venerdì 31 agosto 2012

Combustione spontanea negli esseri umani: mito o realtà?

L'evento non è così frequente ma accade. Fino ad ora si riteneva che dipendesse da incuria o altri accidenti legati al consumo di alcolici. Adesso su New Scientist compare un articolo in cui si presenta la teoria di un biologo, Brian Ford.
Casi storici. Prima viene tracciata una breve storia dei  principali casi segnalati (circa 120 in tutto) di autocombustione:

  • Uno dei primi resoconti si deve al medico e matematico danese Thomas Bartholin che nel 1641 e nel 1663 riportò due casi: uno si riferiva a parecchi anni prima, nel 1470, e riguardava un certo  Polonus Vorstius che a Milano bevve del vino e poi fu bruciato dalle fiamme; l'altro caso del 1663 si riferiva a una donna francese bruciata nel suo letto lasciando il materasso illeso.
  • Un caso analogo fu riportato sulle Philosophical Transactions nel 1745 da Paolo Rolli che riferì della contessa Cornelia Bandi  di Cesena, di 62 anni, che andò a letto dicendo di sentirsi pesante e il mattino dopo fu ritrovata ridotta in cenere. Solo le gambe erano rimaste indenni.


  • Nel XIX secolo furono riportati altri casi e scritti alcuni libri. Elemento comune era l'alcol, tanto  che venne riconosciuto come causa scatenante. Pierre Aimé Lair scrisse nel 1800 Essai sur les Combustions Humaines, produits par un long abus des liqueurs spiritueuses e, nel 1853, sulla rivista Notes and Queries il  Dr Lindsley riportò una serie di 19 casi avvenuti tra il 1692 e 1829.
  • Justus von Liebig fu uno dei primi studiosi a occuparsi scientificamente del fenomeno. Egli analizzò circa 50 casi partendo da una considerazione critica nei confronti della teoria dominante : i campioni anatomici vengono conservati in alcol al 70% ma non bruciano.Così iniettò dell'etanolo in ratti ma non riuscì mai a farli prendere fuoco, smentendo così la spiegazione in voga.
  • Anche nel XX secolo sono riportati alcuni casi di autocombustione, apparentemente ben documentati. Nel 1951 accadde a Mary Reeser di St Petersburg in  Florida che fu ritrovata in un mucchio di cenere fumante con una gamba ancora intatta e il fegato carbonizzato attaccato alla colonna. Nel 1966 anche di John Irving di Bentley  in Pennsylvania rimase solo della cenere fumante e mezza gamba e nel 2010 lo stesso destino capitò a Michael Faherty, caso più recente segnalato di combustione umana spontanea.
  • Un altro tentativo di fornire una spiegazione è stato fatto nel 1961 dal medico legale Gavin Thurston che pubblicò un documento sul Medico-Legal Journal dal titolo Preternatural combustibility of the human body. Descrisse un possibile meccanismo dell'autocombustione e lo chiamò effetto stoppino: il grasso umano brucia a 250 °C ma se fuso la combustione può avvenire a temperatura ambiente. Per provarlo avvolse del grasso in una garza e mostrò che la fiamma lo scioglieva producendo una combustione continua, come una candela.
  • Nel 1986 anche la BBC dimostrò l'effetto stoppino e l'anno dopo anche la polizia del Kent. Ma, nonostante stesse diventano la spiegazione preferita dell'autocombustione, lasciava ancora molti dubbi: i vestiti bruciano subito lasciando senza stoppino e poi, questo genere di combustione dura almeno 12 ore e i corpi non sono completamente distrutti ma più spesso solo carbonizzati.
  • Che fosse difficile ridurre in cenere un essere animato o inanimato lo dimostra una serie di prove realizzate dal Fire Research Station, un centro di ricerca britannico:  si fece bruciare per sei ore una poltrona in una camera sperimentale, al termine però la poltrona era ancora largamente integra. Schienale e braccioli erano sì carbonizzati ma interi e, anche se è difficile paragonare il legno a un corpo umano, l'unica cosa certa è che ridurre in cenere è un'operazione piuttosto difficile.
Chetosi e acetone. Ed è stato a questo punto che il nostro biologo ha sentito la necessità di comprendere meglio il fenomeno. Ha marinato per una settimana del tessuto addominale di maiale in etanolo per scoprire che, anche se avvolto in una garza inumidita con l'alcol, non bruciava. A questo punto ha cominciato a considerare una sostanza altamente infiammabile e molto più presente dell'alcol nel nostro corpo: l'acetone. Questa sostanza è il risultato di una complessa serie di reazioni chimiche. Durante il metabolismo dei grassi si forma un intermedio chiamato acetil-CoA che, in caso di patologie o dopo sforzi strenui, può essere trasformato in acetoacetato che può essere ulteriormente decarbossilato ad  acetone. Acetone e acetoacetato sono chiamati anche corpi chetonici, sostanze che fanno la loro comparsa quando il metabolismo si basa essenzialmente sugli acidi grassi come durante un prolungato digiuno, nel diabete o nell'alcolismo.
E così, per mettere alla prova la sua ipotesi, Ford ha marinato del tessuto di maiale in acetone, con il quale poi ha creato dei modelli di esseri umani in scala, debitamente vestiti. Una volta appiccato il fuoco questi modelli sono bruciati nel giro di mezz'ora fino a ridursi in cenere. Il fatto che solitamente le gambe rimangano intatte può essere spiegato con la più bassa percentuale di grasso in queste parti del corpo.
Mistero risolto? Ovviamente, pur mostrando un possibile modo in cui può avvenire la completa riduzione in cenere di un corpo umano questo non significa che chi è affetto da chetosi è implacabilmente soggetto all'autocombustione. Più semplicemente illustra una spiegazione credibile di quanto osservato e può essere un utile consiglio per chi soffre di questa patologia a smettere di fumare.   imagecredit skpdic.com videocredit newscientist.com

2 commenti:

  1. "Un caso analogo fu riportato sulle Philosophical Transactions nel 1475 da Paolo Rolli"

    Le Philosophical Transactions sono state fondate nel 1665...

    Saluti,

    Mauro.

    RispondiElimina

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