giovedì 31 marzo 2011

Sulla brevità nella giustizia: processo breve e prescrizione breve


Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell'art. 111 della Costituzione e dell'art. 6 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo. Così si chiama il Progetto di legge n. 277, meglio conosciuto come processo breve, già approvato in Senato il 27 gennaio 2010 e ora in lettura alla Camera, che introduce il tema della ragionevole durata del processo sia civile che penale. Ecco un estratto con i nuovi riferimenti delle durate dei processi relativamente al grado di giudizio e all'entità della pena.

Passato invano tale periodo, il giudice avrebbe dovuto dichiarare estinto il procedimento per violazione dei tempi di durata ragionevole. Ora, le vibranti proteste delle opposizioni e delle associazioni dei magistrati inducevano la maggioranza a modificare l'articolo 5 con un emendamento del relatore Paniz che, mentre sopiva le polemiche sostituendo l'estinzione con una segnalazione al Ministro della Giustizia e alla Cassazione,  però introduceva un nuovo tema di discussione: la riduzione dei tempi di prescrizione per gli incensurati non ancora condannati con sentenza di primo grado, la cosiddetta prescrizione breve.
Il Consiglio Superiore della Magistratura, richiesto, fornisce il suo parere sulla Proposta di legge. Per prima cosa rileva un'incoerenza. Pur decidendosi a modificare la durata dei processi, riducendola, per fronteggiare l'emergenza degli indennizzi ai quali è sottoposto lo Stato, dall'altra parte rischia di aumentarli proprio a causa di quella riduzione della  durata
"In primo luogo, il lievitare delle domande di equa riparazione, determinato dall’abbassamento da tre a due anni del termine di durata ragionevole del primo grado di giudizio, comporta inevitabilmente l’ aumento considerevole degli oneri finanziari a carico dello Stato per l’erogazione degli equi indennizzi, ex lege n. 89/2001. Non di meno, alla richiamata modifica normativa, non si accompagna alcuna specifica previsione di spesa, come imporrebbe il disposto di cui all’art. 81 Cost.. 
Oltre a ciò, occorre ancora sottolineare  che il consistente abbassamento del termine di ragionevole durata dei giudizi di primo grado - rispetto a quanto già previsto dal citato D.D.L. n. 1440 - determinando l’incremento dei danni finanziari a carico dello Stato, per le spiegate ragioni, sembra contraddire la finalità perseguita dal legislatore, secondo quanto emerge dalla relazione di accompagnamento al D.D.L. n. 1880, ove si precisa  che gli indennizzi corrisposti ai sensi della legge Pinto rappresentano una vera e propria emergenza che il D.D.L. intende fronteggiare attuando il principio della durata ragionevole dei processi, sancito sia nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art. 6), sia nella Costituzione (art. 111)."
In più, la riduzione dei termini di durata porta come conseguenza l'aumento del numero dei procedimenti da doversi trattare velocemente, senza peraltro adeguato aumento di personale e risorse.
La fissazione di un termine perentorio entro il quale arrivare comunque a una sentenza non piace al CSM. Infatti, a questa visione, si oppongono alcune considerazioni di questo tenore
"La soluzione individuata nel D.D.L. n. 1880 predefinisce i tempi di durata dei gradi di giudizio ma non garantisce che il processo pervenga ad una decisione di merito. 
Come dire: si assegnano due ore per ogni intervento chirurgico, scadute le quali il paziente è riportato comunque in reparto, nello stato in cui si trova. Tempo scaduto. L’intervento è terminato, anche se il problema clinico non è risolto ed il paziente non guarirà. 
Fuor di metafora: la previsione della estinzione dello strumento processuale, quale effetto automatico derivante dal decorso di predeterminati limiti temporali ostacola il perseguimento della primaria finalità che giustifica la celebrazione di ogni processo penale, vale a dire la verifica, in forme garantite, della fondatezza dell’ipotesi d’accusa." 
E ancora, osserva come l'istituto della durata ragionevole possa cozzare contro le legittime pretese della parte offesa
"L’istituto dell’ estinzione processuale non appare in linea oltre che con il principio del giusto processo in senso oggettivo anche con altri principi costituzionali, poiché depotenzia lo strumento processuale, attraverso il quale lo Stato esercita la pretesa punitiva ed irragionevolmente  sacrifica i diritti delle parti offese coinvolte nel meccanismo estintivo previsto dall’art. 2 del D.D.L. n. 1880, cioè a dire dei cittadini che hanno denunziato allo Stato i fatti di notevole gravità dei quali sono stati vittime." 
Sulla questione poi della cosiddetta prescrizione breve per l'imputato incensurato, il CSM rileva
"Forti perplessità suscita la normativa proposta nella parte in cui  discrimina l’accesso alla durata ragionevole del processo in ragione dell’essere l’imputato incensurato. 
L’idea di riservare il diritto alla rapidità del processo solo agli imputati incensurati crea di fatto un regime difficilmente comprensibile, costruito come un  privilegio da negare a coloro che, a causa di una qualunque precedente condanna a pena detentiva per delitto, sarebbero diversamente assistiti dalla presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27 Cost.. In tal modo il diritto del cittadino alla durata ragionevole del processo verrebbe garantito in modo differenziato a causa di una condizione soggettiva che per nulla attiene all’accertamento processuale relativo ad una fattispecie di reato.
Peraltro con una siffatta previsione non si tiene conto del notevole ritardo con cui negli uffici giudiziari vengono inseriti i dati nel casellario giudiziario (cfr. paragrafo 2) sicchè in molti casi l’imputato è solo apparentemente incensurato, trattandosi in realtà di un soggetto  già condannato il quale, per mero ritardo nell’aggiornamento del casellario giudiziario, non risulta tale.
La condizione soggettiva richiesta per l’applicazione dell’istituto, rischia, nell’attuale contesto giudiziario, di generare prescrizioni processuali a catena sulla base di un erroneo presupposto di fatto."
Del resto, la celerità che sarebbe dovuta all'incensurato, onde non incorrere in prescrizione, mal si concilia con la celerità richiesta per reati di elevata gravità sociale, e inoltre si paleserebbe il rischio di una corsia preferenziale solo legata alla prescrizione e non alla pericolosità del reato.
"Il DDL 1880 introduce, di fatto, una nuova “corsia privilegiata” per la trattazione di  quei processi che possono essere coinvolti  “dall’estinzione processuale” a causa della durata non ragionevole. Vi è il rischio concreto che tale previsione finisca inevitabilmente per concentrare le scarse risorse oggi esistenti negli uffici giudiziari  nella trattazione esclusiva di tali processi a scapito di quelli relativi ai reati più gravi ovvero a carico di imputati detenuti o recidivi."
Infine, il CSM nota come le normative introdotte con questa Proposta di legge siano in conflitto con altre norme sovranazionali recepite dallo Stato italiano. Nello specifico, e in riferimento alla corruzione, la Convenzione delle Nazioni Unite prevede un "lungo termine di prescrizione entro il quale i procedimenti possono essere avviati",
"Le disposizioni di cui all’art. 2 del D.D.L. n. 1880 sembrano confliggere con le previsioni promananti da fonti sovranazionali di origine pattizia, recentemente recepite dallo Stato italiano. Ci si riferisce, in particolare, alla Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall’Assemblea generale dell’ONU il 31 ottobre 2003 con risoluzione n. 58/4, firmata dallo Stato italiano il 9 dicembre 2003[33]. La predetta Convezione è stata ratificata dall’Italia con Legge 3 agosto 2009, n. 116. L’art. 2 della citata Legge n. 116/2009 stabilisce  espressamente che “Piena ed intera esecuzione è data alla Convenzione” ONU contro la corruzione.
La Convenzione raccomanda il rafforzamento, da parte degli Stati firmatari, delle misure sostanziali e processuali volte a prevenire e combattere la corruzione in modo sempre più efficace. Non vi è dubbio, pertanto, che rientrano nell’ambito della Convenzione anche le figure di reato individuate dagli Stati aderenti al fine di contrastare il fenomeno corruttivo. Con riguardo all’Italia, vengono pertanto in rilievo i delitti contro la pubblica amministrazione di cui al Libro Secondo, Titolo II, del codice penale, delitti per i quali la pena edittale è, in numerosi casi, inferiore a dieci anni di reclusione e che perciò astrattamente rientrano nella previsione di cui all’art. 2 del D.D.L. n. 1880.
L’art. 29 della Convenzione ONU contro la corruzione, stabilisce che  “..ciascuno Stato Parte fissa, nell’ambito del proprio diritto interno, un lungo termine di prescrizione entro il quale i procedimenti possono essere avviati per uno dei reati stabiliti conformemente alla presente Convenzione”. La previsione risente ovviamente dell’ambiente di common law in cui la Convenzione stessa è maturata ove, come sopra si è rilevato, l’esercizio dell’azione penale mediante l’instaurazione del giudizio preclude l’ulteriore corso della prescrizione del reato." 
La conclusione, parziale, che se ne può trarre è quella di un progressivo allontanamento dell'Italia dalle linee di indirizzo giurisprudenziale internazionali, che non può non avere ripercussioni a livello di credibilità, come sembra stia già accadendo osservando certi ultimi avvenimenti.L'esigenza di una durata ragionevole del processo è una cosa reale e sentita ma va nettamente distinta dal rischio di impedire l'esercizio della giustizia soprattutto per il rispetto della parte offesa. Non è stabilendo dei rigidi termini temporali che si ottiene una giustizia giusta. Probabilmente non un solo fattore concorre alla lunghezza a volte esasperante dei procedimenti sia penali che, soprattutto civili. Questo ritardo non può essere affrontato però da chi non ha mente libera e interesse pubblico ben presente in ogni momento.

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