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Al di là del mero fatto di cronaca, la morte di un senzatetto di 66 anni nel centro di Bolzano, avvolto dalle fiamme del fuoco che aveva acceso per scaldarsi, nella fredda notte di Natale di qualche giorno fa, vi è un aspetto che lascia perplessi e stupiti: il fatto che Giovanni Valentin, conosciuto come Hans Cassonetto, aveva rinunciato alla ricca eredità della madre (riferiscono alcune fonti -qui e qui-di 250mila euro, una villa e diversi appartamenti) per rimanere libero, quasi come se la sicurezza economica e una casa costituissero un ostacolo insuperabile alla libertà.
Non è quello che abitualmente pensa la gente che, anzi, è al contrario notevolmente frustrata dalle ristrettezze economiche e non dal benessere.
E' questa relazione tra avere un domicilio fisso e i soldi per mantenerti da una parte e la mancanza di libertà dall'altra che stupisce: quasi come se sopportare fame e freddo fosse la vera e autentica libertà, quasi come se, accluso al benessere di una vita agiata, ci fosse un'enorme catena che ti impedisce di allontanarti più di un tanto e quindi di essere veramente libero.
Ma quella libertà l'ha pagata cara. Già dicono che i senzatetto vivono in media trent'anni di meno, se ci aggiungi che spessissimo sono vissuti al freddo, nello sporco e con poco cibo, il prezzo da pagare per il mancato conformismo è piuttosto alto.
Infine, molto spesso, la condizione del senzatetto non è come quella di Hans, che l'ha scelta (anche se ci sarebbe molto da dire su questo scegliere) ma è subita, per i più svariati motivi, dal rimanere senza lavoro alle disgrazie economiche. Dicevo che c'è molto da dire sul fatto di scegliere la libertà, o meglio, la presunta libertà, di una vita senza nessun legame, nessuna residenza fissa, nessun obbligo, nessuna certezza: l'emarginazione è una delle conseguenze immediate. E l'emarginazione è anche la causa. Mi chiedo se sia giusto intervenire nei confronti di questa prima emarginazione, che è interna, voluta, per scongiurare l'altra, che è esterna e subita, o se non sia più giusto lasciare che ognuno segua il proprio destino (se esiste una cosa come il proprio destino), magari cercando di renderglielo meno brutto possibile.
Propendo per la prima ipotesi, anche se è solo un'opinione.
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