lunedì 2 maggio 2011

Ancora sul nucleare: costi, sicurezza, convenienza

Nelle continue discussioni sulla produzione di energia dal nucleare, si sente spesso affermare che noi siamo costretti a comprare energia  dalla Francia pagandola salata ma, secondo due autori [Armaroli, Balzani 2009] le cose stanno diversamente
Nulla di più falso: è la Francia che è costretta a vendere ai Paesi limitrofi elettricità a basso costo durante la notte, per liberarsi del surplus prodotto dai propri impianti.
Infatti, continuano i due autori, il nucleare non si può accendere e spegnere a piacimento ma eroga una quantità di energia più o meno costante. 
In altri articoli avevo scritto che rapporti di agenzie internazionali danno l'energia nucleare dei prossimi anni come attorno al 7% del totale, partendo da un 6% attuale. Non si prevede un grosso sviluppo perchè l'energia prodotta da questa fonte  non è poi così conveniente. Però, nonostante il basso interesse degli investitori in assenza di contributi statali, questo genere di produzione di energia ha raccolto qualcosa come il 60% dei fondi in ricerca e sviluppo [1], sottraendoli ad altri sistemi più puliti, economici e sicuri.

La fonte nucleare rappresenta attualmente  il 6%  dell'energia primaria e il 15% di quella elettrica. Il nucleare ha avuto il momento di massimo splendore dalla fine degli anni 50 al disastro di Chernobyl, poi la costruzione è calata di molto: 423 reattori nel 1986, 440 oggi. In costruzione ci sono 31 centrali nucleari, ma molte altre stanno per essere dismesse. In più, l'incidente ai reattori di Fukushima ha fatto decidere  molti governi ad attuare un severo controllo di sicurezza sugli impianti esistenti, la maggior parte dei quali con almeno 20 anni di vita. Non vi è quindi, ragionevolmente, molto spazio per la produzione energetica da questa fonte nel futuro. La cosa è anche comprensibile.

photo ecoo.it
Le scorie.
Per esempio se uno pensa al problema delle scorie radioattive: smaltirle costa molto.
Le scorie nucleari possono essere a bassa e media radioattività oppure ad alta radioattività. Le prime sono quelle rappresentate da tutti quei presidi di contenimento o difesa, in pratica le parti di un reattore dismesso, oppure i terreni contaminati, o le attrezzature utilizzate nella centrale, insomma tutti quegli oggetti che sono venuti a contatto con le radiazioni nucleari. Le seconde sono invece costituite dal combustibile nucleare esausto. Questo combustibile, a causa del calore che ancora sprigiona e che potrebbe innescare una reazione a catena, deve essere mantenuto raffreddato in speciali contenitori per almeno 10 anni, prima di essere immagazzinato in un deposito di sicurezza.
A titolo di esempio, una centrale da 1000 MW (megawatt) è in grado di produrre fino a 30 tonnellate di scorie radioattive. La composizione di queste scorie vede al primo posto l'uranio  per il 94% e l'1% è costituito dal plutonio. Queste scorie sono altamente pericolose e rappresentano un problema notevolissimo anche a causa dell'elevato tempo di dimezzamento di quasi tutti gli elementi che le compongono.
Gli Stati Uniti hanno cominciato a porsi il problema di trovare un posto sicuro per lo stoccaggio sin dagli anni 70 del secolo scorso. Nel 1978 si è individuato un sito nel Nevada, a 150 chilometri da Las Vegas: Yucca Mountain. Sono cominciati i lavori e si sono spesi circa 60 miliardi di dollari. La consegna è prevista per il 2017 , con un ulteriore investimento di 15 miliardi, ma finora non una sola tonnellata delle 45.000 di scorie prodotte dalle 104 centrali nucleari americane  è stata immagazzinata. Quando si potrà farlo, nel 2017, le tonnellate saranno diventate 85.000 mentre la capienza del sito sarà di 70.000 cosicchè, ancora prima di finirlo, è già pieno. Al ritmo con cui si producono le scorie nel mondo, ci sarebbe necessità di un deposito come quello di Yucca ogni due anni, mentre gli americani non sono riusciti a costruirne uno in 40 anni.
Per intanto, le scorie rimangono nelle centrali, con tutti i rischi connessi.

Convenienza.
L'uranio è presente sulla terra in ragione di 3 ppm ovvero 3 grammi ogni tonnellata. Non si può però estrarre roccia con un tasso di uranio di questo genere perchè non sarebbe conveniente, ce ne vogliono almeno 500 grammi per tonnellata. Attualmente, la produzione di uranio è molto al di sotto della domanda: circa 40.000 tonnellate prodotte a fronte di 70.000 richieste. Per questo motivo, nei primi anni del 2000, il prezzo dell'uranio è aumentato di sette volte.
Una centrale standard ha bisogno di circa 160 tonnellate di uranio all'anno. Se la base è una roccia con una concentrazione di 1 chilogrammo di uranio per tonnellata ci vogliono 160 mila tonnellate. Il materiale viene quindi raffinato per arrivare a una concentrazione dell'80% di ossidi di uranio del tipo U3O8. Quello che rimane dopo il trattamento, che non è poco, cioè più di 159 mila tonnellate, è un rifiuto speciale perchè contiene elementi radioattivi e deve essere smaltito con attenzione.
Dopo averlo raffinato bisogna addizionarlo con 235U, infatti il solo 238U non è in grado di avviare la reazione. L'arricchimento dell'uranio è un processo molto costoso, anche in termini energetici e permette a chi possiede uno di questi impianti detti di ultracentrifugazione, di produrre il combustibile, che non si usa solo a scopi civili.
Durante l'arricchimento l' U3O8 è trasformato in esafluoruro di uranio UF6 e poi in barrette di diossido di uranio UO2. Queste barrette hanno le dimensioni di pochi centimetri e vengono a loro volta inserite in barre di zirconio. Ogni 1000 MW occorrono 50 mila di queste barre, da rinnovare ogni 3 anni.
Inoltre, non solo costa molto preparare il materiale fissile ma costa molto anche smantellare una centrale. Si stima che il costo energetico sia 10 volte superiore a quello necessario per smantellare una centrale a gas: 250 PJ (petajoule, 1015 joules). Per questi motivi, quello  che gli anglosassoni chiamano il payback time energetico ovvero il tempo necessario a restituire l'energia impiegata, si aggirerebbe sui 7 anni: prima di quel tempo è più l'energia immessa di quella ottenuta. Lo studio è di alcuni ricercatori australiani [1]. Curiosità sull'Australia: è il paese con la maggior quantità di uranio al mondo, ma non ha centrali nucleari.
(continua...)

[1] N. Armaroli, V. Balzani, Energia per l'astronave Terra, Milano 2009

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