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Il 24 febbraio è uscito sull'Ecologist un reportage sulle condizioni di vita e di lavoro degli immigrati di Rosarno. Si dà il caso che proprio da Rosarno, e da altre zone d'Italia, la Coca Cola importi gli agrumi per le proprie bibite.
L'articolo dell'Ecologist non è elogiativo. Comincia così, riferendosi a un campo in cui vivono gli immigrati di Rosarno:
Probabilmente questo è il posto peggiore di tutta l’Europa occidentale. Un accampamento di fortuna con una strada rumorosa da un lato, la ferrovia dall’altro e un fiume stagnante che scorre non lontano. Il campo è un ammasso di tende tirate su alla bell’e meglio con una serie di teloni, a cui si aggiungono un paio di case abbandonate e qualche baracca. Oltre la recinzione di fil di ferro si vedono fuochi ardere tra i mucchi di immondizia: latte vuote formato famiglia di olio d’oliva, bottiglie di plastica, giornali, avanzi di cibo e altri rifiuti non meglio identificabili. Il fumo brucia gli occhi. Al tramonto decine di immigrati si danno da fare: chi cucina, chi taglia la legna, chi urla, chi cerca di scaldarsi. Figure che si stagliano contro la luce delle fiamme.
Internazionale ne ha curato una traduzione, e a quella vi rimando.
Rosarno, purtroppo, non è nuova a far parlare di sè. Tensioni con i suoi immigrati ci sono state in passato per l'uccisione di due migranti e anche reportage di altri giornalisti ne hanno illustrato gli aspetti più deteriori, a evidenziare una situazione molto degradata. Il resoconto che ne dà l'Ecologist è quello classico delle situazioni di sfruttamento e degrado. Certo, è incompatibile con gli standard che le nazioni evolute si vogliono dare.
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Si osserva che gli immigrati stranieri, che costituiscono quasi per intero la manodopera a basso costo per la raccolta dei frutti, è pagata 25 euro al giorno, da cui bisogna poi detrarre fino a 5 euro per il loro trasporto. Occorre anche sapere però, e lo ricorda Pietro Molinaro, presidente regionale di Coldiretti, che ogni bottiglia di aranciata paga 3 centesimi di arance, il che non è propriamente una grossa cifra (7 centesimi al chilo il prezzo attuale, 15 centesimi al chilo la richiesta, fonte qui). Se la Coca Cola pagasse 6 centesimi, questo potrebbe portare a un miglioramento del trattamento economico dei lavoratori stranieri [fonte qui], continua Molinaro. Insomma, non si sa mai bene dove comincia e dove finisce lo sfruttamento.
E che le grandi aziende non siano così pure e innocenti come spesso vogliono apparire lo dimostrano i recenti fatti di cronaca che coinvolgono grossi brand americani come la Apple e le sue linee di produzione cinesi.
Ora però, dopo la pubblicazione del servizio, interviene una novità: la Coca Cola annulla la fornitura di arance da Rosarno. Che lo abbia annullato è certo, ma la compagnia nega che ciò sia avvenuto a causa delle rivelazioni del servizio, come ventilato sui media:
The company denied media reports that it had cancelled the contract with a specific juice supplier as a result of the investigation and subsequent press coverage across Italy.
E ancora:
But in a statement, Coca Cola said: 'Regarding the news relating to the specific juice processor in the region of Rosarno, the Coca-Cola Company can confirm that its current seasonal contract with this supplier is nearing its end and has not been renewed. This decision was taken prior to any news coverage and has nothing to do with the workplace allegations.'
In sostanza, il contratto per la fornitura di arance da Rosarno era in scadenza e la Coca Cola non l'ha rinnovato. La decisione è stata presa prima che uscissero le notizie sulla stampa e non ha niente a che fare con le condizioni sul luogo di lavoro.
In seguito a questi fatti, secondo quanto riporta Internazionale, il Ministro dell'Agricoltura Catania ha deciso di incontrare oggi una delegazione della Coca Cola e alcuni parlamentari italiani parteciperanno a una riunione organizzata dalla Coldiretti per fare il punto della situazione.
Ripeto la domanda fatta sopra: dove comincia e dove finisce lo sfruttamento? Se le grandi compagnie vanno alla ricerca del prezzo migliore, che quasi sempre scende ben al di sotto degli standard di equità che i regolamenti internazionali prevedono, pure per i paesi sottosviluppati, cosa devono fare i produttori di materia prima? Le grandi aziende hanno in mano il controllo dei prezzi: in questo caso i produttori, se vogliono prendere la fornitura, sono costretti a praticare prezzi al ribasso e per farlo devono ridurre i loro costi. E l'alternativa ai bassi prezzi è ancora peggiore: perdere la fornitura significa entrare in una crisi profonda.
La competizione dei paesi con un costo della manodopera basso è spietata e purtroppo l'unica lotta che molte piccole aziende sono in grado di fare è proprio sul costo della manodopera. Penso che le compagnie ne siano perfettamente consapevoli ma che quando queste cose vengono a galla siano costrette ad assecondare quello che si aspetta l'opinione pubblica.
La guerra al ribasso non dà mai buoni frutti. Anche in Cina, area emblematica di una politica di retribuzioni da fame, pur se stipendi di pochi euro significano comunque un miglioramento delle condizioni precedenti, sta prendendo corpo sempre più spesso la consapevolezza di avere dei diritti.
Per quanto riguarda la situazione di Rosarno, cosa possiamo augurarci? Che vengano puniti i cattivi imprenditori calabresi? O che le grandi compagnie abbiano un sussulto, che avrà però un costo, magari fatto pagare proprio a noi consumatori? O che la gran parte degli Stati si accordi finalmente per fornire uno standard di diritti dei lavoratori che sia valido dappertutto?
E' come trovarsi di fronte a un crimine in cui si conosce benissimo il colpevole. Solo che il colpevole non è uno solo, ma sono tanti e a causa del sovrapporsi delle impronte digitali sull'arma del delitto, non si riesce più a capire chi ha premuto, per ultimo, il grilletto.
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