domenica 6 ottobre 2013

Decadenza di Berlusconi e inconsistenza della retroattività della legge Severino

La legge 13 ottobre 2010, n. 175, prevede l'ineleggibilità del candidato che si avvale, per la sua campagna elettorale, di condannati in via definitiva. L'ineleggibilità consegue al fatto che il candidato subisce la stessa pena prevista per il pregiudicato,   che comporta l'interdizione dai pubblici uffici per la durata stessa della pena. Ecco cosa dice la legge
5-bis.1. Dal termine stabilito per la presentazione delle liste  e
dei candidati e fino alla chiusura delle  operazioni  di  voto,  alle
persone sottoposte, in forza di provvedimenti definitivi, alla misura
della sorveglianza speciale di pubblica  sicurezza,  ai  sensi  della
presente  legge,  e'  fatto  divieto  di  svolgere  le  attivita'  di
propaganda elettorale previste dalla legge 4 aprile 1956, n. 212,  in
favore o in pregiudizio di candidati partecipanti a qualsiasi tipo di
competizione elettorale.
Pregiudicati: no in campagna elettorale sì in Parlamento. E' strano però notare che la legge preveda che di pregiudicati non ci si possa avvalere  per la propria campagna elettorale ma che non ci sia nessun impedimento nel candidarli. Anche la legge di riferimento in tema di incompatibilità parlamentari, la 13 febbraio 1953, n. 60, elenca solamente tutta una serie di professioni incompatibili con la carica elettiva, tra le quali non figura però la condanna definitiva. Questo appare essere un pesante limite della legislazione.

Tale stato di cose divenne intollerabile soltanto nel 1992, anno in cui si decise di   impedire a un pregiudicato di accedere a una carica elettiva, ma solamente per le cariche locali, con esclusione cioè di quelle di deputato e senatore. Addirittura, contrariamente a quanto fa la Severino, la legge 18 gennaio 1992, n. 16,  prevedeva che per certi reati fosse sufficiente una condanna anche non definitiva. 

Rilievi di incostituzionalità e sentenze della Consulta. Già a suo tempo con la legge del 1992, a un primo rilievo di incostituzionalità, la Corte Costituzionale, con la sentenza 118 del 1994   stabiliva che 
Questa Corte ha già avuto varie volte occasione di rilevare, innanzitutto, che la finalità che si è inteso perseguire con la legge n. 16 del 1992 è quella di assicurare la salvaguardia dell'ordine e della sicurezza pubblica, la tutela della libera determinazione degli organi elettivi, il buon andamento e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche, allo scopo di fronteggiare una situazione di grave emergenza nazionale coinvolgente interessi dell'intera collettività, connessi a valori costituzionali di primario rilievo
Si è inoltre osservato che la legge medesima non contempla altro che "nuove cause di ineleggibilità che il legislatore ha ritenuto di configurare in relazione al fatto di aver subito condanne (o misure di prevenzione) per determinati delitti di particolare gravità" (cfr. cit. sent. n. 407 del 1992). In altre parole, per quanto riguarda l'ipotesi in esame, la condanna penale irrevocabile è stata presa in considerazione come mero presupposto oggettivo cui è ricollegato un giudizio di "indegnità morale" a ricoprire determinate cariche elettive: la condanna stessa viene, cioé, configurata quale "requisito negativo" ai fini della capacità di assumere e di mantenere le cariche medesime. 
[...] Non è certamente violato, in primo luogo, l'art. 25, secondo comma, della Costituzione, per il principale motivo che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l'invocato principio si riferisce alle sole sanzioni penali (cfr. sentt. nn. 823 del 1988, 250 del 1992); d'altra parte, come lo stesso remittente riconosce, nella specie si è in presenza della ordinaria operatività immediata di una legge, e non di retroattività in senso tecnico, con effetti, cioé, ex tunc. Parimenti non risultano lesi gli art. 51, primo comma, e 3 della Costituzione, censure che vanno esaminate - così come sono prospettate - congiuntamente. Alla luce della ratio della normativa come sopra individuata, non appare, invero, affatto irragionevole che questa operi con effetto immediato anche in danno di chi sia stato legittimamente eletto prima della sua entrata in vigore: costituisce, infatti, frutto di una scelta discrezionale del legislatore certamente non irrazionale l'aver attribuito all'elemento della condanna irrevocabile per determinati gravi delitti una rilevanza così intensa, sul piano del giudizio di indegnità morale del soggetto, da esigere, al fine del miglior perseguimento delle richiamate finalità di rilievo costituzionale della legge in esame, l'incidenza negativa della disciplina medesima anche sul mantenimento delle cariche elettive in corso al momento della sua entrata in vigore.
Dunque, per la Consulta, quelle prospettate dalla legge del 1992 non sono altro che nuove cause di ineleggibilità e non sanzioni  penali alle quali applicare la irretroattività. Anche altre pronunce della Corte Costituzionale, sempre con riferimento alla legge del 1992 che, ricordo, non riguardava però deputati e senatori, rilevavano trattarsi unicamente di altre cause di ineleggibilità che il legislatore aveva ritenuto di configurare. Sulla stessa legge Severino, da ultimo, si è espresso il Consiglio di Stato   [vedi su Giornalettismo la cronologia completa]
Il fine primario perseguito è quello di allontanare dallo svolgimento del rilevante munus pubblico i soggetti la cui radicale inidoneità sia conclamata da irrevocabili pronunzie di giustizia. In questo quadro la condanna penale irrevocabile è presa in considerazione come mero presupposto oggettivo cui è ricollegato un giudizio di "indegnità morale" a ricoprire determinate cariche elettive: la condanna stessa viene, quindi, configurata alla stregua di "requisito negativo" o “qualifica negativa” ai fini della capacità di partecipare alla competizione elettorale e di mantenere la carica (Corte Cost., sentenza 31 marzo 1998, n. 114, con riguardo all’analoga fattispecie delle cause di incandidabilità previste, in materia di elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali, dalla legge 18 gennaio 1992, n. 16).
Dalla premessa della caratterizzazione non sanzionatoria della norma che ha trovato applicazione nel caso in parola discende il corollario della non pertinenza del riferimento all’ esigenza di addivenire ad un’interpretazione compatibile con le disposizioni dettate dall’art. 25 Cost., in materia di sanzioni penali, e dall’art. 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, in tema di misure lato sensu sanzionatorie.
[...] Alla luce della ratio della normativa come sopra individuata, non appare, invero, irragionevole la prevista incandidabilità di chi abbia riportato una condanna precedente all’entrata in vigore dello jus superveniens : costituisce, infatti, frutto di una scelta discrezionale del legislatore, certamente non irrazionale, l'aver attribuito all'elemento della condanna irrevocabile per determinati reati una rilevanza così intensa, sul piano del giudizio di indegnità morale del soggetto, da esigere, al fine del miglior perseguimento delle richiamate finalità di rilievo costituzionale della legge in esame- connesse ai valori dell’imparzialità, del buon andamento dell’amministrazione e del prestigio delle cariche elettive - l'incidenza negativa sulle procedure successive anche con riguardo alle sentenze di condanna anteriori alla data di entrata in vigore della legge stessa (così Corte Cost., sent. n. 118/1994 cit.).
Insomma, anche per il Consiglio di Stato, leggi come la Severino  e, prima ancora, per la Consulta la legge 18 gennaio 1992,  non costituivano sanzioni penali ma altre cause di ineleggibilità che il legislatore, Costituzione alla mano (articolo 65), può prevedere.

Nè incostituzionale nè retroattiva. Appare dunque ragionevolmente pretestuosa la polemica sollevata da chi pretende che la Severino -e la legge 18 gennaio 1992- costituiscano una sanzione penale, quando una sufficiente giurisprudenza ha già stabilito non esserlo. Tanto più che, come prevede la Costituzione, la legge stabilisce che, in ultima istanza, siano sempre le Camere ad avere l'ultima parola e a decidere, come in questo caso, della decadenza di un parlamentare. Non si pone dunque la questione della retroattività della sanzione penale, appunto perchè per questi organi giurisprudenziali queste leggi non prevedono sanzioni, nè tanto meno possono prospettarsi profili di incostituzionalità, per la facoltà del legislatore, in forza dell'articolo 65 della Costituzione, di prevedere cause di ineleggibilità.

Prefetti no, pregiudicati sì. Infine, dal un punto di vista del comune sentire, appariva quanto meno paradossale che la legge prevedesse incandidabilità, ineleggibilità e incompatibilità parlamentari, per esempio di figure come quella di un prefetto o di un magistrato ma non di un condannato in via definitiva. Finalmente, una legge scritta sotto pressione delle istituzioni europee, includeva l'essere pregiudicati tra le cause di ineleggibilità. Il caso ha voluto che il primo parlamentare ad incappare nelle maglie di una legge attesa per oltre 50 anni fosse Silvio Berlusconi -capace a suo tempo di votare la legge Severino e oggi di considerarla incostituzionale- figura che ha fatto della lotta alla magistratura  la sua ragione politica, sostenuto in questo dalla sua parte politica. Ma il rispetto per una legge attesa per così tanto tempo deve venire prima dell'interesse particolare di chi in quella legge incappa, pena vanificare tutto il tempo passato nell'attesa di un po' di giustizia anche per quella che viene da un po' di tempo definita la casta politica.



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