Filosofia

Alla ricerca di una definizione fisica di Dio



credit it.wikipedia

Quando si parla di cosa c'era prima del Big Bang (prima dell'inizio) forse fisica e metafisica pari sono. A volte però la filosofia esagera. Ce ne dà un'idea un filosofo, Antony Flew, famoso ateo convertito alla fede  che nel suo libro Dio esiste  a un certo punto raccoglie i pensieri di un altro filosofo, Richard Swinburne, professore emerito di filosofia ad Oxford
C'è una buona probabilità che Dio, se ne esiste uno, capirà qualcosa dello stato circoscritto e della complessità di un universo. E' molto improbabile che possa esistere un universo non causato ed è invece alquanto più probabile che possa esistere un Dio non causato (grassetto mio). Quindi, la tesi che va dall'esistenza dell'universo all'esistenza di Dio è una buona argomentazione per l'induzione di tipo C.
Mi sembra che il ragionamento in grassetto della citazione qui sopra sia piuttosto difettoso: perchè un universo dovrebbe essere causato mentre un Dio no? Probabilmente perchè un universo deve sottostare a leggi fisiche, scoperte o da scoprire, mentre Dio non sottosta mai a nessuna legge fisica. E' per questo che si può affermare che dove si mette in mezzo Dio, termina la ricerca. Si può agevolmente notare che una spiegazione à la Dio può essere invocata in qualsiasi situazione nella quali ne manchi una: è la risposta buona per tutte le domande, il jolly universale.
Però, dico io, se Dio deve essere, proviamo a ipotizzare che specie di Dio dovrebbe essere. Dico dovrebbe nel senso di identificare qualcuno o qualcosa che sia in grado di dare origine all'universo, con tutto quello che vi è dentro, materia, energia e leggi fisiche. In fondo, i fisici non possono dire di non stare cercando qualcosa di simile, sia con la Teoria della grande unificazione, detta anche Gut, per quel che riguarda l'unificazione delle tre forze fondamentali elettromagnetica, debole e forte, sia con la Teoria del tutto (Toe), che cerca di combinare alle precedenti anche la gravità sia, a maggior ragione, con le teorie riguardanti quello che c'era prima dell'inizio, cioè prima del Big Bang.
Il problema con Dio, però, non è solo legato alla definizione di parametri sufficienti a spiegare l'universo (pur con i limiti stabiliti da Godel, che alcuni ritengono validi anche per la fisica) ma vi è anche il problema riguardante la logica sottostante alla vita, uomo compreso. Perchè,  se molto sbrigativamente i sostenitori di Dio si affrettano ad affermare e Dio creò l'universo, per quanto riguarda invece certe caratteristiche inerenti l'interazione tra umani e per la fede in Dio, sono portati ad essere molto meno sbrigativi e a riempire le loro affermazioni di corpose disquisizioni? Certo, le disquisizioni non riguardano mai i postulati fondamentali ma solo le risposte da dare alle legittime domande dei fedeli, quando questi ultimi scorgono una certa qual discordanza tra i dettami della fede e gli eventi della vita, più o meno drammatici.
E' per questo motivo che non è senza senso cercare di definire un Dio possibile sia dal punto di vista fisico che da quello comportamentale, finendo poi magari per unire le due questioni. 
Anche se i fisici si limitano a considerare solo i fenomeni osservabili e sperimentabili e diffidano di tutto quello che non può essere misurato, la questione di cosa c'era prima dell'universo prende anche loro e non solo i filosofi. 
credit astronomy.swim.edu.au
Per quel che ne sappiamo Dio potrebbe essere proprio quella parte dell'inizio che i fisici chiamano singolarità. Se la singolarità è quello stato in cui la gravità è infinita e se questo stato noi possiamo associarlo (con tutte le cautele) a quello di un egoismo estremo, allora il Big Bang, ovvero l'aprirsi all'esistenza, potrebbe essere visto come una forma di altruismo estremo, un darsi per favorire l'esistenza (degli altri) concetto  in linea con alcune definizioni  di Dio.




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Il mio amico filosofo #3







Un bel giorno il mio amico filosofo, di cui forse vi ho già parlato, si mise in testa di dimostrare che dallo sguardo delle persone emana un'energia misurabile. Ne era talmente convinto, così come gli capitava frequentemente delle cose più disparate, che immediatamente si diede da fare per allestire una sorta di Macchina per misurare l'energia proveniente dallo sguardo. Questi suoi accessi, ancorchè sembrassero prenderlo completamente e improvvisamente, erano altresì anche piuttosto effimeri  e, solitamente, c'era da giurare che l'enfasi scemasse prima che si potesse giungere a qualche risultato.
Così, un languido pomeriggio di fine estate del 19.. mi incamminavo di mala voglia lungo strade assolate e deserte alla volta della casa del mio amico, dalla quale magione egli mi chiamava per mostrarmi non so quali novità.
Giuntovi, lo trovai completamente preso nel suo laboratorio (una stamberga senza finestre e con una gran porta metallica), davanti a una specie di parallelepipedo costruito con   quello che quasi certamente doveva essere del vetro perfettamente trasparente. Nella parte superiore di questa scatola vi era una specie di cilindretto metallico dal quale spuntava una piccola asta. La parete di vetro doveva essere forata perchè dentro, all'interno della scatola di vetro, scendeva un filo metallico che terminava in una specie di semicerchio. Lungo quello che chiameremo diametro di questo semicerchio, si arrotolava un altro filamento e il tutto si trovava a poca distanza da una serie di cilindretti metallici a scalare, di cui il terzo e ultimo era appoggiato sulla base della scatola in vetro.
Sia i cilindretti dentro la scatola che quelli sopra la scatola erano collegati con dei fili elettrici ad una pila posta a lato della scatola. Lo trovai, dunque, tutto intento a osservare dal lato lungo della scatola quel semicerchio interno. Senza muoversi di un millimetro mi fece cenno con la mano di affrettarmi, ma un attimo dopo irruppe in una clamorosa esclamazione: -Si è mosso! per tutti gli dei dell'olimpo si è mosso!....forse...accidenti, vi aspettavo come testimone oculare, ma giungete troppo tardi, amico mio!- Era così sovreccitato che i suoi occhi risplendevano come tizzoni.
-Calmatevi amico mio, mi sembrate fuori di voi! - esclamai ingenuamente, aggiungendo -a che giungo troppo tardi, ordunque?- .
-Lasciate che vi spieghi,- disse lui, calmandosi un poco.
Egli mi mostrò un foglio nel quale vi era disegnata la figura che vedete qui sotto. La sua perizia, in qualsiasi cosa si cimentasse, era a volte sorprendente.

-Vedete, - mi disse, - questo è il macchinario inventato dal dottor Charles Russ. Egli pubblicò un articolo qualche anno fa su Lancet, in cui parlava dei suoi esperimenti sui raggi visivi. Questo è l'articolo, - disse poi mostrandomi una rivista. -Russ partì dalla considerazione che fissare qualcuno diventa, dopo breve tempo, intollerabile per il soggetto fissato e volle comprenderne il motivo. Egli ipotizzò che dagli occhi partissero dei raggi visivi che andassero poi a collidere sulla retina o sui raggi visivi dell'altro, costringendo le persone a distogliere lo sguardo dopo qualche secondo. Per dimostrare che lo sguardo era in grado di produrre un campo magnetico inventò questo macchinario: è composto da una scatola in vetro o in metallo a. Nella parte superiore vi è un disco, collegato con un filo a una batteria h, che sostiene un solenoide all'interno della scatola di vetro grazie a un cavetto c. Sotto il solenoide vi è un altro disco collegato alla batteria dal filo g. Il circuito è chiuso e tra il solenoide e il disco si crea un piccolo campo elettrostatico, che però non è in grado di far scoccare una scintilla. Quando si interviene con lo sguardo, fissando un lato o l'altro del solenoide, quest'ultimo si muove dalla parte in cui è fissato con lo sguardo. Almeno questo è quanto afferma Russ.- concluse il mio amico, che durante tutta la spiegazione mi aveva fissato come fosse in trance , e che poi si girò verso la scatola  sopra pensiero.
-Proviamo di nuovo,- aggiunse d'un tratto rivolto a me, -e voi osserverete se il solenoide si muove!-
Provammo un paio di volte ma il solenoide non si mosse. Il mio amico parve veramente affranto tanto che si lasciò cadere su una poltrona tutta impolverata e lì sarebbe sicuramente   rimasto per un bel pezzo. Toccò a me, quella volta, cavarlo d'impaccio.
-La conoscete la storia del buon samaritano?- dissi al mio amico e senza aspettare la sua risposta continuai. -Un tizio arriva ai piedi di una stradina di montagna e inizia la faticosa salita. A un certo punto, quando è circa a metà della salita, arriva trafelato dalla cima della montagna un individuo che lo costringe bruscamente a ritornare indietro. In un'altra versione, invece, l'individuo che arriva dalla cima della montagna aiuta il tizio a salire. Chi dei due è il buon samaritano?-
Il mio amico, che per la breve durata del mio racconto era rimasto come in trance apparentemente preso dai suoi pensieri, quando ebbi terminato si riscosse e il viso gli si rischiarò.
-Ahahahahahah, - egli esplose in una risata fragorosa, poi disse -grazie amico mio, siete proprio un vero amico! Andiamo a bere alla nostra amicizia.- E con ciò uscimmo.



Fonti:
Charles Russ, An Instrument which is Set in Motion by Vision or by Proximity of the Human bodyLancet 201: 222-234 (30 July 1921)
Bruce M. Hood, Supersenso, il Saggiatore





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Il mio amico filosofo #2



photo flickriver.com


In realtà non so bene come fu che si venne, un giorno che si era placidamente seduti sotto un ombrellone, con un venticello che rinfrescava quella cocente estate del 19.., a parlare di api e vespe. Eravamo io e il mio amico filosofo, placidamente intesi a far niente.
Forse fu il panorama che si stendeva davanti ai nostri occhi, una campagna assolata e fremente, che fornì l'argomento di discussione che ci scosse dal nostro torpore.
-Che meravigliose creature, - dissi, -sono le api...- e troncai  il discorso a metà, in parte perchè  essendo l'affermazione giunta alla mia coscienza  in un empito anche troppo frettoloso si era dispersa prima ancora che potessi completare la frase, e in parte perchè a volte è più bello accennare solamente  agli argomenti, lasciando una parte di non detto che l'interlocutore completa a suo piacimento, continuando poi quel dialogo smozzicato fatto solo di accenni.
-Se vi riferite  a quell'insetto che si è appena posato su una foglia di basilico, non si tratta di un'ape ma di una vespa, e precisamente di una vespa cartonaia - disse il mio amico distrattamente. La precisione estrema, per lui, la stessa dimostrata in questo frangente, era un evento opzionale, appariva e spariva improvvisamente, come un temporale estivo.
-Poco importa- continuai, -sono comunque insetti formidabili...mi chiedo a volte come riescano a trovare la via di casa...-. Ecco che improvvisamente, solo dopo aver avviato casualmente un discorso, si affacciava alla mia mente il reale motivo per cui l'avevo mosso: avevo sempre immaginato che la parola sciame, che descrive perfettamente un nugolo di questi simpatici insetti, non senza motivo contenesse al suo interno la parola scia, giacchè pensavo che codesti imenotteri lasciassero, a tutti gli effetti, una scia e che quella seguissero per ritornare.
Non so se il mio amico ascoltasse la mia risposta perchè, senza altro preavviso, continuò così: -Immaginiamo un disegno di una figura umana su un foglio. Come pensate che vedrebbe, quel disegno? Avendo solo due dimensioni e non potendo ruotare la testa su un terzo asse vedrebbe unicamente davanti a sè. Ad ogni modo, egli non vedrebbe mai il suo mondo così come lo vediamo noi, esseri tridimensionali. Ora, allo stesso modo in cui noi osserviamo lui, sarebbe possibile immaginare un ipotetico osservatore quadridimensionale che osserva noi? E via di questo passo, quante dimensioni spaziali sono ipotizzabili?-
Per tutta risposta sprofondai nel silenzio, dando prova di una eccellente imperturbabilità.
-La scienza ci viene, in parte, in aiuto - continuò, -affermando che le dimensioni spaziali superiori a 3 operano con più probabilità nel mondo microscopico che in quello macroscopico, a significare una specie di limite fisico superiore alle dimensioni macroscopiche possibili.
-Ma qual è questo limite superiore, - dissi infine scuotendomi con un sobbalzo, -3 ... 4?-
-Non si sa con certezza,- disse lui. -A volte immagino una scena come questa: a un ipotetico osservatore quadridimensionale potrebbe accadere di vedere le nostre vite, i nostri pensieri, le nostre pulsioni, insomma tutta la nostra storia da quando nasciamo, come una specie di scia continua, un arabesco che disegna un grafico, il quale rappresenta noi e soltanto noi, come un'impronta genetica o digitale. E dopo un po', questa nostra storia sotto forma di scia, questo disegno continuo, dovrebbe sembrargli così noioso, così prevedibile.
Forse è perchè una dimensione in più o in meno è in grado di conferire predicibilità o impredicibilità: per esempio, per noi esseri tridimensionali, la storia di quell'uomo disegnato su un foglio di carta è così prevedibile, tutto il suo mondo ci è così chiaro che ci sembra di sapere tutto mentre lui, che vive in un mondo che per lui rappresenta comunque tutto, forse nemmeno immagina, nemmeno prevede, che esiste un mondo superiore, che lo sta osservando proprio in questo momento...-


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Il mio amico filosofo #1





Ad ognuno sarà capitato di conoscere o di avere per amico una persona estrosa, un po' fuori del comune, quasi bizzarra. Devo dire che la cosa capitò anche a me. Si era verso la fine dell'estate del 19.., seduto  in un bar di Caracas a gustarmi una guarapita in compagnia di questo mio amico. Egli era o si faceva passare per filosofo. Era un convinto assertore della conoscenza inconscia ovvero riteneva che ognuno di noi conoscesse le cose in maniera inconsapevole, senza rendersene conto, purchè avesse a disposizione tutti gli elementi. Una caratteristica peculiare che accompagnava questo suo tratto era quella di leggere due o tre libri contemporaneamente, ma non nel senso di cominciarne a leggerne uno, smettere, cominciarne un altro e così via, no non così. Egli li leggeva proprio contemporaneamente. Li apriva tutti e tre, li appoggiava sulla scrivania e cominciava a leggere dalla prima riga in alto a sinistra e poi continuava nella riga consecutiva della pagina a fronte dello stesso libro per continuare nel secondo e nel terzo, arrivato al termine del quale andava a capo nella seconda riga del primo libro, e così continuava.
-Ma riesci a capire qualcosa di quello che leggi? - solevo chiedergli.
Così quella volta, tanto per abbattere la noia, gli feci una domanda che già altre volte gli avevo fatto, sempre ottenendone risposte diverse: -Secondo te, c'è un senso nella vita?-  Anche quella volta mi sorprese.
-Una volta un tale, -  mi disse, - preparò una certa quantità di bicchieri di birra tutti uguali, ma in una metà dei bicchieri versò anche dieci gocce di aceto balsamico senza dirlo a nessuno, poi chiese ad alcune persone di assaggiare da entrambi i bicchieri (quello senza aceto e quello con aceto) e di dirgli qual era il migliore. Risultò che il bicchiere di birra con l'aceto balsamico era il migliore. Con una differenza: a coloro a cui non disse niente piaceva di più la birra con l'aceto balsamico aggiunto mentre a coloro cui disse dell'aggiunta prima di bere piacque di più il bicchiere senza aceto. E' la potenza dell'aspettativa, - concluse.
- Ma, - ribattei io pensieroso, - questo ha a che fare con quello che ti ho chiesto, vi è un segreto collegamento tra questi due fatti?
-Mah, - rispose, - non saprei dirti, è una cosa che lessi insieme a un libro sul senso della vita e a uno sulla schizofrenia, ed è quello che mi è rimasto più impresso di quella triplice lettura.

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