domenica 13 giugno 2010

Logica, paradossi e intuizioni. (3° parte)


Ma l’intuizione, la logica ingenua, non sono sempre la migliore risposta agli eventi della vita. Matteo Motterlini (Motterlini 2008) ha scritto un interessante libro in cui si collezionano alcune di queste fallacie del pensiero intuitivo.
Per esempio, i tempi in cui questo pensiero intuitivo decide spesso sono molto brevi, dell’ordine dei trenta millesimi di secondo, lasso di tempo durante il quale non è possibile attivare la coscienza secondaria. È dunque alla coscienza primaria, quella motoria, che si deve l’intuizione e la decisione, in tempi così rapidi, necessari per rispondere adeguatamente all’ambiente ostile dal quale questo tipo di coscienza è stata formata.
Questo genere di decisioni si basa, come visto, su pochi elementi, a volte uno solo, che spesso è quello che ha il collegamento più macroscopico con l’evento in questione.
E così, in una scelta che riguarda i numeri, restiamo legati a cifre che non hanno attinenza con i fatti ma hanno la proprietà di essere stati detti, oppure ci concentriamo talmente su un particolare da lasciarci sfuggire un elemento dissonante, oppure utilizziamo metodi di giudizio diversi su di noi e sugli altri, oppure usiamo in maniera fallace i contesti in cui si verifica uno stesso fenomeno, oppure ci adeguiamo alle scelte collettive senza riflettere, oltre chiaramente a tutti gli errori di giudizio legati alla probabilità e la capacità di confabulare per arrampicarsi sugli specchi in seguito a scelte illogiche.
Questo cercheremo di vedere, in ordine sparso, nel prosieguo di questo articolo. Cominciamo.


L’ancora.

L’influenza  che certe informazioni hanno sulle nostre scelte future è ragguardevole, anche se queste informazioni non hanno niente a che fare con le nostre scelte. Kanheman e Tversky, nel loro classico lavoro (Tversky, Kanheman 1974) hanno sottoposto   dei soggetti a domande di cultura generale dopo aver fatto girare la ruota della fortuna. Per esempio, alla domanda “In quale percentuale i Paesi africani aderiscono alle Nazioni Unite?” (Motterlini 2008 p. 22) se prima della domanda veniva fatta girare la ruota della fortuna e usciva il 65, i soggetti rispondevano in media 45%, ma se usciva il 10 i soggetti rispondevano in media il 25%. Ma che valore predittivo può avere un numero casuale sulla risposta a una domanda specifica? Eppure i soggetti dell’esperimento dimostravano di tenerne conto, quasi come se la ruota fosse un punto di riferimento sul quale calcolare la risposta.
Ma questo non è forse quello che facciamo abitualmente quando non conosciamo qualcosa? Se per esempio incontriamo uno sconosciuto in ascensore, non ce ne facciamo un’idea sulla base del suo aspetto fisico? Non costruiamo cioè un insieme, seppure piccolo, di informazioni sulla base dell’aspetto, che è l’unica cosa alla quale possiamo ancorarci?
L’ancora è dunque il fast and frugal dell’euristica dell’intuizione, che si aggancia all’elemento più forte del raggruppamento di conoscenze riguardo a un fatto o un fenomeno. È come quando ci chiedono che azioni compreresti, quelle di una grande azienda molto conosciuta o quelle di una sconosciuta, scegliamo la maggior parte delle volte la prima, e non  sbagliamo. E così è anche per un giudizio sommario e immediato su una persona: valutiamo il suo viso, com’è vestito, se sorride o è serio e così via, e su questi pochi elementi tracciamo il nostro giudizio personale.
Ora, se questo è un meccanismo potente e scelto dalla selezione naturale, è da aspettarsi che agisca anche in quei frangenti dove non ci sono elementi per una scelta fast and frugal, veloce e semplice, perché, come nella domanda sopra, la richiesta riguarda assai poco il comparto emotivo e molto quello razionale: in quale percentuale i Paesi africani aderiscono alle Nazioni Unite? Ecco che, se non avessimo avuto nessun suggerimento, per quanto sbagliato, avremmo dovuto frenare l’intuizione, la quale non avrebbe avuto nessun retroterra dal quale pescare: nessuna conoscenza implicita che fungesse da serbatoio dal quale trarre d’acchito la risposta migliore.
Se invece questo contesto viene fornito, anche se sotto forma di un numero casuale ottenuto dalla rotazione di una ruota, improvvisamente abbiamo un contesto minimo sul quale operare una scelta, che in questo caso sembra essere un’euristica del tipo:
se il numero casuale è uguale o superiore a 50 scegli una percentuale inferiore a questo, tanto più, in proporzione, quanto più il numero è superiore a 50;
ma se il numero è inferiore a 50, scegli un numero superiore a questo, tanto più, in proporzione, quanto questo è inferiore a 50.
Ma perché, seppure inconsciamente, questo numero casuale ha un valore di ancoraggio?
Chiaro: per la logica intuitiva non esistono regole logiche formali e algoritmi, ma euristiche, cioè ricerche per prove e errori, come quando per dividere due numeri come 1793 diviso 199, in  mancanza di calcolatrice e carta e penna, ci accontentiamo di un risultato approssimato, approssimando 1793 a 1800 e 199 a 200.
Anche in questo caso, il numero della ruota funziona solo perché c’è e solo se non abbiamo idea della risposta e rispondiamo d’intuito. Il numero è dunque un’informazione, e la contemporaneità di rotazione e domanda è sufficiente per la nostra coscienza primaria per stabilire una connessione tra i due fatti: se non interviene la coscienza secondaria la coscienza primaria ha via libera (nell’eterna lotta tra le due).


Incorniciamento (framing).

Un esempio di questo effetto è dato dal classico bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Sher e McKenzie (Sher e McKenzie 2006) hanno provato a verificare se due bicchieri con esattamente la stessa quantità di liquido sarebbero stati giudicati indifferentemente mezzi pieni o mezzi vuoti. L’esperimento consisteva nel porre un bicchiere pieno e un bicchiere vuoto uno a fianco dell’altro su un tavolo e di chiedere di volta in volta al soggetto di versare metà del contenuto del bicchiere pieno in quello vuoto e poi di portare allo sperimentatore il bicchiere “mezzo vuoto”. I bicchieri erano numerati e così si è verificato che la maggior parte dei soggetti riportava quello che inizialmente era il bicchiere pieno, che era stato parzialmente versato  in quello vuoto su ordine dello sperimentatore. Questa diversa etichettatura dovuta al cambiamento di riferimenti della nuova situazione (il passaggio del bicchiere pieno a una situazione di svuotamento seppure parziale e inversamente il passaggio del bicchiere vuoto da una situazione di vuoto a una di riempimento, seppure sempre parziale) è quella che emerge da un altro classico esperimento dei soliti Tversky e Kanheman  (Tversky e Kanheman 1981).
L’esperimento riguarda una malattia definita asiatica che minaccerebbe la salute pubblica e potrebbe provocare la morte di 600 persone.
Vi sono però due possibilità:
a)     con una si salveranno sicuramente 200 persone;
b)     con l’altra si avrà una probabilità su tre di salvale tutte e due su tre di non salvarne nessuna.
Quale scegliereste? La maggior parte delle persone sceglie di salvarne sicuramente 200, l’opzione a).
I due psicologi però hanno previsto anche una versione alternativa dello stesso problema, ma che fornisce esattamente le stesse percentuali di salvezza e morte, anche se “mascherate”. Infatti, questa nuova versione, sempre rispetto alle 600 persone, prevede:
     c) l’intervento causa la morte di 400 persone;
     d) l’intervento ha due probabilità su tre di causare la morte di 600 persone e una probabilità su tre di salvarle tutte.
In questo caso la scelta si rivolge verso l’opzione d).
C’è da considerare che tutte e quattro le possibilità prevedono l’eguale numero di vite salvate e vite perse, però il differente effetto incorniciamento evidenzia, di volta in volta, l’effetto positivo del salvare 200 vite o l’effetto negativo di perderne 400.
Questo comportamento noi lo ritroviamo in tutte quelle situazioni in cui ci viene chiesto di confrontarci con vincite e perdite. E il risultato degli esperimenti è che noi proviamo avversione verso il rischio quando siamo in situazioni di vincita e invece proviamo propensione al rischio in quelle situazioni in cui ci troviamo in perdita.
Queste conclusioni di Tversky e Kanheman sono state dimostrate su base neurofisiologica in uno studio (De Martino et alii. 2006) che utilizzava la fMRI (Risonanza magnetica funzionale). Si è così osservato che nei soggetti che subivano l’effetto incorniciamento si attivava in maggior misura l’amigdala, un’area coinvolta nella gestione della paura, mentre in quei soggetti che rispondevano più razionalmente si attivava maggiormente la corteccia prefrontale, mediale e orbitale, che si occupa delle decisioni che implicano l’utilizzo di coerenza e razionalità.
In più, altri studi hanno dimostrato che è possibile eliminare l’effetto framing. Per esempio, l’uso del doppio incorniciamento (Bernstein et alii. 1999), cioè la presentazione in contemporanea di tutte le opzioni, come nell’esempio sopra a), b), c) e d)  rendeva non significativa la preferenza per una opzione o per l’altra, collocando le scelte su un piano di parità.
È la presenza, come nel caso dell’effetto àncora, di un riferimento orientato, cioè la presenza di una doppia opzione orientata o al “salvare” o al “sacrificare” a dirigere la preferenza empatica dei soggetti, che si attenua se tutte le varianti sono presentate insieme. Probabilmente un effetto simile, di neutralizzazione,  lo si potrebbe  osservare anche nel caso dell’ancoraggio, se la ruota fosse fatta girare due volte, con risultati pilotati, in modo da fornire due numeri, uno alto e uno basso, che si neutralizzino a vicenda.

Un’ultima considerazione. Credo però che anche un altro effetto si manifesti in questi esperimenti: la differenza di autorevolezza tra sperimentatori e soggetti dell’esperimento, fa si che di fronte alla richiesta di scegliere un’alternativa tra due opzioni, molto spesso il soggetto la interpreta come un obbligo a scegliere, a manifestare una decisione, a non mettere in discussione l’autorità degli sperimentatori iniziando a porre domande. L’aura di autorevolezza e ufficialità che circonda queste sperimentazioni dissuade dal discuterne le conclusioni, implicite nelle diverse opzioni, delimitando l’ambito di risposte a quelle previste dagli sperimentatori e solo a quelle.


Questo articolo e le prime due parti partecipano al Carnevale della matematica n. 26 che si tiene dal 14 giugno sul blog di Gianluigi Filippelli. Link diretto qui.







Bibliografia

L.M. Bernstein, G.B. Chapman, A.S. Elstein, Framing effect in choice between multioutcome life-expectancy lotteries, Medical Decision making, 1999, 19, pp. 324-338.

B. De Martino, D. Kumaran, B. Seymur, R.J. Dolan, Frames, biases and rational decision-making in the human brain, Science, 2006, 313, pp. 684-687.

M. Motterlini, Trappole mentali, Rizzoli 2008.

S. Sher, C.R.M. McKenzie, Information leakage from logically equivalent frames, Cognition, 2006, 101, pp. 467-494.

A. Tversky, D. Kanheman, Judgment  under uncertainty: heuristics and biases, Science, 1974, 185-211,  pp. 1124-1130.

A. Tversky, D. Kanheman, The framing of decisions and the psychology of choice, Science, 1981, 211, pp. 453-458

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