domenica 26 gennaio 2014

La ricetta del governo per ridurre lo spread: deprimere la domanda interna

Chissà perchè, pensando alle recenti dichiarazioni di Letta sullo spread,  mi viene in mente quel vecchio adagio che dice: l'operazione è perfettamente riuscita ma il paziente è morto. Forse perchè l'ultima vanteria del governo, quella sul beneficio dovuto alla diminuzione dello spread,  non è così reale come si vorrebbe far credere. Certamente, secondo i calcoli più realistici di Giannino (rispetto a quelli del governo), tra 2012 e 2013 c'è un risparmio di circa 2,7 miliardi negli interessi pagati sul debito, e questo senza dubbio si deve all'abbassamento dello spread (anche se occorre utilizzare il dato con cautela, almeno secondo quanto osservato alla nota 4 in un articolo della Voce, vedi citazione più sotto). Ma a che prezzo è stato ottenuto? Ecco intanto il botta e risposta tra ufficio stampa della Presidenza del Consiglio e Oscar Giannino sul risparmio:
Nel consuntivo "reale" 2012 è lo stesso Ministero dell'Economia ad aver precisato che l'esborso effettivo per la finanza pubblica in interessi sul debito pubblico fu di 86,7 miliardi.
Ergo se, come tutti speriamo, nel 2013 la cifra reale degli interessi confermerà le previsioni del governo Letta, 83,9 miliardi, avremo risparmiato poco più di 2,7 miliardi sul 2012, non 5.

Come osservano sulla Voce Bella, Di Sanzo e Mauro, il rendimento nominale dei titoli di Stato  è effettivamente calato da fine 2011, cioè dalle dimissioni del governo  Berlusconi,  fino ad arrivare ai minimi odierni, ma se si osserva il rendimento reale, cioè il risultato della differenza tra rendimento nominale e inflazione, il valore è identico a quello di fine 2011. Si guardi il grafico della Voce:





Questo è accaduto perchè il tasso di inflazione è passato dal 3,5% allo 0,5% circa, cosa che ha fatto lievitare il rendimento reale dei titoli di Stato nonostante l'abbassamento del tasso nominale e, allo stesso tempo, prospettare il rischio deflazione (diminuzione dei consumi e dei prezzi). Ma qual è la relazione con l'andamento dello spread? Gli autori affermano che la diminuzione dello spread è dovuta a una riduzione del differenziale inflazionistico tra Italia e Germania, dato che per i tedeschi i prezzi al consumo sono rimasti tutto sommato stabili mentre da noi c'è stato quella caduta mostrata sopra. Questo crollo dell'inflazione si deve alla teoria macroeconomica che afferma che per ridurre lo spread occorre un
aggiustamento della bilancia commerciale via minori importazioni dovute al raffreddamento della domanda interna e via maggiore competitività di costo che comporta maggiori esportazioni.
Questo significa che bisognava ridurre il consumo interno per importare meno merci e aumentare le esportazioni attraverso una diminuzione dei costi. Il primo obiettivo è stato perfettamente raggiunto: in Italia le importazioni sono diminuite perchè i consumi sono calati, e così molte aziende sono costrette a mettere in cassa integrazione i dipendenti o a chiudere e la fascia di povertà si è conseguentemente  allargata.
Non so se è un risultato del quale andare fieri ma, comunque sia, lo spread si è ridotto. Come conseguenza, però, è aumentata la disoccupazione (dal 10,70% del 2012 al 12,70% del 2013), è aumentato il debito, ed è calato il PIL e anche le previsioni, ottimistiche, per il 2014 sono in ribasso. Siamo sicuri che abbiamo fatto un affare? Le conclusioni dei tre autori della Voce non sono consolanti:
Per questa via, presto avremo spread nulli e vivremo per sempre infelici e scontenti – cioè disoccupati e con aspettative strutturalmente decrescenti sul futuro tenore di vita.


image credit lavoce.info






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