domenica 18 agosto 2013

Su scientismo, metodo Stamina e conoscenza

Le terapie alternative. Chi si farebbe curare  da una malattia anche grave, ma per la quale esistono cure e ottima certezza di guarire, da qualcuno che non è nemmeno medico e utilizza una terapia altamente sperimentale, mai provata prima e priva di razionale scientifico, insomma da una classica terapia alternativa? La domanda è retorica, ma non troppo, nel senso che probabilmente non pochi si troveranno, un giorno,  a dover o voler scegliere tra le due possibilità. Un caso speciale è quello in cui alcuni si trovano a dover scegliere tra due diverse terapie, una delle quali è come quella descritta sopra e l'altra, quella che dovrebbe essere ufficiale, è rappresentata da un'assenza di cura. In queste situazioni, come dimostrano casi aneddotici apparsi sulla stampa, la gente tende a scegliere l'estremo della cura alternativa. Quando ci si trova in una condizione di assenza di cura ufficiale si accetta più volentieri un grave rischio come quello di mettersi nelle mani di una terapia non convenzionale e non provata, perchè quest'ultima appare meno azzardata quando comparata all'assenza di cure. Mentre a nessuno -o quasi-  verrebbe in mente di affidarsi a una terapia non convenzionale quando esiste una terapia accettata e praticata dalla medicina, e che dà ottimi risultati, il discorso cambia quando non esiste, ufficialmente, una cura di questo tipo. In quel caso la gente  sente di rischiare meno di quanto rischierebbe se non facesse niente -anche a costo, molto spesso, di aggravare la propria condizione-  anche se la pericolosità della cura alternativa non aumenta o diminuisce a seconda che esista una terapia convenzionale, ma è costante. Questo si deve al fatto che l'alternativa all'assenza di una terapia convenzionale è, spesso,  la morte, mentre l'ingresso della terapia non convenzionale sembra far aumentare, seppure di poco, le aspettative di sopravvivere. Naturalmente questo non è vero.

Mentre nel caso della    terapia convenzionale la gente ritiene che l'esistenza di questa cura controbilanci e superi la probabilità di morire, per esempio con un 95 a 5, e perciò ci si affida, quando questa terapia convenzionale non esiste la gente pensa  che tutte le probabilità stiano dalla parte della dipartita, così, 0 a 100, e perciò interpreta erroneamente qualunque terapia alternativa come uno spiraglio, una possibilità cioè di trasformare quello zero in qualcosa che, seppure piccolo, è sempre maggiore di niente. Ma anche questo non è vero perchè non si considera che queste terapie alternative, oltre a non guarire, e perciò lasciare a zero la casella delle probabilità di sopravvivere, potrebbero addirittura velocizzare la dipartita o rendere quanto rimane da vivere ancora più doloroso.
Penso, tanto per fare due esempi e riferirsi a qualcosa di concreto, al recente metodo Stamina e al meno recente metodo Di Bella.
La cosa preoccupante, oltre la diversa percezione del rischio sotto le due differenti condizioni -presenza o assenza di una terapia- è che le cose non si presentano quasi mai in maniera così categorica, in forma di aut aut, in cui sembra di dover decidere tra la vita di un farmaco e la morte della sua assenza: molto spesso, l'assenza di una cura specifica è sostituita da cure palliative o sintomatiche, dal reintegro, quanto più possibile,  delle condizioni fisiologiche e via dicendo,  mentre le terapie alternative, che quasi mai possiedono un corpus di dati scientifici alle spalle, e che spesso sono prive di qualunque razionale scientifico, offrono solo la nuda speranza della loro esistenza contro il vuoto -vero o apparente- dall'altra parte.

Scientismo. Questa lunga premessa serve per introdurre un tema legato a una notizia letta su Facebook perchè condivisa da un amico (Andres Reyes): Steven Pinker è diventato uno scientista. Questo, in realtà, è un articolo critico di un filosofo, Massimo Pigliucci, mentre l'articolo di Pinker in cui abbraccia lo scientismo è questo: Science Is Not Your Enemy.
Prima di tutto la definizione di scientismo. Vi offro questa della Treccani:
Il particolare atteggiamento intellettuale di chi ritiene unico sapere valido quello delle scienze fisiche e sperimentali, e svaluta quindi ogni altra forma di sapere che non accetti i metodi propri di queste scienze. Il termine fu coniato in Francia nella seconda metà dell’Ottocento e si diffuse poi altrove, avendo di volta in volta significato positivo o negativo: si designarono polemicamente come scientisti (e di conseguenza come antimetafisici) i positivisti (per es., H. Taine); di contro impiegarono spregiativamente il termine coloro che, come E. Boutroux, vedevano nel determinismo positivistico e nell’affermazione dell’oggettiva necessità delle leggi naturali, estese anche al mondo umano, l’espressione di un rigido dogmatismo. Oggi il termine è usato solo nel suo significato negativo a indicare l’indebita estensione di metodi scientifici ai più diversi aspetti della realtà.
Anche in inglese il termine conserva la caratteristica peggiorativa che ha assunto ormai in italiano [vedi scientism], identificando un tardo positivista, uno che crede che l'unico genere di conoscenza sia quella delle scienze sperimentali. Pinker si lamenta che, al di fuori del campo specifico di applicazione, chi difende e approva la scienza anche nelle discipline umanistiche sia visto come determinista, riduzionista, essenzialista e positivista. Tutto questo insieme all'accusa, ovviamente, di scientista. Lo scientismo, per Pinker, non è quell'insieme di definizioni piuttosto naif con significato peggiorativo che abbiamo intravisto sopra, bensì:

The mindset of science cannot be blamed for genocide and war and does not threaten the moral and spiritual health of our nation. It is, rather, indispensable in all areas of human concern, including politics, the arts, and the search for meaning, purpose, and morality.
The term “scientism” is anything but clear, more of a boo-word than a label for any coherent doctrine. Sometimes it is equated with lunatic positions, such as that “science is all that matters” or that “scientists should be entrusted to solve all problems.” Sometimes it is clarified with adjectives like “simplistic,” “naïve,” and “vulgar.” The definitional vacuum allows me to replicate gay activists’ flaunting of “queer” and appropriate the pejorative for a position I am prepared to defend.
Scientism, in this good sense, is not the belief that members of the occupational guild called “science” are particularly wise or noble. On the contrary, the defining practices of science, including open debate, peer review, and double-blind methods, are explicitly designed to circumvent the errors and sins to which scientists, being human, are vulnerable. Scientism does not mean that all current scientific hypotheses are true; most new ones are not, since the cycle of conjecture and refutation is the lifeblood of science. It is not an imperialistic drive to occupy the humanities; the promise of science is to enrich and diversify the intellectual tools of humanistic scholarship, not to obliterate them. And it is not the dogma that physical stuff is the only thing that exists. Scientists themselves are immersed in the ethereal medium of information, including the truths of mathematics, the logic of their theories, and the values that guide their enterprise. In this conception, science is of a piece with philosophy, reason, and Enlightenment humanism. It is distinguished by an explicit commitment to two ideals, and it is these that scientism seeks to export to the rest of intellectual life.
I due ideali sono questi: primo che il mondo è intelligibile, secondo che la conoscenza è una cosa assai dura.

La conoscenza. Fin qui tutto bene. Si può opinare fin che si vuole sul fatto che l'unica conoscenza certa sia quella scientifica oppure ritenere che il genere di conoscenza varia a seconda dei risultati che si vogliono ottenere o infine si può immaginare che ognuno può usare i metodi che vuole e può persino decidere se vuole conoscere o rimanere in una beata ignoranza. Sta di fatto che quanto più ci si avvicina alla necessità di una conoscenza certa, in qualunque campo, tanto più occorrono metodi di misurazione sicuri e ripetibili. Questa necessità è aumentata quando è in gioco la sopravvivenza di qualcuno. Non ci si può accontentare, in questo caso, di trattare le malattie come correnti letterarie, in cui diversi critici possono pensarle, situarle e parlarne come di cose diverse una dall'altra. In medicina, posto che sulla cura possono esistere visioni contrastanti, in genere esiste una certa uniformità di pensiero sui meccanismi fisiologici e patologici, almeno quando siano stati unanimemente individuati.

Mi chiedevo, dunque, se  definire lo scientismo come qualcosa di obsoleto e dogmatico, si potesse applicare anche al campo della medicina e, in maniera specifica, a quello evidenziato qui sopra. In generale, la medicina è una scienza eminentemente sperimentale, nel senso che non è sufficiente dire che una cura funziona perchè composta di elementi naturali o normalmente presenti nell'organismo, ma bisogna provarlo. Oltre questo, oltre l'attenzione che tanti ricercatori e medici mettono nel curare i loro pazienti, la medicina è piena di errori, e alcune metodiche in uso solo pochi anni fa ora sono completamente abbandonate non solo perchè sostituite da altre più nuove ma perchè proprio sbagliate.

Si vede, cioè, il ruolo che ha la verifica sperimentale, anche quella nel tempo, nello sviluppo delle terapie, e la necessità di continue verifiche e innovazioni. Queste cose le puoi ottenere se il genere di conoscenza al quale fai riferimento è stabile e non risente dell'opinione o dell'estro del parlante di turno. C'è chi potrà ritenere Cristo versus Arizona di Camilo Josè Cela alternativamente un capolavoro o un racconto illeggibile (per via dell'assenza di qualsiasi punteggiatura), disquisendo sui significati reconditi e palesi della tecnica utilizzata, delle metafore impiegate, dell'argomento trattato e così via, ma quando si tratta di curare l'ipertensione arteriosa esistono delle linee guida alle quali il medico, pur nella completa indipendenza di scelta, si deve attenere, se non vuole incorrere in una malpractice, penalmente perseguibile. Vi immaginate un critico letterario o artistico che rischia un'accusa formale per aver fornito un'interpretazione inconsueta di un romanzo o un quadro? Certo, non si finisce in galera nemmeno se non si conoscono le equazioni di Maxwell, ma se si è un ingegnere o un fisico a capo di una centrale elettrica, sì (per via dei danni che prima o poi si finirebbe col fare).

Quando dalla conoscenza ci aspettiamo risultati, o sulla conoscenza ci basiamo per costruire qualcosa, o la utilizziamo per distinguere chiaramente tra fenomeni diversi, dobbiamo fare affidamento su un genere di investigazione che ha caratteristiche di stabilità e riproducibilità. Molti confondono la scienza con le implicazioni di un metodo scientifico. Anche la grammatica, mantenendo regole costanti utilizza, in fondo, un metodo scientifico, perchè consente di trarre conclusioni e inferenze sul suo oggetto di studio indipendentemente dall'estro di chi le fa. Il critico d'arte che deve fare una perizia su un quadro e certificarne l'appartenenza a un preciso artista, utilizza una specie di  metodo scientifico, quando propriamente non ne fa uso diretto, perchè  si serve di tutte le regolarità obiettive che può utilizzare senza affidarsi unicamente alle sue intuizioni.

A maggior ragione regolarità e riproducibilità servono in campi nei quali è in gioco la sicurezza e la sopravvivenza. Quando su Think Progress retoricamente ci si chiede, per provare che la scienza non serve dappertutto,
Can research tell us whether it’s right to tax the rich to feed the poor? What experiment could prove that LGBT Americans deserve equal rights to civil marriage?
non considera che nel campo del diritto, proprio perchè non ci può affidare all'estro del giudice o del legislatore di turno, esistono leggi e costituzioni, e che queste leggi e costituzioni, non trovando una giustificazione migliore all'essere parziali e particolari  finiscono con l'essere obiettive e universali. La realtà stessa, come un continuo esperimento, si è premurata di dimostrarlo: leggi inique, ingiustizie e discriminazioni conducono alla conflittualità e al disordine. Le società sembrano tendere naturalmente alla giustizia, pur non essendoci una definizione universale e rigorosa del termine. La democrazia, sotto forma di un regime che applica a tutti le stesse regole e che le mantiene costanti nel tempo, è una forma di governo più stabile di altre, nelle quali invece prevalgono punti di vista estremi o particolari non condivisi da tutti.

Vedere, come fa Pigliucci, lo scientismo come l'opposto di pseudoscienza, e attribuire a entrambi caratteristiche negative, la seconda come cattiva applicazione della scienza e il primo come ingresso della scienza in campi non suoi, significa fare un torto allo scientismo, il quale potrà lamentarsi di mal indirizzare, eventualmente, solo una parte delle sue attenzioni mentre la pseudoscienza mal indirizza tutte le sue attenzioni. Tra scientismo e scienza non vi è dunque una differenza qualitativa ma quantitativa, cioè la quantità di argomenti nei quali utilizzarli. La conclusione è però questa: utilizzare la scienza e il suo metodo, i suoi modi di procedere basati sulle prove, il suo rivolgersi alla statistica quando non si è in grado di determinare precisamente tutti i meccanismi che producono un fenomeno, il suo servirsi di regolarità e l'affidare il giudizio quanto più spesso possibile a misurazioni e non opinioni, ebbene tutti questi atteggiamenti contribuiscono a fare della conoscenza scientifica una conoscenza quanto più certa possibile, rispetto a quella basata solo sull'intuizione e l'impressione personale, sulle quali spesso si costruiscono solo pregiudizio e stereotipi. Finchè chiederemo alla conoscenza di costruire qualcosa, una cura che guarisce, uno strumento preciso, una casa che non crolla, un motore che non esplode, un cibo che non avvelena, delle leggi giuste o una società migliore, dovremo affidarci a un modo di conoscere che possa essere utilizzato da tutti: come dire, dall'equità e dalla democrazia della conoscenza discendono tutte le altre forme di equità e democrazia.








2 commenti:

  1. Credo di essere d'accordo con te al 100%. Dico credo perché il post è particolarmente "pieno" di richiami, argomentazioni e riflessioni che tu hai magistralmente "intrecciato" per portare avanti il tuo ragionamento di fondo. E' completo e "complesso" (almeno per me) per poter essere analizzato nei dettagli. Ecco diciamo che sono assolutamente con te per quanto riguarda il ragionamento di fondo e le conclusioni a cui arrivi. Avrei invece bisogno di più riletture e maggiori approfondimenti per comprendere ed apprezzare anche gli specifici richiami.

    Insomma, c'è tanta ciccia a cuocere, ma tutta molto buona; ci si alza da tavola soddisfatti e questo è quello che un buon post mira normalmente a fare. Tu ci sei riuscito alla grande.

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  2. Grazie Marco, è una difesa accorata del metodo scientifico, applicabile secondo me ad ogni disciplina, anche se ad alcune non obbligatoriamente (nel senso che se si applica è meglio e si scoprono nuove cose, a parer mio).

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