giovedì 16 dicembre 2010

La fama postuma di van Gogh e il giudizio dell'osservatore

"[...] Potrei guadagnare qualcosa se facessi quadretti come piace a loro, ottimisti e sereni, senza la miseria della vita. Ma non correrò dietro ai mercanti d'arte. Continuerò a dipingere cose dure e vere. E chi lo desidera venga da me."
Vincent van Gogh a 19 anni
Così Vincent van Gogh  a suo fratello Theo (G. Bruno Guerri, Follia? vita di Vincent van Gogh, Bompiani 2009, p. 46).
In tutta la sua vita, degli oltre 800 dipinti ad olio e dei 700 disegni, ne vendette uno solo. Agli inizi del '900, però, la sua fama comincia a crescere. Il mito dell'artista genio e follia, di chi ha fuso insieme vita e arte, si impossessa della sua figura e non lo lascerà mai più.
Ma cosa c'è nell'arte di van Gogh? Sappiamo interpretarlo da soli o abbiamo bisogno che qualcuno ce lo spieghi? La sua fama è dovuta al fatto che comprendiamo autonomamente il suo reale valore o che qualcuno ha cominciato a scriverne in maniera entusiastica influenzando, da quel momento,  critici e osservatori?

I primi critici.
Uno dei suoi primi critici, benevoli, con il pittore ancora in vita,  fu Albert Aurier, giovane scrittore e critico d'arte, che nel 1890, sulla rivista Mercure de France, scrive l'articolo Les Isolèes: Vincent van Gogh (qui una versione inglese dell'articolo).
Nel 1891, su l'Echo de Paris, Octave Mirbeau, giornalista e critico d'arte, pubblica un articolo dal titolo Vincent van Gogh (qui una versione inglese dell'articolo).
Nei primi anni del '900, Julius Meier-Graefe, influente critico tedesco che con i suoi scritti sull'Impressionismo, tradotti in molte lingue, contribuì non poco al successo di questa corrente e dei suoi epigoni, scrisse una serie di articoli, Entwicklungsgeschichte der modernen Kunst (Lo sviluppo dell'arte moderna) del 1904, Über Vincent van Gogh (Su Vincent van Gogh) del 1906 e Vincent van Gogh del 1912, e poi Impressionisten: Guys - Manet - Van Gogh - Pissarro - Cézanne  del 1907, e ancora Vincent del 1922, che diedero un impulso irresistibile all'ascesa della fama sia di van Gogh che delle correnti artistiche dell'Impressionismo e del Post-Impressionismo.



Le prime mostre.
Ma fu anche grazie alle mostre e alle esposizioni che la sua fama ebbe modo di crescere.Roger Fry (artista e critico d'arte inglese), del gruppo di Bloomsbury, nel 1910 organizzò a Londra una mostra su Manet e i Post-Impressionisti (termine da lui coniato) con opere di van Gogh, Matisse, Gauguin e Manet, facendoli conoscere al grande pubblico.

Julien Leclercq, poeta e critico francese, che scriveva sul Mercure come l'amico Aurier, organizzò un tour di opere di van Gogh, Gauguin e degli altri modernisti in giro per l'Europa, toccando Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlandia e Berlino. Ambroise Vollard, mercante d'arte, fine estimatore, in grado di dare supporto a molti artisti sconosciuti, tra i quali appunto van Gogh, Cezanne, Renoir, Picasso, tanto per fare alcuni nomi, tra il 1895 e il 1896 organizzò una retrospettiva su van Gogh nella sua galleria e, cinque anni più tardi, nella più famosa Bernheim-Jeune galerie.

Alcuni di questi critici e artisti si conoscevano tra loro, altri erano noti e apprezzati, e in grado di influenzare i gusti del pubblico e degli altri critici. Ma l'impulso fondamentale lo diede la morte di van Gogh, che spinse a far conoscere le sue opere oltre il ristretto circolo dei suoi amici? Oppure si sarebbe manifestato anche con lui in vita? E' però notevole il fatto che questo impulso a far conoscere l'artista non si manifestasse a pieno finchè van Gogh era ancora in vita, o fosse comunque più attenuato, quasi come se la sua presenza fisica fungesse da freno.
Ed è una cosa ben strana, comprensibile solo se si investigano i famosi meandri della mente umana.

Proviamo ad osservare più da vicino uomini e fonti che contribuirono alla creazione e alla diffusione del genio di van Gogh


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Il Mercure de France.
Il Mercure de France inizia la sua storia nel 1672 come Mercure Galant. E' un giornale letterario, teatrale e artistico fondato dallo scrittore Jean Donneau de Visé, giornalista francese, commediografo e storico. Non soltanto di arti parla il Mercure, ma anche di vita di società e di cronache mondane, e forse è grazie a questo insieme di interessi che ottiene, nonostante le traversie e i cambiamenti di nome (1672 -Mercure Galant; 1677 Nouveau Mercure Galant;  1724 Mercure de France) un notevole successo come rivista. Il nome fa riferimento a Mercurio, messaggero degli dei ma richiama pure il Mercure Françoys, una delle prime riviste letterarie fondata nel 1611. Il suo pubblico di riferimento è quello dell'alta società, i nobili, i benestanti, che vuole informare sia delle ultime novità nel campo artistico e letterario ma anche dei fatti mondani, aneddoti, matrimoni e così via. Gli si riconosce un ruolo importante dal punto di vista giornalistico puro, per essere stato uno dei primi a incarnare il ruolo di rivista alla moda, per aver contribuito alla diffusione in periferia delle novità nel campo della moda, delle arti e dei fatti che riguardavano la bella società.
 Alla fine dell'800, in quel periodo che interessa noi, la rivista aveva un nuovo direttore, Alfred Vallette, appartenente alla corrente artistica e letteraria del Simbolismo. Alcuni protagonisti di questo movimento, in gran parte francesi, furono i poeti Paul Verlaine, Stéphane Mallarmé e Charles Baudelaire, l'americano Edgar Allan Poe, che esercitò una notevole influenza sull'autore dei Fleurs du Mal, per quanto riguada il campo letterario; Odilon Redon, Gustave Moreau e Pierre Puvis de Chavannes nel campo artistico. La data d'inizio di questo complesso movimento si è soliti farla coincidere con il Manifesto del Simbolismo pubblicato da Jean Moreas su Le Figaro nel 1886. Un gruppo, composto da Vallette, Jean Moreas, Alfred Jarry e altri, si incontrava regolarmente al cafè la Mère Clarisse, e il 1 gennaio del 1890 partì la nuova serie del Mercure che, tra le altre cose, oltre l'articolo su Vincent van Gogh, ospitò pure i primi lavori di personaggi come Andrè Gide, Paul Claudel e Guillaume Apollinaire.
Ma chi è Albert Aurier, il primo critico a tessere le lodi di van Gogh, con il pittore ancora vivente? George-Albert Aurier è uno scrittore e critico d'arte francese, morto giovanissimo. Grande assertore del Simbolismo nell'arte comincia a scriverne per la prima volta sul Le Décadent, poi su La Plume, ancora su Le Moderniste e infine sul Mercure. Due sono i momenti che gli hanno portato una certa qual fama, sia a lui - notevole tra i contemporanei, discreta tra i posteri- che ai protagonisti dei suoi articoli: Les Isolees: Vincent van Gogh e Le Symbolisme en peinture: Paul Gauguin. Cosa scrive Aurier in questo famoso pezzo?
 Il 9 o 10 febbraio del 1890, dopo aver letto l'articolo di Aurier, van Gogh gli scrive una lettera."La ringrazio molto per il suo articolo sul Mercure, che mi ha molto sorpreso.[...] ritrovo le mie tele nelle sue parole, ma meglio di come sono in realtà.[...] penso che più che a me, ciò che lei dice, si adatti ad altri, per esempio a Monticelli." Egli afferma di dovere molto a Monticelli, lo considera un diretto erede di Delacroix e lo paragona, dal punto di vista del temperamento artistico,  all'autore del Decamerone, il nostro Boccaccio: [Monticelli è] un uomo malinconico, infelice e rassegnato, che vede passare la bella vita e gli amori dei suoi tempi, dipingendoli e  analizzandoli, da emarginato.










(continua...)


Qui è possibile trovare una collezione di copie storiche del Mercure de France in edizione originale.
Qui la lettera ad Albert Aurier.

3 commenti:

  1. [...] Potrei guadagnare qualcosa se facessi quadretti come piace a loro, ottimisti e sereni, senza la miseria della vita. Ma non correrò dietro ai mercanti d'arte. Continuerò a dipingere cose dure e vere. E chi lo desidera venga da me."

    ...nella seconda metà del XIX secolo le condizioni cambiano. Il mercato della pittura diventa, a poco a poco, una borsa, regolata dalla legge della domanda e dell’offerta. Non vuol dire che i pittori dipingono in vista del denaro e delle ricchezze, ma che ai fattori che stimolano alla creazione artistica, a seconda egli artisti, in misura più o meno grande, si aggiunge l’incentivo nel successo materiale. Con Van Gogh comincia il dramma dell‘artista che si sente escluso da una società che assegna al lavoro solo il fine del profitto, che non utilizza il suo lavoro, e ne fa un disadatto, candidato alla follia e al suicidio. Si interroga pieno d’angoscia, sul significato dell’esistenza, del proprio essere nel mondo. E, naturalmente, si pone dalla parte dei diseredati, delle vittime: lavoratori sfruttati, i contadini a cui l’industria, con la terra e il pane , toglie il sentimento della religiosità del lavoro. A trent’ anni si rivolta, la sua rivolta è la pittura, una denunzia sociale. Anche la tecnica della pittura deve cambiare, opporsi alla tecnica meccanica dell’industria. Ogni segno di Van Gogh è un gesto per cogliere la realtà, fino all’assurdo: può soltanto subirla passivamente, oppure rifarla con la materia e gli atti che sono del proprio mestiere di pittore.

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  2. Mi viene quasi voglia di paragonare il tratto pittorico di van Gogh al segno lasciato da un arnese da lavoro...grazie per il tuo interessante commento Carla.

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  3. [...] Potrei guadagnare qualcosa se facessi quadretti come piace a loro, ottimisti e sereni, senza la miseria della vita. Ma non correrò dietro ai mercanti d'arte. Continuerò a dipingere cose dure e vere. E chi lo desidera venga da me."

    ...nella seconda metà del XIX secolo le condizioni cambiano. Il mercato della pittura diventa, a poco a poco, una borsa, regolata dalla legge della domanda e dell’offerta. Non vuol dire che i pittori dipingono in vista del denaro e delle ricchezze, ma che ai fattori che stimolano alla creazione artistica, a seconda egli artisti, in misura più o meno grande, si aggiunge l’incentivo nel successo materiale. Con Van Gogh comincia il dramma dell‘artista che si sente escluso da una società che assegna al lavoro solo il fine del profitto, che non utilizza il suo lavoro, e ne fa un disadatto, candidato alla follia e al suicidio. Si interroga pieno d’angoscia, sul significato dell’esistenza, del proprio essere nel mondo. E, naturalmente, si pone dalla parte dei diseredati, delle vittime: lavoratori sfruttati, i contadini a cui l’industria, con la terra e il pane , toglie il sentimento della religiosità del lavoro. A trent’ anni si rivolta, la sua rivolta è la pittura, una denunzia sociale. Anche la tecnica della pittura deve cambiare, opporsi alla tecnica meccanica dell’industria. Ogni segno di Van Gogh è un gesto per cogliere la realtà, fino all’assurdo: può soltanto subirla passivamente, oppure rifarla con la materia e gli atti che sono del proprio mestiere di pittore.

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