giovedì 16 gennaio 2014

Da un ventennio all'altro: 1.000 miliardi in 20 anni. Ecco il Fiscal Compact

Diceva Pier Paolo Pasolini in una celebre poesia, la Ballata delle madri,  mi domando che madri avete avuto, quasi a spiegare con una certa qual eredità materna, familiare e culturale insieme, la pochezza dei figli. Ora, con ben altra voce, anche io mi domando cosa pensavano i nostri governanti mentre sottoscrivevano quel contratto con l'Europa, e cosa pensavano quei deputati e senatori quando lo ratificavano con il loro voto, quel fiscal compact che ci costerà 1.000 miliardi in 20 anni, ovvero 50 miliardi all'anno, impegno gravosissimo al quale saremo sottoposti per i prossimi due decenni.
L'Italia è dunque fatta di ventenni, periodi storici riconoscibili per un aspetto peculiare: prima c'è stato quello del duce poi, a una certa distanza, quello berlusconiano  e adesso c'è quello del fiscal compact, il ventennio futuro che ci terrà allegri dal 2015 al 2035. Ognuno di questi  lassi di tempo porta con sè, almeno per una certa parte della popolazione e per certa critica, solamente sofferenze e indignazione, di modo che con il termine ventennio, ormai senza possibilità di scampo, ci si riferirà solo a periodi bui.

La cosa non sfugge alle opposizioni dell'attuale Parlamento che in questi giorni alla Camera portano e discutono le proprie mozioni per la revisione di quel trattato. Le condivido con il titolo originale, che conserva intatta la sua evidente derivazione burocratica:  MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN AMBITO EUROPEO E NAZIONALE PER LA REVISIONE DEI VINCOLI DERIVANTI DAL TRATTATO NOTO COME «FISCAL COMPACT». Più sotto c'è qualche estratto da questo documento con i punti più salienti e, ancora più sotto, condivido il resoconto stenografico della seduta di ieri, con gli interventi di vari deputati. E' istruttivo e ve ne consiglio una, seppur veloce, occhiata.



Questo lo scrivono i deputati del M5S nella loro mozione:
  • oggi, la quasi totalità dei Paesi dell'Unione europea (23 su 27) è soggetta a una procedura per deficit eccessivi. Oltre ai piani di riforma delle pensioni (aumento dell'età pensionabile), si vogliono imporre un abbassamento del salario minimo, minori prestazioni sociali (Irlanda, Grecia, Portogallo), la riduzione delle protezioni contro il licenziamento (Grecia, Spagna, Portogallo), la sospensione della contrattazione collettiva a favore della contrattazione d'impresa, più favorevole ai datori di lavoro (Italia, Spagna e altri) e la deregolamentazione delle professioni chiuse; 
  • Se la Commissione europea stabilisce che un Paese ha raggiunto per esempio un «deficit strutturale» pari a tre punti percentuali del prodotto interno lordo, questo dovrà mantenere un «deficit strutturale» limitato al 2 per cento l'anno successivo, amputando in tal modo la domanda (attraverso una riduzione delle spese e un aumento delle imposte) di un punto del prodotto interno lordo, indipendentemente dal livello di disoccupazione;
  • dal 2013, oltre alle normali manovre di riduzione del deficit di bilancio, al finanziamento del meccanismo europeo di stabilità e di probabili altre misure a salvataggio di altri Paesi della «zona euro», l'Italia è chiamata ad aggiungere la somma impressionante di ulteriori 50 miliardi di euro all'anno.

Questo invece è della pattuglia di SEL:
  • g) il 2 marzo 2012, veniva invece firmato il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria, il cosiddetto «fiscal compact», che è entrato in vigore il 1o gennaio 2013. Si stabilisce che il bilancio pubblico consolidato deve essere in pareggio o mostrare un sopravanzo. Le regole debbono essere recepite «in modo vincolante e durevole» nella legislazione dei contraenti, «preferibilmente a livello costituzionale». Si prescrive che se uno Stato contraente presenta un debito pubblico superiore al limite fissato (il 60 per cento del prodotto interno lordo), esso ha l'obbligo di ricondurlo entro tale limite al ritmo di un ventesimo l'anno in media. Per l'Italia una riduzione pari a circa 50 miliardi l'anno per 20 anni: una meta impossibile da raggiungere pena la distruzione delle possibilità di avere una vita decente per il 90 per cento dei componenti di una o due generazioni di cittadini italiani. La Commissione europea verifica, valuta, soppesa, decide ed eroga le misure punitive (vere e proprie pesantissime ammende).

E, via via, anche le altre forze politiche:
  • lo stesso trattato impone di ridurre il nostro debito pubblico al ritmo di 1/20 l'anno, per ricondurlo al parametro del 60 per cento del prodotto interno lordo in 20 anni, quindi l'Italia dovrebbe diminuire il suo debito di più di 40 miliardi di euro all'anno per i prossimi 20 anni. Questa cifra era stata calcolata con una crescita del Pil del 2 per cento. Con il perdurare della crisi ed un prodotto interno lordo inferiore o in decrescita, l'entità delle manovre correttive crescerebbe proporzionalmente, deprimendo ancora di più la situazione economica del Paese, in una spirale suicida.

La sostanza della questione è che, dopo le tragiche e, in qualche modo, esilaranti peripezie del governo per trovare i 4 miliardi dell'IMU prima casa sembra impossibile che un qualunque esecutivo possa trovare questi 50 miliardi all'anno per vent'anni per ridurre della metà il nostro debito pubblico, che è sopra il 120% e ben al di sopra di 2.000 miliardi. Tutto questo poi con la previsione, che ora più che mai sembra irrealistica, del 2% di crescita, che è una cifra che non vediamo da ormai troppo tempo. Su queste basi, dunque, la richiesta di rinegoziare il fiscal compact, in occasione del semestre europeo dell'Italia, per non morire di rigore.

Il sottosegretario all'economia Baretta, ad inizio discussione alla Camera, dichiara candidamente che l'articolo 81 (modificato) della Costituzione "dice esplicitamente: equilibrio di bilancio, tenendo conto del ciclo avverso e del ciclo favorevole economico." Dunque il quadro fosco dipinto dalle opposizioni non è realistico. Il che è come dire che sì, va bene il rigore di bilancio, ma se l'economia va male non se ne fa niente. Insomma è, per dirla con le parole di Baretta, un "pareggio di bilancio strutturale" ovvero elastico. Ed è proprio per il fatto che ci considerano troppo elastici, in Europa, che poi ci fanno firmare contratti così impegnativi? Ed è con la certezza di non poterli o doverli rispettare che, con facilità, li firmano i governi italiani? Comunque, il governo è favorevole alle mozioni di PD, che, tra le altre cose, "impegna il governo ad avviare un negoziato con le istituzioni europee finalizzato a far sì che, a seguito del riesame dei provvedimenti in materia di governance economica da parte della Commissione europea per il 2014, sia concessa una maggiore flessibilità degli obiettivi di bilancio a medio termine, per tenere conto del ciclo economico", del Nuovo Centro Destra e di Scelta Civica. Non è, ovviamente, favorevole alle mozioni delle opposizioni che così replicano (ne cito una per tutte, quella di Tiziana Ciprini, prima firmataria della mozione del M5S):

Signor Presidente, solo un Governo di diversamente intelligenti poteva firmare la condanna a morte del proprio popolo. Non era obbligatorio firmare fiscal compact e MES per rimanere nell'Unione europea. Regno unito e Repubblica CECA infatti si rifiutarono di firmare e 173 di questi diversamente intelligenti siedono ancora in quest'Aula.  Ebbene, «non so come si combatterà la terza guerra mondiale, ma la quarta sarà combattuta con pietre e bastoni» e forconi, aggiungo io oggi. Einstein non sapeva come si sarebbe combattuta la terza guerra mondiale, ma adesso noi lo sappiamo: si combatte a colpi di raccomandazioni, di regolamenti e direttive, di complicati meccanismi con finti piani di salvataggio, che comportano la perdita di sovranità, nuove forme di colonialismo e nuovi bottini di guerra. D'altronde, nel 2012, il salvatore eurocrate, Mario Monti, affermò che eravamo in guerra e che bisognava salvare l'Italia o meglio le banche. [...] 
 Con la legge n. 243 del 2012 avete collocato la sentinella della Commissione europea direttamente dentro il Parlamento, con l'istituzione dell'Ufficio parlamentare di bilancio, mettendo così vincoli penetranti all'attività del legislatore nazionale. Ogni copertura di spesa che verrà trovata infatti sarà messa in discussione dalla Commissione europea. Il tutto con la complicità del silenzio omertoso della stampa, colpevole, che non ha informato i cittadini sugli esiti nefasti di simili scelleratezze legislative (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Ma sono convinta che quel giorno d'estate avevate già la mente in vacanza e non sapevate cosa stavate votando. Allora, vi rinfresco la memoria: MES, Meccanismo europeo di stabilità, chiamato impropriamente Fondo salva-Stati, che in verità serve a salvare banche e la Germania. Per farne parte, ogni Stato aderente deve pagare una quota e l'Italia paga 125 miliardi di euro in cinque anni. È il terzo Paese finanziatore del MES. [...]
 Poi, c’è il fiscal compact, fortemente voluto dalla Germania, che ci obbliga al pareggio di bilancio, costringendoci a un percorso di rientro dal debito da 50 miliardi l'anno per vent'anni. Il futuro di due generazioni di italiani è ipotecato. Il fiscal compact è in contrasto con i trattati fondanti dell'Unione europea e per il MoVimento 5 Stelle slittare nel tempo l'applicazione del pareggio di bilancio significa accettare questo sistema 

La sensazione che se ne trae è che il trattato sia stato sottoscritto nella consapevolezza che poi non sarebbe stato rispettato, almeno per come è stato delineato qui sopra. Il che non fa altro che rafforzare l'opinione che certi ambienti europei hanno nei confronti di certi paesi dell'Unione, Italia inclusa. Gli italiani, però, si trovano a metà strada tra due opposti e ugualmente pericolosi approdi: una classe politica italiana non credibile da una parte e una burocrazia europea spietata con chi non sa mantenere i propri impegni dall'altra. Rimanere in mezzo al guado, del resto, potrebbe sembrare una delle opzioni percorribili, ma espone al rischio di essere travolti, prima o poi, da un'ondata di piena. Tirare a campare e scaricare le responsabilità sugli esecutivi (e sulle generazioni) del futuro è invece la prassi consolidata, e non solo dell'Italia, almeno per quanto riguarda, che so, l'inquinamento ambientale. Ma intanto c'è il gossip politico che distrae...





image credit www.euronews.com



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