lunedì 22 luglio 2013

La perdita dell'industria manifatturiera italiana e il made in Italy acquistato dagli stranieri

Recentemente è stato il Ministro dell'Economia Saccomanni a parlare di vendita delle quote di partecipazione dello Stato in colossi quali Eni, Enel e Finmeccanica per ripagare il debito, poi diventata ipotesi di usare queste partecipazioni come collaterali, cioè garanzie bancarie sul pagamento del debito  il che, in un caso o nell'altro, se il debito non viene onorato  porta comunque alla perdita del bene [Corriere].

Prima di questa esternazione, nel 2003, un sociologo di nome Luciano Gallino scriveva un libro sulla Scomparsa dell'Italia industriale. Nell'analisi, Gallino individuava cinque settori nei quali un'imponente presenza industriale italiana si trasformava, nel tempo, in un'assenza, dato che metteva il nostro paese alla mercè di chi, quell'industria manifatturiera, ancora possedeva
Un paese che nel XXI secolo non possegga una grande industria  manifatturiera si presenta con i caratteri di una colonia  subordinata alle esigenze e scelte di quei paesi che di tale industria  dispongono [libero riassunto del libro di Ires Cgil].
I cinque settori nei quali l'Italia presentava eccellenze e tecnologia all'avanguardia e che, via via, si perdevano sono: informatica, chimica, aeronautica civile, high tech ed elettronica di consumo. E il rischio di questi tempi è che vi si aggiunga il settore automobile, nonostante le rassicurazioni di Marchionne.

Nonostante quella che stiamo vivendo sia l'epoca dei servizi e nella net-economy l'industria manifatturiera ha ancora un'importanza fondamentale. Nella classifica Fortune 500 del 2011, nei primi 10 posti per fatturato vi sono un grande magazzino, tre aziende petrolifere, tre aziende del settore finanziario e tre aziende manifatturiere. Se si considera, come fa Gallino, che le aziende petrolifere non esisterebbero senza le manifatturiere si comprende bene l'importanza che ha ancora questo settore. Privarsene o essersene privati sembrerebbe, dunque, miopia nella politica economica.
A tutto questo può aggiungersi la perdita del made in Italy nel solo settore agroalimentare che segnala Coldiretti in un suo recente pezzo scritto dopo la cessione della Pernigotti al gruppo Toksoz turco. Questo è l'elenco dei marchi italiani che, dalla fine degli anni 80 ad oggi, è passato dalle mani italiane a quelle straniere passaggio  che, secondo Coldiretti, porta insito  il rischio di "svuotamento finanziario delle società acquisite, delocalizzazione della produzione, chiusura di stabilimenti e perdita di occupazione":
MARCHI DEL MADE IN ITALY CHE NON C’E’ PIU’
2013
• PERNIGOTTI - la societa Averna, ha siglato un accordo per cedere l'intero capitale dell'azienda piemontese detentrice dello storico marchio dei dolci al  gruppo Toksoz  che ha sede a Istanbul
• CHIANTI CLASSICO (per la prima volta un imprenditore cinese ha acquistato una azienda agricola del Gallo nero) 
• RISO SCOTTI (il 25% è stato acquisito dalla società alla multinazionale spagnola Ebro Foods)
2012
• PELATI AR - ANTONINO RUSSO (nasce una nuova società denominata "Princes Industrie Alimentari SrL", controllata al 51 per cento dalla Princes controllata dalla giapponese Mitsubishi)
• STAR (passata al 75% nelle mani spagnole del Gruppo Agroalimen di Barcellona (Gallina Blanca)
• ESKIGEL (produce gelati in vaschetta per la grande distribuzione - Panorama, Pam, Carrefour, Auchan, Conad, Coop) (ceduta agli inglesi con azioni in pegno d un pool di banche).
2011
• PARMALAT  (acquisita dalla francese Lactalis)
• GANCIA  (acquisita al 70% dall’oligarca russo Rustam Tariko)
• FIORUCCI –SALUMI (acquisita dalla spagnola Campofrio Food Holding S.L.)
• ERIDANIA ITALIA SPA (la società dello zucchero ha ceduto il 49% al gruppo francese Cristalalco Sas)
2010
• BOSCHETTI ALIMENTARE (cessione alla francese Financière Lubersac che detiene il 95%)
• FERRARI GIOVANNI INDUSTRIA CASEARIA SPA  (ceduto il 27% alla francese Bongrain Europe Sas)
2009
• DELVERDE INDUSTRIE ALIMENTARI SPA (la società della pasta è divenuta di proprietà della spagnola Molinos Delplata Sl che fa parte del gruppo argentino Molinos Rio de la Plata)
2008
• BERTOLLI (venduta a Unilever, poi acquisita dal gruppo spagnolo SOS)
• RIGAMONTI SALUMICIO SPA (divenuta di proprietà dei brasiliani attraverso la società olandese Hitaholb International)
• ORZO BIMBO (acquisita da Nutrition&Santè S.A. del gruppo Novartis)
• ITALPIZZA  (ceduta all’inglese  Bakkavor acquisitions limited)
2006
• GALBANI (acquisita dalla francese Lactalis)
• CARAPELLI (acquisita dal gruppo spagnolo SOS)
• SASSO (acquisita dal gruppo spagnolo SOS)
• FATTORIE SCALDASOLE (venduta a Heinz, poi acquisita dalla francese Andros)
2003
• PERONI  (acquisita dall’azienda sudafricana SABMiller)
• INVERNIZZI (acquisita dalla francese Lactalis, dopo che nel 1985 era passata alla Kraft)
1998
• LOCATELLI (venduta a Nestlè, poi acquisita dalla francese Lactalis)
• SAN PELLEGRINO (acquisita dalla svizzera Nestlè)
1995
• STOCK (venduta alla tedesca Eckes A.G., poi acquisita dagli americani della Oaktree Capital Management)
1993
• ANTICA GELATERIA DEL CORSO (acquisita dalla svizzera Nestlè)
1988
• BUITONI  (acquisita dalla svizzera Nestlè)
• PERUGINA (acquisita dalla svizzera Nestlè)
Fonte: Elaborazioni Coldiretti
Se ci aggiungi che molte altre aziende sono in gravissima sofferenza perchè la pubblica amministrazione non paga i suoi debiti e che tante altre se ne vanno dal patrio suolo cercando lidi dove fare impresa costa di meno,  dobbiamo cominciare a preoccuparci quanto a possibilità di ripresa, almeno nel breve periodo, dell'economia italiana?







1 commento:

  1. Si dobbiamo preoccuparci seriamente e cominciare ad analizzare le cause per comprendere gli errori che abbiamo fatto per non ripeterli in futuro anche se ormai potrebbe essere troppo tardi. Forse che invece di spingere generazioni di persone a studiare per poi fare lavori inutili ed improduttivi se non finire disoccupati era il caso di informarle della importanza strategica del manifatturiero per garantirci un futuro. Molto bene lo ha capito la Cina che forse ha una classe dirigente molto piu seria ella nostra.

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