano gli input a quelli che generano gli output. Come per il caso dell’autorappresentazione di sé degli umani, esiste una rete, la quale contiene al suo interno tutte le risposte possibili agli eventi che possono accadere al nostro soggetto animale. Questa rete la immagineremo distribuita con degli hub, cioè pochi nodi con un elevato numero di collegamenti, e molti altri nodi con pochi collegamenti. Gli hub rappresentano le scelte più utilizzate dall’organismo, i comportamenti ai quali ritorna più frequentemente. Ogni volta che la rete si dispone in uno stato che porta da uno o più ingressi a una o più uscite, l’organismo è. Quello stato è la coscienza primaria all’opera. Per essere però completa questa coscienza primaria ha bisogno di un ritorno sensoriale dei suoi atti, cioè non basta percepire, elaborare, agire, ma occorre anche che questo stato sia riconducibile a una unica entità, qual è un organismo in genere, considerato dal punto di vista, per esempio, dei suoi comportamenti (dico questo perché dal punto di vista della citoarchitettura l’organismo è qualcosa di piuttosto eterogeneo, rispetto alla presunta unicità della consapevolezza di sé).
Ecco che allora ritorna l’idea della complessità del sé: per la coscienza primaria la complessità del sé è un requisito fondamentale, perché concorre al mantenimento della consapevolezza di sé anche quando alcuni nodi della rete vengono meno.
(to be continued…)


[1] P.W.Linville, Self-complexity as a cognitive buffer  against stress-related-illness and depression, in Journal of Personality and Social Psycology, 52, p.663
[2] L. Solano, Tra mente e corpo, Raffaello Cortina Editore 2001.

10 commenti:

  1. Paopasc, traslocando su questa nicotina assai di classe, hai fatto in modo che i commentatori abbiano la possibilità di autoostacolarsi, prima di osare e scrivere degli immondi sfondoni a casa tua, che qui è tutto un Non è stato possibile elaborare eccetera. Ma c'è chi non demorde (Popinga ne sa qualcosa, che io gli ficco i commenti a tradimento quando dorme, e lui, misero e tapino, se li ritrova la mattina seguente prima di accendere il motorino). Così io compilo ottomila stringhe tutte errate, fino a che il tizio dei Templari si arrende lui.
    La molteplicità del sè non sta nel numero più o meno elevato delle componenti apparentemente multiple della vita di una persona. L'esempio del divorzio vissuto da una donna con più o meno interessi/relazioni non é calzante, secondo me. La reazione a un evento può non dipendere affatto dall'apparente complessità dell'agire di una vita nel suo quotidiano, proprio perchè il quotidiano è solo apparente e non dimostra alcuna "complessità del sè". I comportamentisti spesso confondono le analisi basate sull'osservazione dell'essere umano-sociale, con quello dell'essere umano biologico, creando confusione tra scienza e pseudo-psicologia. E con questo mi sono inimicata e verrò derisa nonchè sbugiardata da tutte le varie scuole di psicologia, ne sono consapevole, ma io sono una primitiva che pensa che ci debba essere una buona e solida preparazione medico scientifica, e successivamente, ma solo successivamente una pari preparazione neuropsichiatrica, filosofica eccetera. In pratica, non ho mai capito l'utilità degli psicologi, datosi che esistono i neuropsichiatri, e questo dimostra che ne avrei tanto bisogno, sia degli uni che degli altri, sicuramente, come sicuramente ne faccio a meno volentieri per codardia. Dimmelo subito se non ho capito un fico secco, Paopasc, perchè se dovessi mai scoprire che sei uno psicologo in erba, temo che cadrei vittima di una sorta di collasso cardiocircolatorio immoto e mediterei il suicidio telematico con degli emovimenti convulsi. A meno che tu non mi convinca che le mie non sono né opinioni, né teorie, ma soltanto pregiudizi, che allora me li terrei ben stretti, per quella faccenda dello spezzare l'atomo eccetera.
    Mi piace molto invece il discorso strettamente fisiologico sugli hub, sui nodi e sull'essere umano come organismo, che è la strada che segui tu, Paopasc, per poi inserirlo inevitabilmente in un contesto di "coscienza" successiva, secondaria e oltre.
    L'idea della personalità di un animale come una rete distributiva è bella e mi piace il tuo linguaggio quando entri nel vivo dei tuoi argomenti. Il tuo linguaggio scorre via veloce e musicale e il post diventa poesia di letteratura. Paopasc, mi sono mancate le tue frasi corrette, i periodi lunghi e pieni di subordinate, coi punti quasi inaspettati. E poi i periodi minimi, e qualche volta il grassetto. C'è sempre un climax coerente, un ossimoro: leggere te è come leggere un giallo a puntate, ma non nel senso di romanzo "di genere", nel senso di.... Simenon, ecco. Lucarelli, visto che sei modesto, vah. In pratica, anche se dissentissi da quello che sostieni (e non vedo come potrei, non avendo gli strumenti per ribattere ai tuoi studi), oppure non ne capissi un fico secco (che sarebbe assai più probabile), io ti leggerei lo stesso perchè mi piace come scrivi. Il dettaglio è che mi piace anche quello che dici, di solito, ma ammetto che è solo un dettaglio. Credo comunque di aver bene interpretato il concetto di stress/1, provocandotelo con codesto brevissimo e sagace commento intellettualissimo. Pappappero.
    B

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  2. Una delle cose che mi piacciono dei miei post sono...i tuoi commenti! uah uah!
    Considera B che però le asserzioni della Linville (e ne parlo la prossima volta) sono confermate da alcuni studi (pur con tutti i limiti dei lavori psicologici sulle "autovalutazioni"). Se tu intendi che una persona assertiva e con numerose attività e interessi reagirebbe come una facilmente plagiabile e con una vita monotona, forse non stai dicendo altro che la molteplicità rappresentazionale è in realtà (in quel caso) relativa, facendo capo a un'unica rappresentazione di sè.
    Se ci rifletti questo genere di rappresentazione della rappresentazione, cioè sul tipo della rete centralizzata, decentralizzata o distribuita, rende anche conto della capacità di resistere di ogni personalità agli eventi stressanti della vita.
    Sul ruolo della psicologia (tranquilla, non lo sono) concordo sul fatto che è utile e necessaria una base neurofisiologica, però il ruolo degli psicologi riguarda la capacità curativa della parola, che è una cosa alla quale credo, e penso anche tu.
    Simenon e Lucarelli dici? mi stanno bene entrambi!
    E adesso smetto che il tuo commento mi ha stressato un nodo della rete e mi tocca prendere ago e filo e ricucirlo, senò chissà quante buone idee mi scappano da quel buco.
    Pappappero.

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  3. La parola può essere consolatoria, o provocatoria, o noiosa, ma mai curativa, secondo me. Meglio un depresso muto e piangente come un salice estivo che un logorroico speranzoso che sta per risorgere a nuova vita, dopo anni di lettino o di semicerchio-confessionale. Spesso sono la stessa cosa, il depresso e il logorroico, adesso che ci penso, che sto per franare nel baratro della contraddizione... Io sono sempre moooolto allegra, che sprizzo come una spugna strizzata, parlo pochissimo, che sembro un'icona metafisica, e scrivo assai di rado, tutte cose tecniche e manualistiche: tanto per chiarire che mi faccio da capo nella mia unica rappresentazione di me.
    E' più facile plagiare uno che conduce un'esistenza frenetica e confusionaria, perchè combatte costantemente la monotonia vivendola come tale, piuttosto che uno che possiede certezze granitiche e non ci si sente per niente, monotono? La trottola è caleidoscopica, ma chi la muove? E poi Essa si arresta, accasciandosi di lato, mentre invece il palo aspetta paziente che qualcuno ci si arrampichi su, se vuole la cuccagna. Ti lascio a fare la moglie del pescatore che rattoppa le reti sulla banchisa con questo quesito stamane, Paopasc.
    B

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  4. No, no: guarda che io sto in una città di mare, e quelli che rattoppano le reti sono i pescatori, le mogli in cucina a preparare il brodetto!
    (ahi, siam freschi d'8 marzo...)
    Poi rispondo al tuo quesito, quesitina!

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  5. Ehi latitante,lo so che la sua ricerca a differenza della mia va avanti!
    Ciao

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  6. Mi dispiace contraddirti ma la parola è in tutto e per tutto un sostituto motorio e detiene quasi le stesse caratteristiche. Tra le quali anche quelle di modificare, instaurare, cancellare, alterare, euforizzare un tuo stato d'animo o d'altri. E non azzardarti a dire il contrario, che sai come una parola può far felice o infelice!
    Poi, da questo a essere terapeutica ce ne passa, te ne do atto.
    Quanto al tuo tentativo di rivoltare la frittata (cosa notoriamente complicata) ti faccio notare che confondi la moltitudine di rappresentazioni con la complessità: è inutile che fai mille cose, hai diecimila impegni, se la tua rappresentazione è un unico grumo. Il discrimine qui sta in questo: considerarsi bravi mariti, ottimi divulgatori, quasi genii, spericolati guidatori, valevoli arrampicatori (no sociali) esperti amanti, e così via, e a ognuna di queste rappresentazioni fa riferimento un sè quasi staccato dagli altri. Ora io ho messo giù tutte cose che possono essere facilmente ricondotte a un'unica rappresentazione e smontate da un solo inconveniente. Aggiungici però la consapevolezza di essere considerato non solo per il tuo valore intellettuale, ma anche per quello morale, per la tua sensibilità: se qualcuno ti dice, ma sei proprio un insensibile, hai sempre le altre cose cui tenerti. E poi io non lo voglio spiegare all'interno del sistema di riferimento delle relazioni sociali, ma come caratteristica delle diverse strutture di rete.

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  7. Carla
    diciamo piuttosto che va avanti e indietro...
    ahahahahaha
    e comunque io aspetto, son paziente!

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  8. Molto interessante il tuo post che condivido.

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  9. Grazie Stella, e non è finita qui (non è una minaccia! ahahahaha)

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  10. http://www.cartoline.it/pics/scherzia020.swf

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