martedì 13 marzo 2012

Il Ministro degli Esteri riferisce in Senato sui marinai arrestati in India e sull'italiano ucciso in Nigeria. Testo completo

imagecredit bergamosera.com
Oggi alle 16:30 il Ministro degli Esteri Terzi di Sant'Agata ha riferito in Senato sulla vicenda dei due marinai italiani accusati di omicidio e arrestati in India e sull'italiano morto in Nigeria in seguito al blitz inglese. Ecco il resoconto stenografico in corso di seduta della sua audizione in Senato.





Informativa del Ministro degli affari esteri sull'uccisione di un cittadino italiano rapito in Nigeria e sull'arresto di due militari italiani in India (ore 16,39)
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca: «Informativa del Ministro degli affari esteri sull'uccisione di un cittadino italiano rapito in Nigeria e sull'arresto di due militari italiani in India».
Prima di dare la parola al Ministro degli affari esteri, desidero esprimere alla famiglia di Franco Lamolinara, tragicamente ucciso in Nigeria, i sentimenti di profondo cordoglio mio personale e dell'Assemblea.
In segno di lutto, invito i colleghi ad osservare un minuto di silenzio. (Il Presidente si leva in piedi e con lui tutta l'Assemblea, che osserva un minuto di silenzio. Applausi del senatore Gramazio).
Ha facoltà di parlare il ministro degli affari esteri, dottor Terzi di Sant'Agata.

TERZI DI SANT'AGATAministro degli affari esteri. Signor Presidente, onorevoli senatori, vorrei innanzi tutto rinnovare - come ha fatto lei, signor Presidente, e come l'Aula ha manifestato in quest'istante - il più profondo cordoglio mio personale e dell'intero Governo alla famiglia dell'ingegner Franco Lamolinara. (Il senatore Gramazio espone un cartello recante la scritta: «Salviamo i nostri marò»).
Ho voluto essere presente ieri alla cerimonia funebre per rendere l'estremo saluto al nostro connazionale barbaramente ucciso...
PRESIDENTE. Mi perdoni, signor Ministro, se la interrompo: innanzi tutto la saluto e invito poi i colleghi, ed il senatore Gramazio in particolare, a smetterla. Basta, grazie. (Il senatore Gramazio ritira il cartello).
TERZI DI SANT'AGATAministro degli affari esteri. Ho voluto essere presente ieri alla cerimonia funebre per rendere l'estremo saluto al nostro connazionale, barbaramente ucciso in Nigeria, per manifestare le condoglianze alla sua famiglia e testimoniare i forti sentimenti di solidarietà di tutto il Governo. Noi tutti siamo profondamente colpiti da questa tragedia. Una tragedia che ci ha messo davanti alla dura realtà, una realtà in cui migliaia di italiani sono esposti a grave minacce per il solo fatto di lavorare in regioni a rischio. Sono italiani coraggiosi e generosi, che fanno fronte al pericolo con alto senso di professionalità e con la loro opera contribuiscono al benessere delle loro famiglie e dell'Italia.
Franco Lamolinara non voleva essere un eroe, voleva solo fare il proprio lavoro: ma in alcune parti del mondo fare il proprio dovere è un atteggiamento eroico, che si può anche pagare con la vita. Franco Lamolinara era l'espressione della parte più dinamica della nostra società, quella che ci fa apprezzare e riconoscere ovunque per la nostra capacità di coniugare l'inventiva con l'efficacia delle soluzioni. E il signor Presidente della Repubblica ha giustamente sottolineato che Franco Lamolinara apparteneva a questa schiera di italiani che fanno onore al nostro Paese, portando in tutto il mondo il meglio della nostra creatività.
Sono convinto che i drammatici sviluppi di questa vicenda impongano al Governo l'esigenza di fare ogni chiarezza sugli eventi, sia precedenti che immediatamente successivi al brutale assassinio. Sono in corso gli approfondimenti per la parte di competenza dell'intelligence in COPASIR, dove ieri è stato audito il direttore dell'AISE, generale Santini, e domani interverranno il ministro della difesa, Di Paola, e il prefetto De Gennaro. C'è forte volontà del Governo, sotto la guida del Presidente del Consiglio, di procedere in totale trasparenza e nelle sedi opportune, condividendo con il Parlamento le informazioni di cui disponiamo.
Vorrei inoltre cogliere l'occasione di questa informativa per fare il punto su modalità, strutture e risorse con le quali il Ministero degli affari esteri contribuisce a prevenire e risolvere i casi di sequestro di connazionali.
La dolorosa vicenda di Franco Lamolinara è iniziata, signor Presidente, nella notte del 12 maggio 2011, quando l'ingegnere, dipendente della ditta italiana di costruzioni Stabilini, è stato sequestrato da un gruppo armato insieme a un suo collega inglese, Christopher McManus, mentre si trovavano nelle loro abitazioni nello Stato di Kebbi, nel Nord-Ovest della Nigeria, dove l'impresa italiana stava costruendo una filiale della Banca centrale di Nigeria.
Per tutta la durata del sequestro, l'unità di crisi del Ministero degli affari esteri ha mantenuto stretti contatti con la famiglia dell'ingegner Franco Lamolinara. Sono stati costanti le telefonate e molteplici gli incontri alla Farnesina e nel corso di tali incontri l'unità di crisi ha tenuto al corrente la famiglia dell'attività politico-diplomatica e delle informazioni che erano pervenute da parte degli organi investigativi.
Sin dalle prime fasi del sequestro, l'unità di crisi ha avviato contatti diretti con l'ambasciata del Regno Unito a Roma. E le competenti autorità italiane hanno mantenuto uno stretto coordinamento con quelle britanniche di sicurezza. Queste ultime hanno permesso, tra l'altro, di ottenere prove che i due ostaggi erano ancora in vita in queste ultime settimane, dato che si era potuto ottenere un video del 24 febbraio in cui entrambi gli ostaggi apparivano in buone condizioni.
Quanto alla tragica giornata di giovedì 8 marzo, vorrei fornire alcuni elementi di maggiore dettaglio. La comunicazione formale è pervenuta in occasione degli incontri che l'ambasciatore del Regno Unito, Prentice, ha avuto alle ore italiane 11,30 con il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Catricalà, e successivamente, alle 13,30, con il segretario generale della Farnesina, ambasciatore Massolo.
Come illustrerò più avanti, al momento dei due colloqui, l'ambasciatore Prentice sapeva che l'operazione era già stata decisa, che probabilmente era in corso, ma non era al corrente dei dettagli operativi. L'ambasciatore Prentice veniva informato dell'esito dell'operazione solo successivamente all'incontro con l'ambasciatore Massolo, con il quale riprende contatto a partire dalle 15,30, aggiornandolo e confermando il decesso, purtroppo, dei due ostaggi.
È intorno alle ore 16 che il primo ministro, Cameron, chiama il Presidente del Consiglio - con il quale mi trovavo a Belgrado per partecipare al vertice bilaterale con la Serbia - e nel corso della conversazione il primo ministro Cameron comunica al Presidente del Consiglio che l'operazione condotta dalle forze di sicurezza nigeriane, con il sostegno operativo di quelle britanniche, intesa a liberare gli ostaggi, si era purtroppo conclusa così tragicamente.
Nella stessa telefonata, il Premier britannico ha espresso profondo cordoglio per l'assassinio da parte dei sequestratori dell'ingegner Franco Lamolinara, rammaricandosi profondamente del drammatico esito dell'azione militare, decisa nella convinzione che quella fosse l'ultima possibilità per salvare gli ostaggi. Cameron ha inoltre manifestato il suo personale rammarico e le sue condoglianze in una lettera indirizzata direttamente alla signora Lamolinara.
Vorrei anche aggiungere che, nel colloquio telefonico con il presidente Monti, il Primo Ministro britannico ha precisato che, di fronte al grave e imminente pericolo, l'operazione era stata avviata, informando le autorità italiane solo quando essa era già in corso. A questo punto il presidente Monti ha richiesto con fermezza al suo interlocutore di fornire un dettagliato resoconto degli eventi, e stessa richiesta ho io formulato nel corso dei colloqui che ho avuto venerdì e sabato scorsi, a Copenaghen, con il ministro degli affari esteri britannico, William Hague. Ho inoltre sottolineato a Hague l'inaccettabilità per l'Italia di non aver avuto indicazioni precise della decisione di far scattare l'operazione. Il collega Hague mi ha personalmente ribadito l'assoluta non intenzionalità di questa tardiva comunicazione e ha aggiunto, ai rilievi che gli opponevo, che si è trattato del precipitare di una situazione sul terreno e non affatto del timore che, per parte nostra, ci si fosse potuti opporre al blitz, finito poi così tragicamente.
Più in particolare, secondo la ricostruzione dei fatti pervenutaci da Londra e che oggi dovrebbe essere illustrata alla Camera dei Comuni, la richiesta di autorizzazione è stata discussa dall'apposito comitato, presieduto dal ministro degli esteri Hague, che ne ha informato subito dopo il Primo Ministro. Solo successivamente l'ambasciatore del Regno Unito a Roma ha informato le autorità italiane che l'operazione, come ho detto, era già in corso.
Va aggiunto che l'iniziativa militare ha fatto seguito ad un'azione britannico-nigeriana lanciata contro il gruppo terroristico Boko Haram già la sera del 6 marzo. Come sappiamo, Boko Haram è stato costituito tra la fine degli anni '90 e i primi anni del 2000, con l'obiettivo di estendere la Shari'a, la legge islamica, a tutta la Nigeria a fini destabilizzatori. Solo più di recente, nel 2010, è stata confermata un'evoluzione in senso chiaramente jahvista di questo movimento. Il gruppo sarebbe composto da alcune centinaia di elementi operativi e da qualche centinaia di migliaia di sostenitori esterni.
Secondo quanto risulta al Governo, il sequestro del nostro connazionale e del cittadino britannico è opera di una frangia separatista del movimento, nota anche come Al Qaeda in Nigeria.
L'operazione del 6 marzo avrebbe portato all'arresto di un significativo numero di terroristi, il cui leader si sarebbe però sottratto alla cattura. Si è appreso che alcune rivelazioni, acquisite la sera del 7 marzo dai terroristi arrestati, avevano permesso di individuare il luogo di detenzione dei due ostaggi. Da tale sviluppo era maturata nei britannici la convinzione che gli ostaggi fossero in un pericolo molto immediato di vita.
Abbiamo provveduto a richiedere un rapporto circostanziato anche al Governo nigeriano, quale Paese dove è avvenuta l'operazione.
Non appena avuta conferma del decesso di Franco Lamolinara, i funzionari dell'unità di crisi della Farnesina hanno subito informato i suoi diretti familiari (la moglie, la sorella) e gli stessi funzionari, insieme a quelli della nostra ambasciata in Nigeria, si sono adoperati con la massima tempestività per il rimpatrio, con un volo militare italiano, della salma dell'ingegner Lamolinara, decisione che mi è parsa opportuna, dato che Londra aveva offerto un rientro congiunto, ma su un volo in partenza più tardi.
Vorrei citare a questo punto gli elementi anticipatici dall'ambasciatore del Regno Unito a Roma, Prentice, che oggi vengono illustrati in sede parlamentare anche a Londra. La comunicazione di Prentice dice quanto segue: «Chris e Franco sono stati rapiti da uomini armati la sera dello scorso 12 maggio a Birnin Kebbi, nella zona Nord occidentale del Paese. Nei giorni immediatamente successivi al rapimento non si conosceva con certezza l'identità dei rapitori, né lo loro motivazioni, né tantomeno il luogo di detenzione. Con il passare delle settimane non è stata avanzata alcuna richiesta e si è capito chiaramente che, a differenza di altri rapimenti verificatisi in Nigeria, questo non era un sequestro di natura puramente criminale.
In seguito» prosegue la nota dataci dall'ambasciatore Prentice «abbiamo verificato che Chris e Franco erano stati presi da terroristi che appartenevano ad una costola di Boko Haram, collegata ad Al Qaida nel Maghreb islamico. Il nostro obiettivo è stato chiaro fin dal principio: garantire il rilascio di Chris e Franco in condizioni di sicurezza. Abbiamo seguito la politica da tempo adottata da successivi Governi britannici, che consiste nel non fare grosse concessioni, né pagare riscatti ai rapitori di ostaggi. È la politica giusta: non solo il pagamento di riscatti ai terroristi è illegale ai sensi del diritto britannico e internazionale, ma premia i rapitori e pertanto aumenta il rischio di futuri rapimenti.
Durante la detenzione i rapitori hanno espresso una serie di minacce attraverso un video e attraverso contatti telefonici diretti con i familiari di Chris; era chiaro che erano pronti ad uccidere Chris e Franco, tuttavia i rapitori non hanno mai, in nessun momento, formulato richieste sensate. Durante i dieci mesi di detenzione abbiamo lavorato a stretto contatto con il Governo nigeriano per trovare gli ostaggi e in quel periodo di stretta collaborazione abbiamo fatto anche preparativi per un tentativo del loro recupero. Dopo un intenso periodo di impegnativa attività investigativa, nella tarda serata del 7 marzo, abbiamo ricevuto informazioni credibili e dettagliate sul luogo di detenzione. Abbiamo valutato che la finestra a nostra disposizione per garantire la loro liberazione era molto limitata. Avevamo inoltre motivo di ritenere che le loro vite fossero in pericolo imminente e crescente e avremmo dovuto agire molto rapidamente per avere una qualche probabilità di salvarli. Il Primo Ministro è stato messo pienamente al corrente della situazione, ha autorizzato l'avvio di un'operazione di liberazione guidata dai nigeriani con i il supporto britannico, e successivamente, appena è stato possibile, il nostro ambasciatore a Roma» prosegue la nota inglese «ha informato le autorità italiane che si stava avviando l'operazione. In Nigeria le forze di sicurezza nigeriane, con il supporto britannico, hanno lanciato l'operazione in un comprensorio di Sokoto, dove pensavamo fossero detenuti i due ostaggi. Le forze di intervento sono state aggredite con colpi mirati di arma da fuoco mentre tentavano di entrare e, una volta entrate, le nostre forze hanno trovato Chris e Franco già morti, in fondo al comprensorio. Siamo ancora in attesa di avere conferma dei dettagli, ma dalle prime indicazioni emerge con chiarezza che entrambi gli uomini sono stati uccisi dai loro rapitori prima di poter essere liberati. Durante l'operazione, che è durata circa due ore, le forze di intervento hanno ucciso tre uomini armati; si è trattato di un'operazione difficile che doveva essere condotta con grande rapidità tenuto conto dell'impellente minaccia per le vite.
Desidero esprimere la nostra riconoscenza» prosegue la nota, che riporta elementi utilizzati appunto in Parlamento dal Ministero della difesa «ai membri delle forze nigeriane, che hanno rischiato la vita in questa operazione. Un soldato nigeriano è stato ferito. Desidero inoltre ribadire la nostra profonda gratitudine al presidente Jonathan e alle autorità nigeriane per il loro costante sostegno».
E qui terminano gli elementi e il rapporto delle autorità britanniche che ci sono stati forniti poche ore fa per via diplomatica.
Nella giornata di venerdì 9 marzo il Presidente del Consiglio ha convocato il Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica, il CIS. Nel corso della riunione è stato deciso che, oltre a riunirsi periodicamente a livello di Ministri, il CIS rimarrà attivato in permanenza sotto il coordinamento del direttore generale del DIS, prefetto De Gennaro. È stata inoltre concordata la partecipazione dei Ministri degli esteri, degli interni, della difesa, della giustizia, dello sviluppo economico e dell'economia e delle finanze per intensificare il monitoraggio delle singole situazioni e condividere le linee di azione.
Signor Presidente, vorrei ora passare ad una breve informativa sul caso dei nostri due militari, dei due marò, il maresciallo Massimiliano La Torre e il sergente Salvatore Girone, detenuti in India. Su questa vicenda vorrei ribadire che è massimo l'impegno del Governo, che ha sempre improntato al principio di collegialità ogni sua decisione su questo caso, ciò anche per garantire coerenza all'azione delle varie amministrazioni coinvolte, in primis difesa, giustizia ed esteri.
Anche la decisione di confermare la mia programmata visita in India è stata sottoposta ad una valutazione preventiva del Governo e, in questo contesto di collegialità, si è inserita pure la mia decisione, immediata al momento dei fatti, di inviare in India il sottosegretario per gli affari esteri de Mistura e il teaminterministeriale composto da funzionari di alto livello dei Ministeri degli affari esteri, della difesa e della giustizia.
In merito alla vicenda, il 15 febbraio i marò sulla Enrica Lexie hanno comunicato alle autorità italiane di aver registrato, alle ore 18,28 italiane, un attacco da parte di sospetti pirati e di aver messo in atto graduali azioni dissuasive (inclusi colpi di avvertimento), al termine delle quali il naviglio sospetto si è allontanato. Successivamente, alle ore 15 italiane, le autorità indiane hanno chiesto al comandante della Enrica Lexie di dirigersi verso il porto di Kochi, precisando che avevano arrestato alcuni sospetti pirati e necessitavano di una collaborazione per identificare gli autori dell'attacco. Alle ore 15,30 il comando operativo interforze della Difesa ha ricevuto dal capo team del Nucleo militare di protezione - i marò a bordo della Lexie - la comunicazione che la compagnia armatrice aveva deciso di accogliere la richiesta indiana, autorizzando la deviazione della rotta. Quindi, alle ore 17,48 di quel giorno, l'Enrica Lexie è arrivata alla fonda nelle acque territoriali indiane e alle ore 18 il capo team, maresciallo La Torre, ha riferito di aver appreso dalla compagnia armatrice che era circolata la notizia della morte dei due pescatori.
È stato più volte sollevato l'interrogativo sul perché la nave sia entrata nelle acque indiane e sul perché i militari siano scesi terra. L'ho già detto pubblicamente da diverso in tempo, in diverse occasioni: siamo tutti d'accordo che la nave non sarebbe dovuta entrare in acque indiane e i militari, di conseguenza, non avrebbero dovuto essere obbligati a scendere a terra.
Nel primo caso - l'ingresso della nave in acque indiane - si è trattato del risultato di un sotterfugio della polizia locale, in particolare del Centro di coordinamento per la sicurezza in mare di Bombay, che aveva richiesto al comandante della Lexie di dirigersi nel porto di Kochi per contribuire al riconoscimento di alcuni sospetti pirati. Sulla base di questa richiesta, il comandante della Lexie, acquisita l'autorizzazione dell'armatore, decideva di dirigere in porto e il comandante della squadra navale e il Centro operativo interforze della Difesa non avanzavano obiezioni, in ragione di una ravvisata esigenza di cooperazione antipirateria con le autorità indiane, non avendo essi nessun motivo di sospetto.
Nel secondo caso - la consegna dei marò - essa è avvenuta per effetto di evidenti, chiare ed insistenti azioni coercitive indiane.
Tengo a sottolineare che, da Ministro degli affari esteri, non avevo titolo, né autorità, né influenza, per modificare la decisione del comandante della Enrica Lexie. Tuttavia, già da quelle primissime fasi, era urgentissimo riaffermare nei fatti, nei comportamenti concreti e nelle decisioni operative (e non soltanto nelle pur sempre fondamentali dichiarazioni motivate che le autorità del Governo italiano esprimevano), senza alcuna acquiescenza, la nostra ferma opposizione alla pretesa indiana di aver diritto esclusivo ad avviare investigazioni, accertamenti o interrogatori nei confronti del personale a bordo della Enrica Lexie. L'episodio era accaduto, infatti, per unanime riconoscimento, in acque internazionali - esattamente a 22 miglia dalla costa indiana - e, quindi, sicuramente, in una zona che la Convenzione di Montego Bay, la prassi e la dottrina internazionale riconoscono totalmente sottratta alla giurisdizione e alla sovranità dello Stato costiero.
Aggiungo che la missione militare dell'Unione europea «Atalanta», di cui facciamo parte, come sapete, contempla la possibilità di inviare nuclei militari armati posti sotto il comando e il controllo della missione europea e con chiare regole di ingaggio. La presenza di questi nuclei a bordo è conforme anche alla risoluzione dell'ONU che invita tutti i Paesi a contribuire alla lotta alla pirateria al largo delle coste somale e nell'Oceano indiano.
Già da quei primi momenti il Ministro degli esteri, in stretto raccordo con il Ministro della difesa, con quello della giustizia e con la Presidenza del Consiglio, ha impostato una strategia ben definita per quanto riguardava la questione della giurisdizione e ha definito le risposte da dare via via alle pretese indiane. Le risposte sono state innanzitutto guidate dalla situazione che veniva a crearsi a seguito dell'attracco della Lexie nel porto di Kochi e nelle ore successive dall'azione coercitiva, che ho già menzionato, che veniva portata a compimento da oltre 30 uomini armati della sicurezza indiana saliti a bordo per prelevare i nostri marò, il maresciallo La Torre e il sergente Girone, e portarli a terra sotto custodia della polizia locale.
Ora, onorevoli senatori, signor Presidente, io vorrei sottolineare che la consegna e la discesa a terra dei marò sono avvenute nonostante un'opposizione fermamente opposta dalle nostre autorità diplomatiche e militari presenti sulla Lexie. Mi riferisco al console generale Cutillo e all'intero team formato dall'ambasciatore a New Delhi, dall'addetto per la difesa e dagli esperti legali. Una volta avvenuta la consegna alle autorità indiane, un fatto avvenuto con grande spirito di responsabilità e disciplina da parte dei nostri militari, dato che possiamo solo immaginare le ben più gravi conseguenze che avrebbe prodotto una resistenza alle richieste indiane con l'uso della forza e la crisi gravissima che ne sarebbe derivata, l'azione del Governo ha seguito una linea che si è immediatamente e pragmaticamente adeguata ad alcune esigenze prioritarie. La prima è stata quella di ottenere dalle autorità indiane la sicurezza fisica dei nostri militari in un ambiente fortemente ostile che si era subito determinato nell'intero Stato del Kerala alla notizia dell'uccisione dei pescatori. Fanno veramente rabbrividire le immagini pubblicate sulla copertina di alcune riviste locali con le fotografie di La Torre e Girone additati irresponsabilmente come assassini, banditi del mare e uccisori di pescatori. La seconda priorità che il Governo ha seguito è stata quella di eseguire immediatamente tutte le azioni che in primo luogo assicurassero un'efficacia presenza italiana in tutte le indagini a cominciare dalla perizia balistica. È così che abbiamo ottenuto e non senza molte discussioni e difficoltà la partecipazione di due eccezionali esperti in questa materia, appartenenti ai Carabinieri, quali osservatori delle operazioni concernenti questa perizia. In secondo luogo, abbiamo insistito affinché la difesa legale in tutti i gradi di giudizio, a cominciare da quello presso l'alta corte del Kerala sulla nostra eccezione di giurisdizione, che è ancora in corso, e la predisposizione di una difesa per le eventuali fasi successive con il coinvolgimento di avvocati di fiducia indiani, italiani e internazionali avvenisse con costante impegno e presenza di un team qualificatissimo, come dicevo, di giuristi italiani e internazionali. È in tale contesto che, dopo aver attentamente valutato e discusso collegialmente con gli altri Ministri interessati alla situazione, ho deciso di effettuare la mia visita a New Delhi e a Kochi per trovare i nostri marò. Non vi era certo in me, da Ministro degli esteri, alcuna illusione sul fatto che questa visita avrebbe risolto miracolosamente una posizione indiana che era apparsa sin dal primo momento di estrema fermezza e legata anche a sviluppi politici che si stavano maturando in quelle ore e che tuttora stanno proseguendo nello Stato del Kerala. Ho ritenuto però essenziale, come l'hanno fatto gli altri miei colleghi di Governo, che il Ministro degli esteri si recasse personalmente in India per esprimere pubblicamente - cosa che ho fatto - all'opinione pubblica indiana e alle autorità indiane al più alto livello l'assoluta inaccettabilità sul piano giuridico e diplomatico delle pretese e del comportamento indiani.
Abbiamo ritenuto essenziale poter riaffermare, con i miei incontri a New Delhi, i principi fondamentali della sovranità italiana su organi dello Stato italiano quali sono i militari impegnati in azioni internazionali di contrasto alla pirateria e riaffermare la giurisdizione esclusiva italiana su una nave con bandiera italiana in acque internazionali.
Nelle circostanze che si sono venute a creare con l'avvenuta presa, in forma - sottolineo - coercitiva, dei nostri militari da parte indiana, era ancora più importante ottenere dall'India perlomeno una qualche collaborazione affinché le indagine venissero condotte con la presenza di esperti italiani (vedasi la prova balistica) e affinché la dignità, la sicurezza, la possibilità di restare in contatto con i nostri militari venisse sempre e comunque garantita. Questi aspetti sono stati assolutamente centrali alla mia visita in India, così come erano stati oggetti, sin dalle prime ore successive all'evento, della mia immediata telefonata e della mia lettera al ministro degli esteri Krishna, come poi ripresi nella lunga conversazione telefonica che il presidente del Consiglio Mario Monti ha avuto con il primo ministro Singh.
Riporto alcuni elementi sia della lettera che delle conversazioni telefoniche perché vi sia davvero chiarezza sulle posizioni da noi espresse formalmente, per iscritto, e a più riprese anche nei contatti ad alto livello politico.
Nella mia lettera del 17 febbraio, come nella telefonata al ministro Krishna, ho espresso il più vivo rammarico per le due vittime indiane e ho indicato che l'Italia condivide l'obiettivo di stabilire i fatti al di là di ogni dubbio. Ho inoltre aggiunto che il Governo italiano ritiene che sulla base dei principi del diritto internazionale la giurisdizione sul caso appartiene esclusivamente alla magistratura italiana, perché i fatti si sono verificati in un'azione antipirateria, perché quest'azione si è effettuata in acque internazionali su una nave battente bandiera italiana e perché ne sono stati protagonisti militari italiani, organi dello Stato italiano. Ho al contempo sottolineato che le autorità italiane intendono lavorare insieme alla parte indiana per individuare una procedura concordata per stabilire la verità e che a tal fine il Governo aveva deciso l'invio in India di una missione di funzionari di alto livello; cosa che poi è avvenuta con una collaborazione da parte delle autorità indiane. Ho anche rimarcato la forte speranza che le autorità indiane si astenessero da ulteriori azioni unilaterali.
Nel colloquio telefonico con il primo ministro Singh, il presidente Monti ha fermamente ribadito il concetto della giurisdizione italiana sulla base dei principi del diritto internazionale, evidenziando che i nostri marò stavano svolgendo un compito di protezione nell'ambito di una missione internazionale contro la pirateria in conformità a risoluzioni ONU, a raccomandazioni IMO e alla legge italiana.
Il presidente Monti ha inoltre attirato l'attenzione sul fatto che l'episodio rischiava di minare alle radici gli sforzi della comunità internazionale contro la pirateria e di costituire un precedente estremamente pericoloso per tutti i contingenti impegnati in missioni internazionali di pace. Il presidente Monti ha riaffermato anche con fermezza il diritto dei nostri due militari a un trattamento adeguato al loro status di rappresentati dello Stato italiano, in piena sicurezza, e ad avere un alloggio distinto da altri detenuti. Egli ha quindi espresso al Primo Ministro indiano la sensazione che Italia e India devono lavorare assieme per individuare una soluzione basata sulla giustizia e sul diritto internazionale.
Signor Presidente, onorevoli senatori, in tale contesto vorrei soffermarmi un istante sull'eccellente lavoro che, sin dall'inizio di questa complessa vicenda, sta svolgendo l'importante team ad alto livello operante a Kochi e a New Delhi sotto la direzione del sottosegretario agli affari esteri, Staffan De Mistura. Desidero ringraziarli pubblicamente nel modo più sentito. Da quasi un mese, da quando cioè ho deciso d'intesa con la Presidenza del Consiglio e con gli altri Ministri competenti di inviarli in loco, queste persone hanno svolto un lavoro di grande efficacia, in condizioni difficilissime, con molti ostacoli, che ha garantito però la sicurezza, la dignità, la fiducia dei nostri militari e del personale ancora bloccato sulla nave.
Nel frattempo proseguiamo un'azione diplomatica a tutti i livelli ufficiali e riservati (il Presidente del Consiglio, io stesso e gli altri Ministri) con la ferma volontà di assicurare il momento in cui i nostri uomini potranno tornare ai loro cari.
In queste ore la nostra attenzione è rivolta alla prova balistica, all'udienza presso l'Alta Corte sulla questione della giurisdizione, e all'eventuale procedimento penale. Abbiamo avviato un'azione di sensibilizzazione a tutto campo e a tutti i livelli attraverso importanti Paesi amici e organizzazioni internazionali per trovare una soluzione concreta che consenta di riportare a casa i nostri uomini. Abbiamo interessato l'Unione europea e i Paesi membri più influenti del Consiglio di sicurezza dell'ONU, il Segretario generale delle Nazioni Unite, i Paesi a noi più vicini e più amici in Asia e nel Mediterraneo.
Proprio oggi il Presidente del Consiglio, Mario Monti, ha avuto un decisivo colloquio con l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Catherine Ashton, la quale gli ha riferito degli ultimi contatti che ha avuto con le autorità indiane. Con l'India, l'Unione europea è legata da un importante rapporto di cooperazione, anche nel campo della lotta alla pirateria.
E il capo della diplomazia europea, che ha concordato, con il Presidente del Consiglio, di rimanere in stretto contatto, era già stata, nei giorni precedenti, da me sensibilizzata alla vicenda, in occasione della riunione informale dei Ministri esteri tenutasi a Copenaghen venerdì e sabato scorso, e, nei giorni precedenti ancora, dal Presidente del Consiglio. In tutti queste occasioni di incontri, di sensibilizzazione, di passi, di attività diplomatiche, ma anche di attività sul piano informale e più riservato, abbiamo ottenuto anche un sostegno pubblico alla posizione italiana, espresso alla stampa, da parte di importanti Paesi nella preoccupazione condivisa del grande pericolo che il precedente indiano possa avere gravi ripercussioni negative sull'efficacia delle operazioni internazionali di contrasto della pirateria e del terrorismo.
I nostri partner internazionali sono soprattutto preoccupati (e lo sono quanto noi, in molti casi) dagli effetti della negazione del principio fondamentale che i militari impegnati all'estero in missioni autorizzate dalla comunità internazionale debbano essere giudicati dai loro Paesi, cioè dai Paesi ai quali i militari appartengono, e non dai Paesi nei quali si svolgono le operazioni di pace o dei mari territoriali nei quali si svolgono le operazioni antipirateria.
Vorrei accennare, signor Presidente, onorevoli senatori, al ruolo della Farnesina, del Ministero che ho l'onore di dirigere, di fronte al proliferare di nuove fattispecie di rischio non più limitate alla sola instabilità politica. Tali crescenti rischi necessitano di un sempre maggiore contributo operativo ed informativo di organi dello Stato, dell'intelligence, delle forze armate che, nel rispetto della propria autonomia, sostengono e collaborano con il Ministero degli esteri.
Il Ministero si avvale, in particolare, dell'unità di crisi, che rappresenta uno strumento operativo flessibile in grado di reagire con tempestività alle situazioni che mettono a rischio l'incolumità di nostri connazionali. Attraverso l'unità di crisi, la Farnesina opera essenzialmente su due fronti.
Il primo è un fronte che potremmo definire esterno. Esso si sostanzia in attività di carattere politico-diplomatico, messe in atto soprattutto attraverso la rete delle nostre ambasciate e dei consolati. A tali attività si aggiungono specifiche missioni politiche dirette a mantenere elevata l'attenzione dei Governi coinvolti, ovvero ad acquisire diretti elementi dalle controparti istituzionali.
Nello specifico caso del compianto ingegner Franco Lamolinara, per esempio, era stata già programmata una missione in Nigeria del mio rappresentante speciale, l'onorevole Margherita Boniver, che ringrazio per le numerose missioni che continua ad effettuare e che ha effettuato in passato. Questa missione avrebbe dovuto svolgersi tra pochi giorni ma, malauguratamente, è avvenuto quel che è avvenuto.
Sul secondo fronte, che definirei di carattere più interno, la priorità dell'unità di crisi è data ai rapporti con le famiglie dei connazionali sequestrati.
Con i familiari dei nostri connazionali in difficoltà, in queste situazioni così tragiche, l'unità di crisi mantiene costanti contatti e trasmette le informazioni rese disponibili dalle fonti investigative o dalla catena militare, come nel caso dei sequestri di nostre navi mercantili ad opera dei pirati somali. Un'attività particolarmente delicata, sia per l'esigenza di un continuo flusso informativo sia per la sensibilità richiesta da un lavoro che influisce così profondamente sulla sfera emotiva dei familiari coinvolti. È anche compito dell'unità di crisi trasmettere all'autorità giudiziaria ogni utile informazione sulle vicende che coinvolgano i nostri connazionali.
Per dare una dimensione del fenomeno e dell'impegno richiesto alle strutture della Farnesina, vorrei ricordare che nel corso dell'ultimo anno sono stati gestiti ben quattordici casi di sequestro, di cui tre risoltisi purtroppo tragicamente: Vittorio Arrigoni, ucciso a Gaza nell'aprile del 2011; Mario Procopio ucciso in Brasile nell'aprile del 2011; Ruggero Bruno ucciso in Ecuador nel giugno 2011. Desidero ricordarli con vivo cordoglio. Così come desidero ricordare con vivo cordoglio tutte le vittime del terrorismo e rinnovare la solidarietà alle loro famiglie per le persone che, come l'ingegnere Lamolinara giovedì scorso, negli ultimi mesi sono state barbaramente uccise da atti terroristici o di criminalità organizzata.
Se in momenti come questi il Governo deve ribadire il suo fermo impegno ad attivare e perseguire l'azione sul piano internazionale nel modo più incisivo, per perseguire e reprimere questi orrendi crimini, credo sia anche di fondamentale importanza il senso della memoria. La memoria degli italiani che nel mondo hanno pagato con la vita il loro impegno di lavoro in condizioni e in regioni ad alto rischio, con la consapevolezza piena di correre quei rischi per sostenere le loro famiglie e il prestigio del nostro Paese. Per loro non sono mai sufficienti le nostre espressioni di affetto, di solidarietà e di riconoscenza.
Molti sono i casi conclusisi positivamente solo negli ultimi tre mesi: la liberazione dell'operatore di Emergency, Francesco Azzarà, dei cinque marittimi della «Savina Caylyn» e dei sei marittimi della «Rosalia D'Amato». La Farnesina sta facendo di tutto per riportare a casa e restituire all'affetto dei loro cari gli altri italiani tuttora nelle mani dei rapitori: Rossella Urru (rapita in Algeria, nei campi saharawi, nel febbraio 2011), Giovanni Lo Porto (rapito in Pakistan, a Multan, nel gennaio 2012) Maria Sandra Mariani (rapita a Tindouf, Algeria, nel febbraio 2011) e i sei marittimi della «Enrico Ievoli» (nave sequestrata il 27 dicembre 2011 dai pirati somali al largo dello Yemen).
Signor Presidente, l'unità di crisi della Farnesina è attiva 24 ore al giorno, fronteggia tutte le emergenze che coinvolgono i nostri connazionali all'estero e fornisce informazioni di sicurezza su tutti i Paesi del mondo, anche tramite un sito web aggiornato in tempo reale, che consente la registrazione dei connazionali momentaneamente presenti all'estero. Gli stanziamenti di bilancio per l'unità di crisi sono però diminuiti da oltre 7 milioni e mezzo di euro nel 2006 a circa 5 milioni nel 2011. Le integrazioni attribuite dal decreto missioni si sono ridotte da 15 milioni di euro nel 2009 agli 11 attuali, di cui 10 assorbiti dalle missioni di protezione e scorta. Per svolgere bene questi compiti delicati e complessi occorrono stanziamenti adeguati. Dobbiamo quindi trovarli per continuare ad investire per la sicurezza dei nostri connazionali nel mondo.
Signor Presidente, mi si consenta infine un'osservazione di carattere generale. Il terrorismo internazionale e i sequestri non colpiscono solo l'Italia, ma tutti i Paesi con proiezione internazionale. Maggiore è la realtà di globalizzazione di un Paese, più si è esposti, soprattutto noi che abbiamo collettività così grandi e lavoratori così numerosi all'estero. Nessuno Stato può vincere da solo questa sfida, che richiede un intenso coordinamento internazionale. L'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha chiesto uno sforzo a livello multilaterale per affrontare il problema. L'Italia ha collaborato alla definizione della strategia globale di controterrorismo delle Nazioni Unite e della strategia comune per il controterrorismo dell'Unione europea. L'Italia partecipa al «Global Counter Terrorism Forum» (GCTF), che ha creato meccanismi per lo scambio delle migliori procedure e per il coordinamento dell'assistenza tecnica. In tale quadro abbiamo fortemente voluto il coinvolgimento di Stati "non occidentali", come la Nigeria, che ci hanno fornito la prova dei collegamenti tra gruppi terroristici di diversa matrice, come Al Qaeda, Boko Haram e Shabab. Quindi un'attività di raccordo fondamentale per conoscere e cooperare nel prevenire fenomeni terroristici.
La natura così articolata del fenomeno esige inoltre di continuare a fornire assistenza tecnica ai Paesi o alle aree più a rischio, come l'Afghanistan, il Sahel e il Corno d'Africa.
Signor Presidente, onorevoli senatori, ho ritenuto essenziale, oltre che doveroso, rendere un'informativa su quanto avvenuto e sull'azione finora svolta dal Governo di fronte a questi episodi drammatici. Le piaghe dei sequestri e della pirateria minacciano la vita dei nostri cittadini, gli investimenti delle nostre imprese e la sicurezza del Paese. Per contrastare questi fenomeni dobbiamo agire con assoluta unità di intenti, con uno sforzo condiviso e unitario di tutte le istituzioni, perché sono in gioco vitali interessi nazionali.
Il Governo, sotto la guida del Presidente del Consiglio, è determinato a fare il massimo e conta sul sostegno e sulle indicazioni che il Parlamento vorrà continuare ad assicurare per vincere insieme queste sfide. (Applausi dai Gruppi PD, PdL, UDC-SVP-AUT:UV-MAIE-VN-MRE-PLI-PSI e Per il Terzo Polo:ApI-FLI).


Nessun commento:

Posta un commento

Come si dice, i commenti sono benvenuti, possibilmente senza sproloqui e senza insultare nessuno e senza fare marketing. Puoi mettere un link, non a siti di spam o phishing, o pubblicitari, o cose simili, ma non deve essere un collegamento attivo, altrimenti il commento verrà rimosso. Grazie.

LinkWithin

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...