martedì 5 aprile 2011

Un'idea di giustizia

Una delle teorie della giustizia che prediligo è quella di John Rawls. Il legislatore scrive le leggi senza sapere che ruolo ha nella società. Ipotesi valida anche se difficile da realizzare. Occorrerebbe conoscere la dinamica sociale scordandosi di sè: una sorta di amnesia selettiva.

Anche gli animali hanno un senso della giustizia. Frans de Waal ha studiato le società degli scimpanzè per molti anni. Definisce il senso di giustizia tra queste antropomorfe come il senso di una regolarità sociale. Cioè: l'insieme della aspettative di come uno deve essere trattato e come deve trattare gli altri. Pur essendo una società non giusta, secondo i nostri parametri, quella degli scimpanzè pure obbedisce a regole che garantiscono i subordinati: se è vero che i dominanti hanno privilegi pure non possono agire da aguzzini nei confronti dei subordinati. Non è cosa infrequente osservare il maschio alfa consolare un subordinato che poco prima aveva maltrattato. Questo fatto ha uno scopo strategico: il mantenimento del potere si basa su un miscuglio di totalitarismo e democrazia e il maschio alfa ha tutto l'interesse a non catalizzare su di sè l'odio di tutti i possibili contendenti.

Sue Savage-Rumbaug, citata da de Waal, riporta il caso di una bonobo alla quale venne portato del cibo più  buono rispetto a tutti gli altri i quali, dalle loro gabbie, si misero immediatamente a urlare. A questo punto la femmina di bonobo chiese del succo di frutta e quando glielo portarono indicò di darlo anche ai suoi amici. O almeno, lei indicò le loro gabbie ed emise delle vocalizzazioni e la ricercatrice immaginò che intendesse questo.

Sempre secondo de Waal esiste un legame tra giustizia e risentimento. Questo si ricollega all'idea di Rawls: un legislatore che non conosce il proprio ruolo nella società non può attirarsi nessun risentimento, perchè non agirà per favorire l'uno o l'altro. E dunque le sue leggi saranno improntate al massimo della giustizia possibile.

E' simile, nell'effetto, a quello che dice Brian Skyrms, citato da D. Dennett. Nel gioco della divisione della torta ci si può accordare come segue: ognuno scrive la percentuale di torta che vuole su un foglietto. Si consegnano i due foglietti a un giudice: se la somma delle due percentuali è sopra 100, la torta se la mangia il giudice, altrimenti distribuisce a ognuno la percentuale scelta. La strategia migliore è 50-50 (anche se non la sola, secondo Skyrms), la cosiddetta ESS (Evolutionarily Stable Strategy, strategia evolutivamente stabile). Che è anche una divisione considerabile giusta dalla maggior parte delle persone.

L'idea di giustizia non è però immune al riconoscere privilegi. Per esempio, ad un  Capo dello Stato senza potere legislativo o esecutivo sarebbero riconosciuti privilegi senza suscitare risentimento. In questo caso, dunque, il senso di giustizia non verrebbe intaccato dall'eventuale  presenza di ingiustizie perchè colui che riceve i privilegi non ha il potere di scriverseli da sè.

Dice Zagrebelsky nell'introduzione a Concetto e validità del diritto di R. Alexy
L'appello al diritto naturale oggi -ha scritto Carl Schmitt- suonerebbe come un grido di guerra civile. E' un'affermazione che è facile comprendere e condividere. Ma, altrettanto comprensibilmente, si potrebbe aggiungere che anche l'appello a un positivismo meramente legalistico dell'ita lex, all'epoca nostra, suonerebbe allo stesso modo.
L'idea di giustizia che abbiamo non è solo quella vigente nei tribunali o nei rapporti con le istituzioni. Anche nel rapporto con i nostri  familiari, amici o vicini noi utilizziamo l'idea di giustizia.
Un'altra ipotesi legata all'idea di giustizia la propongono due ricercatrici americane. Il risultato del loro studio riguarda il senso di giustizia come controllo della loro vita: le donne che avevano subito eventi sessisti avevano la convinzione che la loro vita fosse meno giusta e che ne avessero un minore controllo. Quindi giustizia come capacità di controllo. Non solo il controllo possibile con la propria autorità o autorevolezza ma anche con quello che garantisce la cittadinanza.

Anche in un altro studio si ipotizza che esercitare l'azione del perdono può facilitare il ritorno del senso di giustizia, anche se comunemente si ritiene l'opposto. Esercitare il perdono (però in questo caso si chiedeva agli studenti di immaginarsi come vittime di una situazione offensiva) oltre ad aumentare la percezione del senso di giustizia diminuiva l'esigenza della vendetta e dei sentimenti ostili.
A parte la non perfetta equivalenza tra immaginare e provare realmente, quello che interessa è il fatto che riprendere in mano il controllo della situazione fa aumentare il senso di giustizia. Da cui potrei dire che consegue che l'idea di giustizia è poter fare le cose, poter agire, avere sempre il controllo della situazione. E' per questo motivo che una cosa che mi è impedita di fare (come ad esempio commettere reati), siccome è impedita a tutti, non è sentita come un'ingiustizia. Nello studio citato sopra, il recupero del controllo riporta il senso di giustizia a livelli normali, dopo che era stato abbassato perchè a un atto di ingiustizia (un'offesa ricevuta) non si è potuto rispondere.

Le relazioni in una società complessa come quella degli umani portano alla formazione di un'idea di giustizia conformemente complessa. Seppure alla base riconosca gli influssi che agiscono anche in altre società di primati, nelle società umane si è stabilita l'esigenza di sottoporre a contratto una gran parte delle relazioni tra individui. 
L'idea di giustizia si esercita in prima battuta nell'area di prossimità di un individuo. Qui vigono consuetudini che impediscono che gli altri possano agire nei nostri confronti in maniera differente dalla nostra nei loro. Per questo se qualcuno compie un'azione nei tuoi confronti che tu non puoi compiere nei suoi, si avverte l'ingiustizia. A salire, la percezione di ingiustizia è solo in parte  mitigata dalla distanza. Ogni volta che si viene a contatto con un atto permesso a un altro ma non a te l'unico elemento che consente di non viverlo come un'ingiustizia è che l'altro non sia, in sè, capace di agire: in buona sostanza, che l'altro sia un'entità come uno Stato o un'istituzione. Infatti, solo chi è sottoposto come te allo stesso comportamento appaga il senso di giustizia: sia io che il pubblico ufficiale siamo soggetti allo stesso comportamento (le norme), anche se il pubblico ufficiale, impersonando lo Stato (che in sè non agisce) può agire verso di me in maniera non reciproca.

A questo scopo valgono anche le considerazioni fatte in Violazione e alienazione dei diritti universali.




Riferimenti bibliografici

Daniel Dennet, L'evoluzione della libertà, Raffaello Cortina Editore 2004

Frans de Waal, La scimmia che siamo, Garzanti 2006

de Waal, Frans B., The chimpanzee's sense of social regularity and its relation to the human sense of justice,  American Behavioral Scientist, Vol 34(3), Jan-Feb 1991, 335-349. DOI 10.1177/0002764291034003005 

Fischer, Ann R., Bolton Holz, Kenna, TESTING A MODEL OF WOMEN'S PERSONAL SENSE OF JUSTICE, CONTROL, WELL-BEING, AND DISTRESS IN THE CONTEXT OF SEXIST DISCRIMINATION, Psychology of Women Quarterly, 2010
http://dx.doi.org/10.1111/j.1471-6402.2010.01576.x

Wenzel, Michael , Okimoto, Tyler G., How acts of forgiveness restore a sense of justice: Addressing status/power and value concerns raised by transgressions, European Journal of Social Psychology, 2010,  http://dx.doi.org/10.1002/ejsp.629

1 commento:

  1. Pubblico un commento di B con il suo permesso.


    Oh ma oggi è tutto così ingiusto, qui a casa tua, Paopasc! E' tutto
    ingiusto, così come le cose belle che uno trova e INVIDIA.
    "Per questo
    se qualcuno compie un'azione nei tuoi confronti che tu non puoi
    compiere nei suoi, si avverte l'ingiustizia". Dunque, Paopasc tu mi
    azioni alla lettura erudita sugli scimmioni, cosa che io non posso
    fare, non avendone le capacità/conoscenze.
    "A salire, la percezione di
    ingiustizia è solo in parte mitigata dalla distanza" E infatti... La
    distanza tra di noi non mi mitiga, né mi consola.
    "Ogni volta che si
    viene a contatto con un atto permesso a un altro ma non a te l'unico
    elemento che consente di non viverlo come un'ingiustizia è che l'altro
    non sia, in sè, capace di agire: in buona sostanza, che l'altro sia
    un'entità..." Tu sei un'entità, Paopasc, eh ecco perchè... Che peccato
    però, mi ero affezionata all'idea di te e anche a te, e a tutto questo
    tempo vissuto con te. Ma che gran peccato, che delusione scoprire che
    non sei una Cosa"!


    Ora, potresti facilmente obiettare sul fatto che
    l'atto di scrivere di scimmioni e così di farsi leggere non mi è per
    nulla impedito, nel senso che non mi è vietato, ciònondimeno (che mi
    piace tuttoattaccato) non mi è "accessibile".
    Più che il permesso, la
    fattibilità o meno di un'azione permessa ad altri e non a noi, a
    fornire "la sensazione" dell'ingiustizia è l'inibizione, secondo me.
    L'ingiustizia la avverte soltanto chi inibisce se stesso, chi si pone
    limiti e decide di agire dentro regole. Non a caso l'"ingiustiere" è
    colui che non conosce le regole, non colui che le infrange, quello è il
    reo.
    Se sei reo confesso ti perdono e non mi fai più paura, se sei
    ingiusto ti biasimo e temo per il mio futuro.
    La percezione
    dell'ingiustizia ha in sè il senso del futuribile, è svincolata dalla
    morale e dall'etica, è dipendente dal tempo. E' un Movimento che
    diventa un Moto inespresso, perciò è così frustrante.

    Dai che è quasi
    ora di pranzo e oggi c'avrei delle ideuzze, tra una partenza e l'altra,
    che assomgliano molto alle scemenze, lo so. Chissà perchè mi viene da
    raccontarle proprio a te...
    E' sempre un'esperienza mistica leggerti:
    tu scrivi benissimo Paopasc.

    B

    RispondiElimina

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