sabato 15 ottobre 2011

Equità ed altruismo in bambini di 15 mesi

credit greatergood.berkeley.edu
Michael Tomasello è convinto che l'altruismo sia una caratteristica innata negli umani, contrariamente a quello che accade negli scimpanzè o in altri primati non umani. A dar manforte  questa tesi vi è questo lavoro pubblicato su Plos One [Schmidt and Sommerville 2011] che ha studiato il comportamento altruistico e il senso di equità e giustizia in soggetti di 15 mesi di età. In genere si riteneva che la manifestazione dei primi comportamenti altruistici si verificasse durante l'infanzia; gli autori di questo lavoro invece pensano di aver dimostrato che questo atteggiamento è rilevabile già a poco più di un anno dalla nascita. Fondamentalmente due gli aspetti investigati dagli studiosi: la sensibilità all'equità e la volontà di condividere. Uno dei pochi sistemi di verifica utilizzabili con soggetti di questa età è il paradigma VOE, violation-of-expectation cioè paradigma della violazione dell'aspettativa e l'osservazione del comportamento esplicito in compiti di condivisione. 

Equità.
Il paradigma VOE utilizzato in questo lavoro consisteva nel far vedere ai bambini due filmati: in uno l'attore versava del latte e in un altro distribuiva dei cracker; il momento in cui versava o distribuiva era mascherato da uno schermo nero. La fase di test presentava due quadri: D con una distribuzione equa dei crackers o del latte in un contesto sociale (presenza di altri attori) ed E con una distribuzione non equa dei crackers o del latte, sempre in un contesto sociale. La medesima distribuzione di crackers e latte veniva offerta anche in assenza di contesto sociale  F-G (vedi Fig. 1)

Fig. 1 credit plos one
Il risultato dell'esperimento è stato che i bambini hanno osservato per un tempo del 15% superiore il quadro E (test) nel quale la distribuzione di crackers o latte non era  equa rispetto a quella in cui era equa, all'interno del contesto sociale, mentre quando la distribuzione non equa avveniva in assenza di contesto sociale G (post-test) non vi era differenza di tempo di fissazione, a dimostrazione, forse, che è proprio il contesto sociale in cui avviene la distribuzione iniqua, quello che viola l'aspettativa di equità dei bambini (Fig. 2). Vi era anche assoluta uguaglianza di risultati indipendentemente dal fatto che si usassero crackers o latte.

Fig. 2 credit plos one
Altruismo.
L'esperimento sull'altruismo vedeva la presenza di due attori, uno familiare e l'altro non familiare. Al bambino veniva chiesto di scegliere uno di due giocattoli posti sopra un tavolo. Una volta preso il giocattolo, l'attore familiare consegnava al bambino anche l'altro giocattolo. A questo punto interveniva l'attore non familiare che cominciava a chiedere con insistenza un giocattolo. Quale giocattolo avrebbero regalato i bambini? Dei 26 bambini che condivisero un giocattolo, 12 condivisero il giocattolo preferito (32%, condivisori altruisti), 14 diedero il giocattolo non preferito (37%, condivisori egoisti) mentre 12 (32%) non condivisero affatto.

Fig. 3 credit plos one


Allo scopo di verificare se vi era correlazione tra aspettativa di equità e altruismo, i dati sono stati sottoposti ad analisi. Si sono confrontati condivisori altruisti e condivisori egoisti con il tempo di fissazione del test VOE. E i risultati, riassunti nella Fig. 4, sono stati estremamente significativi: il 92% dei condivisori altruisti aveva guardato più a lungo il quadro con la distribuzione iniqua dell'esperimento dei crackers, mentre i condivisori egoisti e i non condivisori avevano guardato più a lungo il quadro con la distribuzione equa.

Fig. 4 credit plos one


Il risultato era quindi una relazione tra condivisori altruisti e interesse morale a una distribuzione equa, che in questo caso era costituita dalla distribuzione dei crackers o del latte, mentre tra condivisori egoisti e non condivisori non vi era preferenza morale tra distribuzione equa o iniqua.
Sembrerebbe dunque che il senso della giustizia, il desiderio di imparzialità abbiano uno sviluppo precoce e siano presenti anche quando, obiettivamente, non sono ancora stati appresi, a significare che sono forse caratteristiche innate. C'è però da considerare che questo comportamento altruistico e improntato all'equità non è il più diffuso in assoluto: il comportamento più diffuso è quello di condivisore egoista. Comunque, la presenza di questi condivisori altruisti anche in così tenera età è un fatto che sembrerebbe accertato, ancora più rilevante se ci si aggiunge che la quasi totalità di questi altruisti ha implicazioni morali e rimane più colpito da una distribuzione iniqua di risorse che da una equa.


Schmidt MFH, Sommerville JA, 2011 Fairness Expectations and Altruistic Sharing in 15-Month-Old Human Infants. PLoS ONE 6(10): e23223.doi:10.1371/journal.pone.0023223

8 commenti:

  1. Mi sono accorto solo adesso che questo post potrebbe contenere il codice di aggregazione per researchblogging. Per farlo aggregare (ammesso e non concesso che abbia ragione, ma spero di averla!) devi fare il rescan del blog, perché purtroppo da tempo non fa più aggregazione automatica.

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  2. Tutto molto bello. Due osservazioni. 
    La prima riguarda il primo esperimento nel quale mi colpisce la variabile del contesto sociale. La presenza di una persona influisce sulla quantità di tempo d'osservazione del piatto iniquo. Credo che questa sia la variabile più interessante dal momento che non possiamo sapere quali siano i ragionamenti del bambino. Lo inferiamo successivamente. Non so quale sia il modello di fondo che conduce i ricercatori a decidere che si tratti di altruismo. Soffermarsi ad osservare il piatto più pieno rispetto all'altro potrebbe essere conseguenza di una discriminazione percettiva che il bambino opera alla stregua di una categorizzazione concettuale preponderante in questa fase di sviluppo. Quindi associazione discriminativa di tipo percettivo?
    La seconda osservazione è legata alla prima. In questa fase dello sviluppo (tra 12 e 18 mesi) il bambino comincia a manifestare comportamenti che sembrano rimandare a processi metacognitivi. Il bambino inizia a orientare la sua attenzione sull'attenzione dell'adulto piuttosto che sul contesto senso/percettivo. Mi chiedo che tipo di influenza abbia avuto la presenza sociale del terzo attore nell'esperimento. Non solo. La possibilità di poter sviluppare una teoria della mente dell'altro, consente un salto qualitativo del grado di auto-coscienza del bambino. Da qui mi viene da pensare che il gesto "altruistico" possa essere coerente con l'emergere di un sistema motivazionale interpersonale (Giovanni Liotti, Lichtenberg) cooperativo in cui l'altro è visto a pari merito piuttosto che in una posizione conflittuale o accudente (madre/estraneo) verso se stessi. 
    Insomma, il termine "altruistico", mi sembra concettualmente poco viabile nella ricerca psicologica e comparata. 

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  3. Grazie.
    L'avevo capito che altruismo non ti piaceva troppo come termine. Lo interpreto come fanno etologi e biologi e cioè in termini evoluzionistici. Per la natura non contano gli aspetti morali (cioè, è l'ipotesi meno difficile da sostenere, anche se...) per cui se l'altruismo favorisce il gruppo, e come conseguenza noi, allora sostituirà quello egoistico che o ci danneggia o ci favorisce in misura minore. Sul versante umano, dove pure la selezione naturale è molto più attenuata, certe caratteristiche innate (pensa al destino di uno scimpanzè solitario) come capacità di collaborare, empatia, altruismo (o come vuoi chiamarlo) sono in grado forse di consolidare le società degli uomini e consentire loro di ingrandirsi al di là di quello che è il loro limite naturale (sempre avendo come riferimento i primati). Che poi sia una caratteristica variabile, che non tutti la presentino e così via mi sembra perfettamente naturale. Che a questa caratteristica si debba molto a me pare più di una ipotesi, però il discorso è ancora aperto.Puntuale la tua osservazione sulla deduzione degli autori  in senso unicamente  altruistico di un differente tempo di osservazione. Il paradigma VOE a me sembra abbastanza consolidato: l'idea è appunto che la violazione, in questo caso, sia la diversa distribuzione rispetto a quella attesa.Questa diversa distribuzione sottende dunque una capacità di discriminare tra quantità diverse e, soprattutto, tra equità o iniquità della distribuzione. La tua ipotesi di discriminazione basata sulla quantità e non sul senso di equità però dovrebbe spiegare perchè quegli stessi soggetti che fissano più a lungo si comportano anche in maniera altruistica, mentre gli altri non lo fanno.Se vuoi spogliare di qualsiasi aspetto morale l'altruismo, potrei anche essere d'accordo. E'  sufficiente intenderlo come un comportamento che presenta una buona fitness e che quindi si mantiene.Però c'è l'aspetto metacognitivo. Mentre i nostri comportamenti, anche quelli complessi, sono molto influenzati dalle nostre caratteristiche innate (penso adesso ad egoismo e altruismo) la metacognizione può farci vedere mentre agiamo quei comportamenti. Che influenza ha, sui comportamenti stessi, questa metacognizione? Può comportarsi come un apprendimento proveniente dall' esperienza? E' l'altruismo, o, per estensione, la reciprocità del genere tit for tat, una delle caratteristiche basilari dello sviluppo di una società? La situazione delle diverse nazioni nel mondo certifica questa asserzione? 

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  4. Ho fatto come hai detto Gian. Vediamo. Pur essendomi iscritto non importo mai i miei post. Colpa mia.

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  5. Le tue risposte, a prescindere dalle mie riserve sulla parola "altruismo", sono puntuali e aperte ad ulteriori approfondimenti (magari destinati ad altri post...). Però, voglio sottolineare ancora una volta il "valore" che il bambino attribuisce sia nel primo e soprattutto nel secondo esperimento all'espressione facciale (l'attenzione ostentata) della presenza sociale: nel primo caso, la presenza familiare, nel secondo (se fosse la madre le spiegazioni prenderebbero una decisa sterzata a favore di variabili intervenienti non ben controllate. Puoi confermare se fosse un familiare?). 
    Ancora una volta il discorso diventa più intersoggettivo nella formazione del comportamento di condivisione. Inoltre, come osservavo nella seconda mia nota, la qualità di relazione che il bambino instaura con l'altro è strettamente connessa con la qualità della relazione innescata, cioè col grado di coscienza che il bambino è disposto a condividere con l'altro. Considerazioni connesse con la storia personale/familiare del bambino, che si incrociano infine con l'assetto etologico/genetico di base.

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  6. No, dovrebbe trattarsi di due sperimentatori, uno familiare e uno non familiare (così scrivono), perchè poi nelle note metodologiche  sullo sharing test scrivono (sugli osservatori che hanno guardato i filmati degli esperimenti)
    "The secondary observer coded which toy infants chose, whether infants shared a toy or not, which toy (preferred vs. non-preferred) infants handed the second unfamiliar experimenter (interobserver agreement: 100%). The secondary observer additionally coded subjects for behaviors indicative of stranger anxiety in the request phase (concerned/fearful facial expressions, avoiding looking at the requestor, crying, looks to the parent; interobserver agreement: 94%)."
    Per quanto mi riguarda, sicuro: continuerò a scrivere di altruismo (è una minaccia) e mi farà piacere confrontarmi con le tue idee. Però questa influenza del rapporto sperimentatore-bambino agisce là dove è presente qualcosa (altruismo?) che negli altri manca, altrimenti agirebbe su tutti. Se, come dicevamo, è solo una questione terminologica non ho una devozione assoluta a un termine, serve solo per capirsi. Se ben comprendo l'instaurarsi di una relazione di fiducia con lo sperimentatore familiare si comporta come agente liberatore, una sorta di eredità cooperativa-condivisiva che si sposta sul secondo sperimentatore, mediata da quegli aspetti che elencavi: storia personale, caratteristiche di temperamento, relazione con lo sperimentatore familiare.

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  7. OK, ma quella finezza di Tomasello: "The secondary observer additionally coded subjects for behaviors indicative of stranger anxiety in the request phase (concerned/fearful facial expressions, avoiding looking at the requestor, crying, looks to the parent), mi piace tanto (accidenti è scattato il grassetto e non so come disattivarlo, scusami!), perché mi pare congruente con le mie perplessità teoriche. Forse media le nostre posizioni. 

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  8. Già. Avevo dato un'occhiata veloce alle note metodologiche ma nel riguardarle ho visto quelle parole. E infatti pensavo: vedi che anche loro sono preoccupati dalle influenze esterne in soggetti così malleabili...

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