giovedì 24 ottobre 2013

Luci e ombre del modello economico della Germania: dal lavoro super tutelato ai mini-job

La Germania, in questi tempi di crisi, è alternativamente additata sia come modello di riferimento che come causa di ogni male europeo, in una vera e propria schizofrenia di giudizio che risente ampiamente della drammatica situazione che stiamo vivendo. Al di là del riconoscimento di colpe o meriti specifici c'è la ricerca di possibili modelli di riferimento, uno su tutti quello economico, visto che comunque l'economia tedesca tira. Gli estimatori del modello economico tedesco  evidenziano gli stipendi dei lavoratori tedeschi, soprattutto del comparto automobilistico mentre  i detrattori  puntano il dito sulla disparità di trattamento dei cosiddetti mini-job.
I mini-job sono forme di assunzione senza nessuna tutela, ovvero senza contributi previdenziali, generalmente sottopagati, in cui non esistono garanzie sindacali e si può essere licenziati per qualsiasi motivo.
Sono stati introdotti in epoca Schroeder circa 10 anni fa ed erano stati pensati come lavoro part time. Uno stipendio medio dei mini-job si aggira sui 400 euro mensili. Il problema è che, anche se inizialmente introdotti per consentire di svolgere un secondo lavoro o un lavoro part time senza troppe regole, a causa della loro estrema convenienza sono stati sfruttati ampiamente dai datori di lavoro che li hanno utilizzati in maniera massiccia. Attualmente si ritiene che siano 7,5 milioni gli occupati con questa forma di contratto.

In questo servizio di Euronews si traccia un  breve profilo della situazione occupazionale tedesca partendo dalle aziende automobilistiche di eccellenza per arrivare ai mini-job.




Un giudizio fortemente critico è quello espresso in questo reportage andato in onda sulla televisione tedesca in cui si testimoniano le condizioni in cui vivono molti stranieri giunti in Germania e impiegati con  i mini-job. Le definiscono condizioni al limite dello schiavismo.



Un'altra voce critica è andata in  onda martedì a Ballarò, con un servizio dalla Germania riguardante lavoratori italiani. Accedere ai sussidi di disoccupazione obbliga ad accettare qualsiasi lavoro ti offrono, che quasi sempre è un mini-job.  Inoltre, quando ricevi lo stipendio, spesso di poche centinaia di euro, il sussidio viene fortemente ridotto. Il risultato è che guadagni di più con il solo sussidio che con stipendio più parte di sussidio, ma se non accetti ogni lavoro che ti offrono cominci a perdere parti dei contributi e poi finisci con il perderli del tutto.




Ma non esistono solo voci critiche, nè in generale sul sistema occupazionale tedesco e il suo welfare nè sullo specifico dei mini-job. Per esempio, Perazzoli su MicroMega ricorda che l'origine dei mini-job venne dall'esigenza di fornire un sistema di assunzione part time molto flessibile, senza impicci burocratici e che consentisse una contrattazione rapida. In più, lo stipendio derivante dai mini-job può essere sommato ai sussidi di disoccupazione, anche se nel filmato di Ballarò venivano decurtati pesantemente, e al pagamento dell'affitto e delle spese mediche. Questo, chiaramente, al di là della condizione dei lavoratori strutturati delle case automobilistiche, con stipendi anche doppi o tripli rispetto ai nostri, secondo quanto dice Perazzoli. Certamente una cosa del genere ancora ce la sogniamo, in Italia, sia in riferimento al sussidio di disoccupazione che al trattamento economico di lavoratori metalmeccanici. 
Anche sul versante della tutela sindacale  sembra che la Germania offra garanzie aggiuntive rispetto alla situazione italiana, almeno quella che si vorrebbe prefigurare Ne parlano su Keynesblog, a proposito dell'eterno tentativo dei governi italiani di modifica dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori:
“Proprio nella Germania della Merkel – dice il professor Piergiovanni Alleva, – sulla tutela del lavoratore in caso di licenziamento le regole sono estremamente chiare [...] senza giusta causa il licenziamento è nullo. Il lavoratore resta al suo posto. Il sindacato, i consigli di fabbrica devono dire la loro, dare l’assenso, altrimenti non si muove foglia. Il datore di lavoro può ricorre al giudice presentando le sue ragioni per il licenziamento. Si chiama ‘motivo personale’. Come da noi, il giudice decide se ha ragione il lavoratore o il datore di lavoro, se riconoscere la sussistenza o meno di un ‘motivo personale’ che giustifichi il licenziamento.
Altro aspetto da prendere in considerazione, evidenziato dall'articolo, riguarda il ruolo dei sindacati all'interno dell'azienda, capace di frenare pure la delocalizzazione:
Molte imprese tedesche sono cogestite, ovvero i rappresentanti dei lavoratori siedono nel “consiglio di sorveglianza” dell’impresa e possono così influenzare le scelte aziendali. Questo, negli ultimi anni, anche grazie alle riduzioni di orario concordate e al contenimento salariale, ha limitato  la fuga delle produzioni all’estero.
Interessante anche il sistema del welfare tedesco, chiamato Hartz IV, che prevede un sistema di sussidi che va da uno stipendio minimo al contributo per l'affitto più quello per ogni figlio a carico. Di seguito un  breve riassunto tratto da Germaniaitalia-job mentre, per ulteriori notizie, consiglio la pagina relativa di en.wikipedia Hartz concept:
Inizialmente chi perde il lavoro percepisce, come avviene anche in altri paesi europei, un sussidio di disoccupazione, per un periodo di tempo massimo di 12 mesi, pari a circa il 60% dell'ultimo stipendio netto ricevuto.
Dopo un anno senza lavoro scatta Hartz IV. Il welfare tedesco prevede per un single un importo pari a 374 € mensili a cui vanno aggiunti circa 300 € per l'affitto (questo importo varia nei diversi Länder); una famiglia invece percepisce un contributo di 337 € per ogni adulto, 219 € per ogni bambino e 550 € per l'affitto.
Può anche succedere che una coppia, pur avendo un lavoro, non riesca a mantenere la famiglia ed anche in questo caso può entrare in campo il sistema Hartz IV per fornire sostegno a chi ne ha bisogno.
Questo sistema prevede accurati controlli per evitare che in molti se ne approfittino, inoltre viene prolungato ogni sei mesi, affinché la gente sia stimolata a trovare lavoro. Chi non ha voglia di lavorare, come già accennato, viene pesantemente sanzionato dal sistema del welfare tedesco, giungendo anche a perdere tra il 10% ed il 30% del sussidio.
Quali conclusioni si possono trarre sul mondo del lavoro tedesco e sul suo sistema di welfare? Certamente gli aspetti positivi sono numerosi. Pensiamo per esempio alla situazione dei lavoratori nelle case automobilistiche, oppure al modo di operare dei sindacati, che spesso entrano a far parte degli organismi dirigenziali dell'azienda o alle tutele per i lavoratori in tema di licenziamento. Pensiamo anche al sistema del welfare, che prevede diversi meccanismi e contributi, compresi quelli riguardanti affitto e cure mediche. Infine, però, ci sono i mini-job, forme di assunzione senza regole e garanzie contributive nate per facilitare l'assunzione part time e poi invece utilizzate come  assunzione principale da un numero sempre più grande di imprese. E' indubbio che questo rappresenta una degenerazione dell'intento iniziale, soprattutto se si considera che in Germania non c'è un livello di retribuzione minimo e i salari possono arrivare anche a pochi euro l'ora. Questo stato di cose si ripercuote soprattutto sugli immigrati, facilmente assumibili a bassi costi e altrettanto facilmente licenziabili. E' grazie all'innaturale estensione di questa forma di assunzione, che coinvolge circa 7,5 milioni di lavoratori, che la Germania ha livelli così bassi di disoccupazione, ma questo è purtroppo una degenerazione del sistema, e quello che doveva essere un secondo lavoro integrativo o un lavoro part time è diventato per molti il lavoro principale, anche se estremamente sottopagato. Se i tedeschi sapranno risolvere l'anomalia che, occorre ricordare, è molto favorevole agli imprenditori e non così favorevole per i lavoratori, avranno probabilmente a disposizione uno dei migliori sistemi occupazionali e di welfare. Ma certamente, dal confronto con il nostro, probabilmente brilla anche così com'è.




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