sabato 4 dicembre 2010

Benedetto XVI, Luce del Mondo: dittatura del relativismo o dittatura dell'assolutismo?


Seewald e Benedetto XVI
Un capitolo, del libro intervista di Peter Seewald a papa Benedetto XVI, è intitolato appunto Dittatura del relativismo.
E' un vecchio cavallo di battaglia delle gerarchie ecclesiastiche o degli intellettuali cristiani, lo spauracchio del credente, il gorgo infernale nel quale può collassare il mondo. È il relativismo, vera piaga intellettuale del credente.
A. Huxley Il Mondo Nuovo
L'incipit del capitolo è classica. Si richiama Aldous Huxley e il suo Mondo nuovo del 1932. Brave New World, è un romanzo di fantascienza che, sfruttando gli aspetti modernistici più o meno sempre presenti in ogni epoca, si pensi all'inizio della produzione in serie delle autovetture nelle fabbriche Ford, agli studi sulla genetica, alle teorie darwiniane e alle nascenti teorie comportamentiste e condizionanti, ipotizza un mondo in cui tutto sia stabilito e programmato, dove non c'è spazio per il deflagrare dell'emozione. E appunto sul modello Ford si basa il libro, che viene collocato anche in un ipotetico anno Ford 632. I nuovi nati vengono indirizzati, attraverso tecniche opportune, al ruolo che svolgeranno da adulti, imparano ad essere felici della propria condizione e ad accettare la casta alla quale appartengono. Il romanzo è chiaramente ironico, ma viene preso terribilmente sul serio.
Infatti, Seewald afferma:

Nel suo romanzo futuristico “Il mondo nuovo” del 1932, lo scrittore britannico Aldous Huxley aveva predetto la falsificazione come momento caratterizzante la modernità”.

Il timore è dunque che

Nella falsa realtà con la sua falsa verità – o addirittura l'assenza di verità – alla fine nulla è più importante”





Questo è un aspetto del meccanismo cognitivo umano così diffuso che è impossibile non ritrovarlo in ognuno di noi. Parlo della fissazione di punti di riferimento. Senza punti di riferimento siamo niente. Si pensi, tanto per fare qualche esempio, alla semplice connotazione alto-basso, fondamentale per organismi macroscopici come noi. Tanto è vero che vi è stato adibito un sistema detto dell'equilibrio, capace anche di valutare l'accelerazione di un nostro movimento, a partire dallo stato in cui ci troviamo, sia esso di quiete che di movimento uniforme. Anche l'acquisizione di una personalità, la formazione di un sé passa attraverso lo stabilire dei punti di riferimento, per esempio la superficie corporea, nonché le estensioni di questa, la vista e l'udito.
codice Giustiniano
Non è quindi sorprendente che anche a livello cognitivo, l'assenza di punti di riferimento, destabilizzi. È perfettamente comprensibile. Inoltre, anche il presunto relativista -categoria intellettuale forse inesistente- contrariamente a quanto pensano il papa e i cristiani, ha i suoi bei punti di riferimento. Non so da chi sia composta questa categoria umana, ma personalmente, laddove rinuncio a credere in Dio, questo non comporta uno scossa alle mie fondamenta, perchè alla credenza naturale o soprannaturale sostituisco una credenza positiva. Attenti, ho detto positiva e non positivistica. Positivo come antagonista giuridico di naturale. Diritto naturale e diritto positivo. Cosa intendo per positivo?
Non è facile rispondere. Punto primo, è anche difficile definire qualcosa come naturale o come innaturale, e vedremo prossimamente, a proposito dell'omosessualità per esempio, quanto questa distinzione sia pericolosa. Sta di fatto che la credenza positiva, rispetto a quella naturale, non è fissa o assoluta, ma tende a modificarsi, a seconda delle nuove scoperte ed esigenze della convivenza. Essa tiene come suo punto fermo il rispetto che si deve ai viventi, che però non significa accettazione incondizionata di tutto quello che passa loro per la testa. È sempre bene chiarire alcuni aspetti considerati impliciti nel concetto di relativismo, perchè l'interpretazione che alcuni ne danno è parziale e interessata. Se affermo che non sono contrario alle unioni di fatto rispetto al matrimonio, non sto affermando che unioni di fatto e matrimonio siano, giuridicamente, la stessa cosa, perchè se lo fossero sarebbe auspicabile anche una uniformità terminologica. Il matrimonio è un contratto, tra le altre cose, e anche l'unione di fatto lo è, anche se diverso. Dire che il nucleo della società è la famiglia è una cosa che può anche avere senso trasversalmente alle varie opinioni, ma affermare che la famiglia è solo quella instaurata con un matrimonio è, per me, un'affermazione assolutistica, alla quale contrappongo il mio relativismo.
Ho più interesse a giudicare i reali intenti delle persone che non i formalismi attraverso i quali si manifestano. Non è perchè due si sposano che diminuiscono vessazioni, violenze e stupri. Non deve essere perchè una coppia non è sposata ma unita che devono venire meno certe responsabilità. Il relativista guarda alla sostanza, più che alla forma, e con ciò facendo fa un credito enorme all'intelligenza delle persone. La chiesa, obbligando -moralmente o di fatto- ad obbedire ai suoi dettami, fa invece un dispetto all'intelligenza: giudica le persone non in grado di controllare i propri impulsi, di far fronte alle responsabilità, e a questo scopo istituisce l'obbligo divino, definito naturale e razionale, così, tanto per comprendere tutto.
Ma non è finita qui. Per il fatto di conoscere tanta gente che abbraccia la fede e la pratica, e per sapere che sono ottime persone, dico che nemmeno in questa richiesta di assolutismo che fa la chiesa è nascosto il male. Anzi. L'intento è quasi sempre benefico. Quello che però manca alla dottrina della chiesa è la sua capacità di svincolarsi dai concetti validi duemila anni fa, di sapersi modificare ed adattare al mondo contemporaneo non rinunciando al suo mandato essenziale: la salvezza dell'uomo (e della donna, obvious).
Ma andiamo avanti. Leggiamo come continua Seewald.

Sembra non esistere più la distinzione tra vero e falso -incalza Seewald-. In un certo senso, si può negoziare tutto. È questo il relativismo dal quale Lei con tanta insistenza ha messo in guardia?”

Groucho Marx e il relativismo
Adesso però devo insorgere. Ecco che i relativisti sono visti come debosciati arrendevoli e disinibiti, per i quali tutto si può negoziare. Non so dove l'abbia letto o chi l'abbia scritto, sta di fatto che io, che mi considero più relativista che assolutista, non negozio affatto su tutto. Non so con quanta buonafede faccia questa affermazione, e con Seewald tutti i credenti, ma di sicuro è parecchio fuorviante: sarebbe come dire, dietro qualche caso accaduto, che poiché qualcuno vi ha indugiato, tutti i preti sono pedofili. Il relativista ha sicuramente meno vincoli dottrinari, ma non meno valori morali. Per convincersene, come alle volte accade ai teoremi matematici, che per spiegarne uno si dimostra l'impossibilità di tutti gli altri, così accade ai convinti difensori della fede che siano invece i più grandi violatori di quei dettami, e la cronaca dei fatti è sotto gli occhi di tutti. Da ciò se ne potrebbe dedurre che la pretesa aderenza ai valori cristiani sia semplicemente di facciata e che bene fanno i relativisti ad assegnare all'aderenza pubblica e violazione privata un valore negativo. Non è tanto importante non divorziare quanto avere e mantenere un comportamento che dimostri rispetto e attenzione. È inutile sperticarsi in difese ad oltranza dell'indissolubilità della famiglia e poi avere due o tre divorzi alle spalle e trattare gli altri o le altre come poco più di oggetti da spostare. Si può benissimo non essere sposati e non credere in Dio e rispettare pienamente il prossimo. Ma non ho dubbi che questo concetto sia facilmente compreso anche dal papa.
Altra cosa sono le opinioni personali, non classificabili come appartenenti al mondo laico relativista o a quello confessionale assolutista. Opinioni non condivisibili le manifestano tutti, atei e credenti. Dovrei spaventarmi per l'intolleranza dei credenti verso gli stranieri più di quella dei laici verso il crocifisso? Sono entrambe manifestazioni che non apprezzo e non condivido, ma non per questo le assegno ipso facto alle categorie suddette con l'intento di screditarle.
Vediamo cosa risponde Benedetto XVI.

E' evidente che il concetto di verità oggi suscita molto sospetto. È giusto dire che di esso si è molto abusato. In nome della verità si è giunti all'intolleranza e si sono commesse atrocità. Per questo le persone hanno paura quando sentono qualcuno dire: “Questa è la verità”, o addirittura “Possiedo la verità”. [...] E tuttavia: metterla semplicemente da parte perchè ritenuta irraggiungibile ha effetti veramente devastanti.
La gran parte delle filosofie odierne sostiene effettivamente che l'uomo non sia capace della verità. Ma così non sarebbe nemmeno capace di moralità. [...] Dovrebbe solo badare ad arrangiarsi [...] e nel migliore dei casi l'opinione della maggioranza diverrebbe l'unico criterio che conta. La storia ha dimostrato a sufficienza quanto però le maggioranze possano essere distruttive, ad esempio con i regimi del nazismo e del marxismo, l'uno e l'altro segnatamente contro la verità.”

La verità che il papa dovrebbe affermare è però un'altra:è -per dirla in termini semplici- la verità del cuore. Cioè a dire, è la verità di chi riesce a rispettare e tollerare gli altri. Ma se uno non è santo, come ci riesce? E poi, è necessaria un'imposizione oppure è possibile arrivarci da soli?
Devo chiarire che neanche la persona più buona del mondo è immune dal commettere errori. Dando per assodato questo fatto, ne segue che la bontà d'animo non è sufficiente per non commettere mai ingiustizie. Se uno si lascia guidare solo dal cuore, è soggetto all'errore come e quanto colui che si lascia guidare anche dalla ragione. Perchè accade questo?
Questo accade perchè, mano a mano che aumenta il coinvolgimento individuale, perdiamo in imparzialità di giudizio. Anche questo fatto può essere ritenuto pacifico, però vorrei fornirne qualche spiegazione. Mentre il coinvolgimento emotivo in eventi che non ci riguardano direttamente aumenta la nostra capacità di immedesimazione e comprensione dei fatti, se lo stesso coinvolgimento emotivo ci prende in fatti in cui siamo protagonisti spesso la nostra comprensione degli eventi diminuisce. Perchè?
Avevo provato a spiegare in qualche post la differenza tra mondo reale e mondo immaginario. Ora, questi due mondi accettano due diverse versioni di noi stessi. In un mondo -quello reale- possiamo esistere sia in prima che in terza persona, mentre nell'altro -quello immaginario- possiamo esistere solo in terza persona.
Vivere le cose in prima persona comporta tutta una serie di procedure. Queste procedure si realizzano attraverso prese di decisione. Quando penso che sia stata commessa un'ingiustizia ai miei danni, ho due possibilità: reagire all'evento -agendo attivamente o aumentando i livelli di stress- oppure modificare la realtà dell'evento. Questa seconda possibilità si manifesta per mezzo della creazione di una realtà dei fatti -immaginaria- in cui io non ho bisogno di prendere decisioni perchè questa nuova realtà asseconda tutti i miei desideri.
Ma la natura non ci ha dotati di un sistema di questo genere per il raggiungimento dei nostri obiettivi: l'ha relegato a semplice stimolo delle nostre azioni. Si immagini, per esempio, questa situazione: un predatore ha la capacità di prefigurarsi ciò che desidera e di mettere in atto esattamente gli atti che predispone in questa sua immaginazione. Si immagini pure che egli non sia in grado di agire diversamente: egli, di volta in volta, potrà immaginare di agire e poi mettere in pratica questa sua immaginazione.
Potrà egli imparare dall'esperienza? Egli si avvicina alla sua preda e, siccome nella sua immaginazione questa non si muove o, se si muove, lo fa lentamente, pensa di potersi avvicinare impunemente e di catturarla con facilità. Ma la realtà è diversa. La preda non vive nel suo mondo immaginario ma in quello reale, e scappa. Ora, se il nostro predatore non può utilizzare i feedback del mondo reale per mutare strategia, ma può solo re-immaginare un nuovo modo per catturarla, nel breve periodo non riuscirà a catturarla e finirà certamente con il morire di fame. Egli si accorge che il primo metodo ha fallito, perciò ne immagina un altro che tenga in considerazione ciò che ha solo osservato, senza sperimentarlo (ricordate che non può agire in prima persona, anche se lo fa per mettere in atto le sue strategie, ma è un esperimento mentale e tutto può accadere). Perchè ritengo che non possa imparare dall'esperienza come fa chi agisce all'interno del mondo reale? Perchè questo ipotetico mondo immaginario è un mondo nel quale non si prende nessuna decisione, non è necessario, e non è nemmeno possibile. Perchè nel mondo immaginario noi non siamo noi stessi, siamo un altro: siamo noi stessi che osserviamo un altro noi stesso agire. Agire in prima persona è un'altra cosa. Dica ciascuno di voi se, per esempio, per imparare ad andare in bicicletta o a guidare l'auto, ci si può affidare alla cognizione -adesso faccio questo, poi faccio quello, bilancio qui, giro di là- oppure invece non ci si affidi all'apprendimento motorio, all'interfaccia muscoli-sensi, quell'acquisizione implicita che si realizza provando e sperimentando direttamente, non in terza persona. Il mondo in terza persona è idealizzato, o ideale, non reale. Nel mondo reale gli organismi non si comportano sempre nel modo atteso, nel mondo immaginario si.
La terza persona del mondo immaginario quanto più input emotivo riceve dai fatti tanto più si immedesima. Ma l'immedesimazione totale possibile nel mondo immaginario è inferiore a quella possibile nel mondo reale. Quando le due quantità si equivalgono, significa che abbiamo portato una nostra immaginazione nella realtà, e la stiamo vivendo in prima persona. È facile immaginare soggetti che sperimentano questa situazione. Magari sarà capitato anche a noi.
Per tornare al discorso da cui siamo partiti, perchè lasciarsi guidare dal cuore non predispone all'imparzialità? Questa domanda è equivalente a questa: perchè quanto più ci distacchiamo dalla realtà tanto più sappiamo giudicarla in modo imparziale?
Nel mondo immaginario io ricostruisco gli eventi -e anche i comportamenti altrui- secondo la mia comprensione dei fatti e non secondo l'esperienza in prima persona (cosa non vera in senso assoluto perchè noi apprendiamo in entrambi i modi, questa distinzione semplificata serve solo a stabilire la differenza assoluta tra i due procedimenti).
Il metodo immaginario (chiamiamolo così) mi garantisce una fitness nel lungo periodo. Anzi, direi che è proprio una strategia ottimale e il cristianesimo ne è proprio un esempio, essendo sopravvissuto a quasi tutti i suoi aguzzini. Però nel breve periodo fallisce. Occorre molto più tempo per elaborare una conoscenza dell'altro senza utilizzare i feedback corporei, o meglio i feedback dell'interazione muscoli-sensi, ma usando solo quelli cognitivi basati sull'osservazione e ricostruzione dei fatti con noi in terza persona. Ecco perchè nell'immediatezza dei fatti noi utilizziamo sempre la risposta del mondo reale, perchè l'altra potrebbe essere poco funzionale. Nel ricostruire i fatti vedendo noi stessi in terza persona, e pur accreditandoci di una quantità emotiva superiore a quella riservata agli altri, la differenza tra noi e gli altri non sarà così accentuata come quella che mettiamo in atto quando agiamo in prima persona.
La differenza sostanziale tra mondo immaginario e mondo reale, per quanto riguarda l'imparzialità, potrebbe risiedere dunque in questo: una minore immissione emotiva nel nostro sé in terza persona sposta in misura minore la ragione dalla nostra parte, cosa che invece non accade quando viviamo il nostro sé in prima persona.
Quando agiamo nella realtà in prima persona noi immettiamo emozione, e questo fatto accresce la consapevolezza di essere nel giusto aumentando le richieste di seità che l'emozione attiva. Quanto più aumentiamo la nostra seità tanto più diminuisce la seità degli altri, di modo che siamo convinti di essere nel giusto agendo in quel modo. Se così non fosse, forse il predatore proverebbe compassione per la piccola preda che sta sbranando e finirebbe con il diventare vegetariano...o morto.
(continua...)

1 commento:

  1. Direi assolutismo del relativismo, o religione dell'ateismo, o comunque la mettiate: un'dea che conquistò cuori e menti negli anni lontani fra la metà dell'ottocento fino a metà del novecento... ora questo modello, una sorta di tentativo reazionario di tornare all'universo newtoniano, è ormai scalzato dall'evidenza che meccanica quantistica e cosmologica siano informate da leggi che sono a volte simili ma a volte tanto diverse da sembrare altre rispetto alla "terra di mezzo" della "meccanica chimica" che ci sta sotto gli occhi. Il Progetto Intelligente e l'Evoluzionismo Teistico sono l'avanguardia di un nuovo paradigma gnoseologico più tendente alla Verità Ultima, ma bisogna attendere che gli ultimi baroni scoreggioni delle università vadano a sedare le loro dissonanze cognitive in proposito nelle beate foschie psicofarmacologiche della senescenza, e lascino i nuovi cercatori di conoscenza scardinare gli ultimi taboo positivistici e materialisti. 
    Un saluto in Cristo Gesù, Salvatore dell'Umanità.

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