Una sentenza della Corte Costituzionale (11/10/2012 n. 223) boccia alcuni commi di un decreto legge varato nel 2010. Si tratta del decreto legge 31 maggio 2010 n. 78, convertito nella legge 30 luglio 2010, n. 122 e, nello specifico, degli articoli 9 (commi 2, 21 e 22) e 12 (commi 7 e 10). Il decreto si intitola Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, è stato varato dal Governo Berlusconi ed è questo (cioè, questo è il comma 2 dell'art. 9, fare riferimento al link per gli altri articoli e commi):
2. In considerazione della eccezionalita' della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, previsti dai rispettivi ordinamenti, delle amministrazioni pubbliche, inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di Statistica (ISTAT), ai sensi del comma 3, dell'art. 1, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, superiori a 90.000 euro lordi annui sono ridotti del 5 per cento per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonche' del 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro; a seguito della predetta riduzione il trattamento economico complessivo non puo' essere comunque inferiore 90.000 euro lordi annui; le indennita' corrisposte ai responsabili degli uffici di diretta collaborazione dei Ministri di cui all'art. 14, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 sono ridotte del 10 per cento; la riduzione si applica sull'intero importo dell'indennita'. Per i procuratori ed avvocati dello Stato rientrano nella definizione di trattamento economico complessivo, ai fini del presente comma, anche gli onorari di cui all'articolo 21 del R. D. 30 ottobre 1933, n. 1611. La riduzione prevista dal primo periodo del presente comma non opera ai fini previdenziali. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e sino al 31 dicembre 2013, nell'ambito delle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successivemodifiche e integrazioni, i trattamenti economici complessivi spettanti ai titolari degli incarichi dirigenziali, anche di livello generale, non possono essere stabiliti in misura superiore a quella indicata nel contratto stipulato dal precedente titolare ovvero, in caso di rinnovo, dal medesimo titolare, ferma restando la riduzione prevista nel presente comma.
Il decreto prevedeva una serie di tagli delle retribuzioni dei dipendenti pubblici del 5% (tra 90 e 150 mila euro) e del 10% sopra i 150 mila euro lordi l'anno. Venivano pure bloccate per qualche anno le indennità. Ma la Consulta, adita dai Tribunali Amministrativi su ricorso presentato da alcuni magistrati, ha stabilito
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 22, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, nella parte in cui dispone che, per il personale di cui alla legge 19 febbraio 1981, n. 27 (Provvidenze per il personale di magistratura) non sono erogati, senza possibilità di recupero, gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2012 e che per tale personale, per il triennio 2013-2015 l’acconto spettante per l’anno 2014 è pari alla misura già prevista per l’anno 2010 e il conguaglio per l’anno 2015 viene determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014; nonché nella parte in cui non esclude che a detto personale sia applicato il primo periodo del comma 21;3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 22, del d.l. n. 78 del 2010, nella parte in cui dispone che l’indennità speciale di cui all’articolo 3 della legge n. 27 del 1981, spettante al personale indicato in tale legge, negli anni 2011, 2012 e 2013, sia ridotta del 15% per l’anno 2011, del 25% per l’anno 2012 e del 32% per l’anno 2013;4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010, nella parte in cui dispone che a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, previsti dai rispettivi ordinamenti, delle amministrazioni pubbliche, inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), ai sensi del comma 3, dell’art. 1, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica), superiori a 90.000 euro lordi annui siano ridotti del 5% per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonché del 10% per la parte eccedente 150.000 euro;5) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 12, comma 10, del d.l. n. 78 del 2010, nella parte in cui non esclude l’applicazione a carico del dipendente della rivalsa pari al 2,50% della base contributiva, prevista dall’art. 37, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032 (Approvazione del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato);
Il razionale di questo intervento della Corte è il mantenimento dell'indipendenza dei magistrati, che si manifesta anche nella progressione automatica delle retribuzioni
In particolare, per quanto riguarda le misure incidenti sugli automatismi stipendiali che caratterizzano la progressione economica, il giudice a quo rileva che il meccanismo di blocco prefigurato si porrebbe in contrasto con l’art. 104, primo comma, Cost., in quanto violerebbe il principio per cui il trattamento economico dei magistrati non sarebbe «nella libera disponibilità del potere, legislativo o maiori causa del potere esecutivo» trattandosi di un aspetto essenziale all’attuazione del precetto costituzionale dell’indipendenza. Un tale assunto sarebbe stato più volte ribadito dalla Corte costituzionale, secondo cui il cosiddetto adeguamento automatico rappresenterebbe un elemento intrinseco della struttura delle retribuzioni dei magistrati, diretto alla «attuazione del precetto costituzionale dell’indipendenza» (sentenza n. 1 del 1978), in modo da evitare che questi «siano soggetti a periodiche rivendicazioni nei confronti di altri poteri» (sentenza n. 42 del 1993), concretizzando dunque “una guarentigia” (sentenza n. 238 del 1990).
e l'ingiusta decurtazione degli stipendi a carico dei soli dipendenti pubblici mentre i dipendenti privati ne sarebbero stati esclusi
A giudizio del TAR, il requisito della capacità contributiva, di cui all’art. 53 Cost., inteso quale “valore” diretto ad orientare la discrezionalità del legislatore di fronte ai fenomeni tributari, si sostanzierebbe in quello per cui «a situazioni uguali, corrispondono tributi uguali», sicchè il sacrificio patrimoniale che incida soltanto sulla condizione e sul patrimonio di una determinata categoria di pubblici impiegati, lasciando indenni, a parità di capacità reddituale, altre categorie di lavoratori (“segnatamente autonomi”), risulterebbe arbitrario ed irragionevole, e pertanto in contrasto, non solo con l’art. 53, ma anche con l’art. 3 della Costituzione.
Tutto da rifare, dunque. Le retribuzioni dei magistrati non si possono toccare, per questioni di indipendenza, e nemmeno quelle dei dipendenti pubblici, almeno se non si attua uno stesso provvedimento nei confronti delle altre categorie di lavoratori di pari stipendio.
il cane che si morde la coda
RispondiEliminagli stipendi dei magistrati sono legati ha quelli dei politici tante che quando i parlamentari si aumentano lo stipendio automaticamente aumenta anche ai magistrati per tanto se i parlamentari si abbassassero lo stipendio il tutto diventerebbe
costituzionale. UN'INCAZZATO
Sappiate che i dirigenti pubblici e i magistrati si portano appresso con i loro aumenti stipendiali, non essendo contrattualizzati, anche i nostri signori onorevoli, ministri, i professori universitari, i medici, i generali e ufficiali e personale di tutte le forze armate, e pertanto della sentenza della corte costituzionale beneficieranno in tanti e a che fior di stipendi.
RispondiEliminaUN'INCAZZATA NERA
e quali dipendenti pubblici!!!...sono intoccabili solamente quelli con gli stipendi d'oro e di platino che gli altri sono sottopagati (se pensiamo poi che ad ogni ente corrispondono stipendi differenti e che i dipendenti della regione guadagnano più di quelli delle province e dei comuni e quelli dei ministeri più di quelli delle regioni...e con le tasse che prendono ai più poveri tra i dipendenti pubblici presto anche loro fanno la fame...:(
RispondiEliminadovrebbero esistere solo i comuni, le città metropolitane e tornare tutto allo stato così da avere uniformità di trattamenti ma occorrerebbe azzerare prima tutto e ricominciare da capo con gente onesta...purtroppo è solo utopia!