mercoledì 13 ottobre 2010

XVI. La questione della decisione #2

Ora, perché noi ugualmente abbiamo la sensazione di essere noi stessi anche quando abbiamo di fronte delle scelte multiple da compiere? Perché sappiamo di essere noi, anche quando dobbiamo decidere su cose poco emozionanti e magari anche di routine?
Non credo che solo l’emisfero destro sia in grado di conferire la caratteristica di seità ad un organismo perché altrimenti questo organismo fallirebbe nell’auto-riconoscimento in assenza di forti emozioni. Vi è anche una vita abitudinaria che noi portiamo avanti sapendo benissimo di essere noi stessi.
Il tema che voglio approfondire è la profondità della seità nelle differenti condizioni in cui può trovarsi un organismo.



Il Sé emozionante e il Sé abitudinario.

Se ci facciamo caso, noi non siamo sempre ugualmente noi stessi. Voglio dire che non abbiamo consapevolezza di noi come entità viva e in relazione dinamica con l’ambiente sempre allo stesso modo. Per convincersene basterà, in chi ne ha fatto esperienza, osservare il nostro Sé in un momento di depressione oppure in uno di euforia, per comprenderne la differenza. Differenza sì, ma nell’unitarietà.
In linea generale le persone sono di un umore oscillante in un ambito piuttosto ristretto tra disforia ed euforia, il che vuol dire che, di solito, non c’è così tanta differenza tra quando ci sentiamo giù e quando ci sentiamo su, in media.
Ma, ho come la sensazione che rispetto alla norma, noi ci “sentiamo” di più noi stessi in momenti carichi emotivamente. È infatti in quei momenti che la nostra seità, la nostra corporeità e fisicità e anche la nostra personalità emergono più fortemente.
È quando qualcuno ci aggredisce o ci desidera che sentiamo di essere maggiormente una entità rispetto, per esempio, a quando dormiamo, condizione nella quale potremmo essere chiunque.
Questa maggiore dimensionalità del Sé va abbinata, secondo me, a una diminuzione delle opzioni di scelta dell’individuo, che non sarebbero affatto le possibilità di adottare strategie qualsivoglia nell’ambiente ma il non mettersi in discussione come entità e di agire di conseguenza.
Fatta questa affermazione è come dire che se ne fa un’altra. Che sarebbe questa: durante la giornata dobbiamo prendere continuamente decisioni, magari anche senza accorgercene, e queste decisioni vengono prese all’interno di un considerevole numero di opzioni di scelta e, la maggior parte delle volte, l’emisfero sinistro ha vita facile nel decidere in base alla consuetudine. Queste decisioni sono indifferentemente distribuite in base a eventi locali ed eventi non locali: nel primo caso la forza dei circuiti di risposta è quasi uniforme e l’equilibrio è rotto appunto da fenomeni locali (me ne sto placidamente seduto su una panchina al parco a leggere  il mio quotidiano quando mi arriva una pallonata) mentre nel secondo caso è proprio la differente forza dei circuiti neurali che dispone alla diversità delle scelte (me ne sto placidamente seduto su una panchina al parco a leggere il mio quotidiano, ma siccome sono con mio figlio di due anni, sto costantemente all’erta, e infatti blocco la pallonata prima che arrivi alla destinazione sbagliata).
Chi è dunque quel mio me seduto su una panchina? È un tutt’uno tetragono e indivisibile oppure è una somma, una somma di piccoli Io?

La  mia ipotesi è che quell’Io che siede sulla panchina a leggere con il figlio è un insieme di micro-Io che compongono l’Io generale. Già la doppia possibilità linguistica ci fa essere due Io diversi contemporaneamente, senza che noi ne avvertiamo l’ambiguità (almeno quasi sempre). Infatti esiste un Io motori-corporeo ed esiste un Io verbale-simbolico ed è possibile percepirne la compresenza quando accadono eventi carichi dal punto di vista emotivo. In quel caso infatti il controllo passa all’Io motori-corporeo, per fronteggiare con maggiore velocità gli eventi. Per il resto del tempo l’Io generale è un continuo miscuglio dei due Io, senza che necessariamente uno dei due prenda il sopravvento, a meno che non si verifichino le condizioni delineate sopra, tra cui anche la presenza di circuiti neurali a differente forza.
Inoltre vi è da fare un’ulteriore considerazione, e cioè che tutto quello che contribuisce a superare lo scoglio dell’attivazione spontanea è inquadrabile come informazione e in definitiva come arricchimento.
È importante, quasi fondamentale, per un organismo possedere informazioni sull’ambiente, ivi compreso quello interno.
Ma quando le informazioni sono troppe l’effetto non è un aumento della velocità bensì una diminuzione. È una cosa interessante notare come sia troppo poche informazioni che troppe informazioni rappresentino un ostacolo alla presa di decisioni. È mia convinzione che solo ciò che ha una rappresentanza neurale esista per l’organismo, con l’aggiunta che una certa parte di questa rappresentanza diventa, improvvisamente, il punto di riferimento di tutte le informazioni successive. Può anche avvenire che una di queste informazioni successive “diventi” parte dell’Io.
In questo senso il compartimento emotivo si comporta come un sistema che sfronda i rami collaterali dei circuiti neurali imponendo una competizione ad alto livello di intensità: una forte emozione può essere contrastata da un’informazione altrettanto intensa. Non ci mettiamo a disquisire sulle differenza semantica tra motivo e motivazione se siamo inseguiti da un pitbull.
Un altro esempio per me importante è la constatazione che anche un discorso o uno scritto articolati cedono “comprensibilità” immediata a un discorso o uno scritto concisi. Se io dico “l’Io è qualcosa che non è messo in discussione” attiro magari l’attenzione di più che non se dico “l’Io è una struttura che si forma in seguito alla ripetizione competitiva di circuiti neurali che si consolidano a spese di circuiti concorrenti meno vincenti, e che finiscono per diventare circuiti non passibili di scelta, cioè non si può scegliere di essere un Io piuttosto che un altro perché questa è una proprietà esterna alla struttura. L’Io dunque si forma in seguito alla prima delineazione di circuiti neurali non ad attivazione spontanea. In seguito si possono sommare circuiti a quelli già formati in un Io ma solo se il loro legame con quelli esistenti è non competitivo” forse ho detto più cose, ho spiegato meglio il mio punto di vista, ma sicuramente la versione breve è più incisiva.
Questo è per me un chiaro esempio della preferenza per la compattezza dei sistemi neurali che collassano in un Io, ma la compattezza è solo il risultato di una prolissità, non può esserne causa.
L’Io è qualcosa che non è messo in discussione è valida anche in presenza di atteggiamenti distruttivi verso se stessi?
(continua...)

9 commenti:

  1. weeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee sallllve dal destrutturato mentale pao come buttation?

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  2. L’Io è qualcosa che non è messo in discussione è valida anche in presenza di atteggiamenti distruttivi verso se stessi?

    Paopasc, il primo commento è il tuo Io distruttivo, secondo me.
    E' tutta la mesata che non mi ci raccapezzo, nel tuo Io: da nicotina, a azzurro onda a bianco lancinante.
    Tra parentesi tonda, a me piaceva la definizione lunga, quella corta no. E ti assicuro che di compattezza ne ho tanta, a forma di buccia di melograno, e che collasso ogni volta che finisco le sigarette.
    Comunque, se fosse vera la tua premessa, la risposta è sì. L'Io Indiscutibile decide anche la propria fine, sceglie l'arma e la location, ma vuole un pubblico. L'autodistruttività è sempre nel Mondo, tra Io Indiscutibili che sperano di cozzare tra di loro, prima o poi. Lo vuoi un bel bernoccolo, datosì che sono tutto un osso? Eh?
    Vai avanti dai, che sono curiosa.

    B

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  3. Ciao, Pa.

    Mi ha colpito questa tua affermazione: La mia ipotesi è che quell’Io che siede sulla panchina a leggere con il figlio è un insieme di micro-Io che compongono l’Io generale.

    Mi sono allora venuti in mente gli studi di Gardner sulle IM (intelligenze multiple). Come risaputo, Gardner ha teorizzato, a seguito di indagini sperimentali condotte su migliaia di soggetti, che non esista un'intelligenza unica e monolitica bensì delle intelligenze diversificate. Tali intelligenze sono da interpretarsi come potenziali biologici che possono attualizzarsi in un ambiente adeguato.

    Mi chiedo se c'è relazione, ed in quale misura, tra la tua ipotesi e le IM di Gardner.

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  4. weeeeeeeeeeeeee

    you can't need no more big pizzaaaaa

    you don't live always panizzaaaaaa

    you can dream coca an alabanaaaaaaa

    you can travel to copcabanaaaaaa

    ahahahaahaaahhahaah

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  5. Caro Paolo,
    io leggo i tuoi post, perchè hai ragionamenti profondi che io non conosco,ma poi nella tua profondità mi annego. Io, tanti io, non è la stessa cosa di uno e molti?Io è formato dal tutto o no? Io oltre alla base non è formato anche da tutte le nostre senzazioni, emozioni,esperienze ecc. ecc?
    ^_^ comunque ero passata per salutarti e dirti buona settimana.

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  6. Il dramma per me è tutto qui: nella coscienza che ho che ciascuno di noi si
    crede “uno” ma non è vero: è “tanti” – signore – “tanti”, secondo tutte le
    possibilità d’essere che sono in noi”.(Luigi Pirandello, Sei personaggi in cerca
    d’autore, I Atto).
    Scusami,Paopasc!Probabilmente non c'entra nulla, ma, non so perchè, anche queste tue profondissime considerazioni, che mi sento di condividere, mi evocano Pirandello.
    Un caro saluto,
    maria I.

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  7. Ero convinto di averlo postato questa mattina, ma ora mi accorgo che non c'è il mio intervento.
    È questo:

    É una battuta, ma non so fino a quanto. È Maria che mi ha portato a riflettere su ciò che ha detto e che si rivela pertinente se posto in relazione alla parola. Ha detto:
    « Il dramma per me è tutto qui: nella coscienza che ho che ciascuno di noi si
    crede "uno" ma non è vero: è "tanti" – signore – "tanti", secondo tutte le
    possibilità d’essere che sono in noi" ».(Luigi Pirandello, Sei personaggi in cerca
    d’autore, I Atto).
    E poi:
    Scusami,Paopasc! Probabilmente non c'entra nulla, ma, non so perché, anche queste tue profondissime considerazioni, che mi sento di condividere, mi evocano Pirandello.
    Si tratta della confusione ingenerata dalla parola?
    Infatti seguendo Pirandello sulla questione della parola, egli così si esprime sulla lingua italiana: « Dire che la lingua italiana l’abbia fatta Dante levando il parlar fiorentino a dignità di lingua è così grande errore come affermare che la lingua tedesca l’abbia fatta Lutero traducendo la Bibbia nella lingua della Sassonia. »
    L'italiano, uno dei "tanti" in cerca d'autore"! Forse anche l'Io, sul quale si fanno tanti ragionamenti, è uno dei "tanti" in cerca d'autore"... ma non lo trova, ahimé!

    O forse è Leopardi che ci suggerisce come interloquire con "lui".
    « Silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura ». Il silenzio della natura è immensamente più potente di quello umano, ma, al contrario di quest’ultimo, non fa paura. Rappresenta la pace, la serenità. È grazie ad esso che Leopardi si sente parte dell’universo.

    Il poeta si lascia prendere dall’assenza di suoni, si abbandona ad essa e ne è catturato. In questo modo riesce a diventare tutt’uno con la natura e, in questa condizione di calma, arriva a trovare una riconciliazione con se stesso... con l'Io.

    Ma quest'Io non conoscendo la lingua è come un somaro che è capace solo di ragliare facendo Iò...Iò

    Maria che ne pensi, sei con Pirandello?

    Ciao a tutti,
    Gaetano

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  8. Caro Gaetano! Come faccio a tradire un mio amore di sempre, l'adorato Giacomo!...E allora sto con lui ...e penso a Pirandello!!!
    Un abbraccio,
    maria I.

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