Abravanel-Regole |
Due libri diversi, eppure collegati, mi inducono a qualche riflessione.
Il primo è Regole, di R. Abravanel (quello di Meritocrazia) e L. D'Agnese (Garzanti 2010), il secondo è Intorno alla legge, di G. Zagrebelsky (Einaudi 2009).
In generale, il concetto di regole sembrerebbe appartenere più al centrosinistra, specie in occasione di eventi nei quali si dimostra una certa qual tendenza alla libera interpretazione di quelle vigenti da parte di tycoon del mondo economico, più che al centrodestra. Il concetto, in sè, oltre il rispetto e l'adesione alle norme scritte e a quelle da scrivere (eventualmente) è anche arma di riallineamento della lotta politica, collegato com'è, per esempio, con il cosiddetto conflitto d'interessi, la rimozione del quale è giudicato elemento fondamentale non solo per una parificazione delle condizioni di base per l'attività politica ma anche perchè , quel modo di fare, non diventi un punto di riferimento negativo per la società.
Abravanel vuole dimostrare che capitalismo di stampo anglosassone e regole vanno a braccetto e che anzi, l'uscita dalla recessione passa non per l'agognata (in generale dalle formazioni di destra, Repubblicani in America, Centrodestra in Italia) deregulation ma per un rigido rispetto delle regole. Egli demolisce quelli che chiama i quattro miti che impediscono una vera riforma delle regole, necessaria per superare l'impasse attuale, con precisi riferimenti al nostro Paese.
Il motto che riassume il suo punto di vista e che obiettivamente altri avevano toccato (cfr. per esempio, M. Ainis, Se 50.000 leggi vi sembran poche, Mondadori 1999), è questo:
"L'Italia ha due problemi: regole sbagliate e cittadini che non le rispettano. E' questa la causa dell'immobilità economica e sociale del nostro Paese. Le regole giuste sono sempre state alla base dello sviluppo e dell'innovazione. Bisogna rispettarle non solo per ragioni morali ma perchè è un buon affare."
I quattro miti da modificare sono
- Mito 1: "il capitalismo senza regole". In sostanza è l'idea che senza regole (capitalismo selvaggio) l'economia funzioni meglio. Non che la maggior parte di costoro ipotizzi, ora, la fine del capitalismo, ma che consideri questa crisi il preannuncio della fine del capitalismo anglosassone questo, dice Abravanel, è "una convinzione profonda e diffusa". Non è così, affermano gli autori. Il capitalismo, da sempre, si basa sulla rule of law, la sovranità della legge e sulle regole che vi si sono costruite sopra. La famosa mano invisibile smithiana non significa affatto l'assenza delle regole. Anche nelle economie emergenti, che mal si adattano alla rule of law, pure l'esigenza di creare una serie di ferree regole è alla base dell'imponente sviluppo economico.
- Mito 2: per lo sviluppo dell'economia ci vogliono meno regole e regole più semplici. Meno sono, meglio è. Così si potrebbe riassumere l'idea alla base di chi mal digerisce norme e regole nel capitalismo. L'equazione che propongono gli autori è: l'economia moderna è trascinata dai servizi e i servizi (il cosiddetto settore terziario) ha da sempre bisogno di una notevole regolamentazione, molto più di agricoltura e industria.Coloro che auspicano una riduzione delle regole citano la liberalizzazione come momento di aumento della concorrenza e per stimolare l'iniziativa privata ma, ribattono gli autori, da sempre le liberalizzazioni sono accompagnate da un aumento delle regole. Sanità, ambiente e finanza sono tre settori cruciali sui quali si giocherà lo sviluppo economico italiano ma sono anche tre settori a rischio sistemico. Le regole attuali sono farraginose e non sono capaci di creare un contesto adeguatamente robusto per affrontare le sfide del futuro.
- Mito 3: le troppe regole che soffocano il "piccolo è bello", motore dello sviluppo italiano. Piccolo è brutto, è invece lo slogan di Abravanel. Con qualche distinguo: piccolo non è brutto in senso assoluto ma solo quando si è obbligati a rimanere piccoli. Obbligati da regole, o dalla loro assenza, a rimanere piccoli, a non crescere, a non competere con le altri grandi aziende a livello internazionale: questo è il brutto del piccolo. "L'incapacità di crescere della maggioranza delle imprese italiane è una fenomenale palla al piede dello sviluppo economico". Adeguarsi alla giungla di norme è molto difficile per le piccole aziende, che così finiscono per non crescere e sforare parzialmente nel sommerso. E questo, ancora una volta, dicono gli autori, è un freno allo sviluppo.
- Mito 4: le regole giuste le fanno i politici. Se le regole sono sbagliate allora è colpa dei politici. Ma, dice l'autore, le regole giuste non le fanno solo i politici, le fa l'intera società. E' quello che chiama il circolo virtuoso delle regole. Che è, in buona sostanza, il senso civico in forma scritta. L'80% degli italiani è considerato analfabeta, in base alle definizioni di analfabetismo internazionali del nuovo millennio, contro un 40-50% degli Stati Uniti, e un 20% dei paesi nordici. La società vigile viene solo attraverso l'insegnamento civico nelle scuole. Un esempio per tutti: la giustizia civile. Siamo al 150° posto, al livello del Gabon, nelle classifiche internazionali. Altro aspetto che Abravanel considera sono i media: "in Italia sono tutt'altro che indipendenti", dice. E dunque il ruolo di controllo esercitato dalla libera stampa viene meno, e le caste prendono il sopravvento.
Zagrebelsky |
Questo, in estrema sintesi, il pensiero che gli autori sviluppano lungo le 364 pagine del volume.Il fatto di fornire alcuni validi esempi delle cose che non vanno non ha, ovviamente, il significato di avallare le tesi degli autori. L'irregimentazione delle regole non è sempre associata al benessere e al miglioramento anzi, spesso conserva traccia di una volontà di controllo piuttosto estesa. Ma, e qui richiamo il lavoro di Ainis citato prima, 50.000 leggi sono tante. Legge, diritto e regole. Per dirla con Zagrebelsky: ius e lex.
E' vero che le regole servono. Per esempio anche le particelle fondamentali di cui è composta la materia obbediscono a delle regole, perchè senza regole non c'è più riproducibilità, gli stessi componenti, nelle identiche condizioni, danno luogo a comportamenti differenti, e questo non è compatibile con la stabilità che necessita alla vita.
Ma, le regole, le leggi, sempre dal mondo provengono, non vivono in un'isola deserta. Le leggi e le regole vengono dalle interazioni sociali, dalle esigenze della convivenza. Oggi, dice Zagrebelsky, si demanda tutto alla legge, legge positiva, "macchina legislativa" che tutto macina e tutto vuole regolare, supplendo anche al diritto.
"Se mai occorresse una conferma concreta di che cosa significa la metafora della "macchina legislativa" -dice Zagrebelsky- basterebbe gettare uno sguardo alla più consultata fra le raccolte di legislazione, la Lex. Essa contiene decine di migliaia di provvedimenti, che crescono a ritmo esponenziale. Aggiornamenti mensili contenuti in fogli opportunamente definiti "mobili", oggi accompagnati da strumenti informatici integrativi, come si usa dire, "in tempo reale", danno corpo all'immagine della bufera legislativa che mai non resta: leggi nuove, modifiche alle vecchie, pro futuro e retroattive; leggi temporanee, transitorie, di sanatoria, sperimentali di "interpretazione" autentica ed errata corrige; testi unici della più varia natura; circolari e guide-lines delle più diverse autorità; "codici etici" e comportamentali di numerosi corpi professionali e burocratici; sentenze costituzionali con portata normativa: tutto ciò, moltiplicato per le molte autorità normative, centrali, regionali, locali e sopranazionali, che operano con l'intento che nulla sfugga alla più minuta e pervasiva regolazione giuridica."
E si aggiungano ora, anche le autorità federali. Insomma, ce n'è da farsi venire l'ansia. Anche la famiglia, anche le relazioni affettive sono soggette alla norma, alla regolazione della legge. Forse è implicito in questo un aumento di indipendenza individuale. Nel passato, quando l'autorità agiva anche senza questo nugolo di norme, lo faceva ex auctoritate appunto, con la sola imposizione del suo potere. Si sapeva che c'era un rigido codice di comportamenti, prete e medico condotto e anche il maestro, erano autorità, alle quali si ubbidiva anche senza che ve ne fosse un obbligo. La modifica (in meglio) delle relazioni tra i diversi ruoli sociali e l'acquisizione di nuovi diritti, nonchè la consapevolezza di questi diritti, che porta genericamente una diminuzione dell'adesione spontanea alle norme non scritte, prevede, forse, la necessità di una più ampia e capillare gestione normativa delle relazioni umane.
Ed è questo che lamenta Zagrebelsky: "Onde può dirsi che non c'è dimensione dell'esistenza che non sia oggetto di cura da parte del diritto, nella forma della legge positiva." La legge che sostituisce il diritto: "La silenziosa sacralità del diritto, è stata soppiantata dalla verbosa esteriorità della legge".
E' un tema di non semplice discussione, questo. Mi piaceva unire le due questioni, regole e invasione legislativa, seppure in via superficiale, e osservare questi due diversi atteggiamenti. Che infine potrebbero essere uno solo: un buon diritto e buone leggi. Leggi come controparte del diritto, e cioè doveri. Implicazioni delle relazioni tra uomini, che seguono un percorso. Forse quello accennato sopra: in un'epoca, la nostra, in cui si attutiscono le distanze tra cittadini e tra semplice cittadino e autorità, si ravvisa la necessità di infittire le norme che regolano queste relazioni. Dunque una sorta di conseguenza fisiologica dell'evoluzione delle nostre società? E però, per ora, vi lascio con la domanda.
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