domenica 20 novembre 2011

Dagli indignati ai mercati finanziari: può esistere una giustizia globale? #1

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Normalmente si fa risalire l'origine di questi nostri recenti guai alla crisi dei mutui subprime americani, crisi eminentemente finanziaria e bancaria. Da qui il ruolo di coprotagonista nel titolo riservato a quel mondo della finanza riassunto dalle parole mercati finanziari.
L'altro protagonista è rappresentato dagli indignati, classe eterogenea ma facilmente collocabile: tutti quelli che hanno avuto e hanno da perdere dalla crisi finanziaria globale, tutti coloro che hanno dovuto pagare e pagano per questa crisi senza averla causata, tutti coloro che, infine, hanno una spinta forte e una richiesta pressante di giustizia, una giustizia che potremo definire non solo nazionale,  perchè la crisi non è solo nazionale ma internazionale, e dunque anche la sete di giustizia non è solo nazionale ma è una sete di giustizia globale.
Ma, è possibile una giustizia globale?

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Ora, si noti che la domanda posta qui sopra è anche quella che si era posto qualche anno fa (2005) il filosofo Thomas Nagel in un libro che portava proprio quel titolo, e questo prima che scoppiasse la crisi dei subprime.
E' noto che durante una crisi economica i contrasti si accentuano. Ed infatti è proprio questo il caso. Le posizioni ideologiche si acutizzano, aumentano le divisioni e si fanno più aspri i confronti. Il movimento degli indignati raccoglie questa protesta globale contro l'ingiustizia, ingiustizia rappresentata da un mondo finanziario, i mercati, che origina la crisi e la scarica sui cittadini.
Non è solamente una caccia all'untore, il tentativo di trovare un colpevole sul quale scaricare tutte le responsabilità sacrificandolo sull'altare della giustizia. Chiaramente non è solo questo. E' piuttosto l'identificazione di una stortura presente nella storia dell'umanità, presente fin dal momento in cui gli uomini hanno abbandonato la caccia e raccolta e hanno dato inizio alla modernità con l'agricoltura: è la creazione di una disparità, è l'accentuazione delle differenze, è l'istituzione dei privilegi. 
Grazie a questa ancestrale e minacciosa presenza, l'umanità ha percorso una strada, non sappiamo se l'unica possibile, ma ha percorso una strada edificata sopra l'ingiustizia, se per giustizia intendiamo la giusta ripartizione delle risorse. Lo sviluppo dell'economia capitalistica e, ancora prima, prima quella del latifondismo o del vassallaggio, si basa sullo sfruttamento. Questo è perfettamente visibile nelle nazioni ad altissimo sviluppo economico come Cina e India . Anche se la situazione dalla quale provenivano i lavoratori di quei paesi non era certo il paradiso in terra anzi, con tutta probabilità era ancora peggiore, non c'è dubbio che questo imperioso sviluppo industriale avviene grazie allo sfruttamento di manodopera a bassissimo costo. 

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L'idea generale che la gente comune si fa, allora, è quella che dietro ogni evento avverso ci sia lo zampino di forze occulte identificabili come i poteri forti o le elite dominati. L'idea non è sbagliata anche se, a mia conoscenza, non si dà nessun paese  che abbia visto svilupparsi una società economicamente evoluta dal puro e semplice cooperativismo paritario. Sembra dunque che una certa qual disuguaglianza sia necessaria per far prosperare una società di umani nel suo complesso.
Non viviamo in un mondo giusto. Questa è forse l'affermazione meno controversa che si possa pronunciare nel campo della teoria politica. [p. 3]
Questo è l'esordio dello scritto di Nagel.  Due sono i pilastri sui quali edifica la sua teoria di una giustizia globale: Thomas Hobbes e John Rawls.
Tratterò quest'argomento concentrandomi sull'applicazione al mondo nel suo complesso di due questioni centrali della teoria politica tradizionale: la relazione fra giustizia e sovranità e l'ampiezza e i limiti dell'eguaglianza in quanto richiesta di giustizia. [...] La questione della giustizia  e della sovranità venne formulata in maniera memorabile da Hobbes. Egli sostenne  che, per quanto i veri principi della giustizia si possano scoprire anche affidandosi solo al ragionamento morale, la giustizia effettiva non si può raggiungere se non tramite uno Stato sovrano. [...] La questione della giustizia e dell'eguaglianza è stata posta con chiarezza particolare a partire da uno dei vari dibattiti tra Rawls e  i suoi critici. Rawls ha sostenuto che i requisiti della giustizia liberale comprendono una forte componente di eguaglianza tra i cittadini. [p. 5]
L'idea di Hobbes è che non possa darsi nessuna forma di giustizia se non vi è uno Stato sovrano. Il principio di giustizia, secondo lui, è un insieme di norme che serve l'interesse personale collettivose tutti vi si conformano. Affinchè tutti vi si conformino, giacchè è ingenuo sperare che ognuno lo faccia di propria volontà anche quand'anche sapesse che tutti gli altri, dopo di lui, lo farebbero a loro volta, occorre un governo il quale si occupi, in generale, che interesse personale individuale e interesse personale collettivo coincidano.
Il genere di pratica o istituzione collettiva e onnipervasiva che  è capace di essere giusta, nel senso primario del termine, può esistere solo in presenza di un governo sovrano. E' soltanto l'operare di un sistema del genere che si può giudicare giusto o ingiusto. [p. 9]
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 Da quanto detto sembrerebbe, almeno nell'ipotesi hobbesiana, fatta propria da Nagel, che l'anarchia non abbia, in questo senso, nessuna possibilità di perseguire la giustizia globale, non essendo in grado di funzionare da garante dell'adesione alle norme,  adesione globale da cui dipende l'interesse personale collettivo.
Un limite di questa visione, che lega l'instaurazione di un ideale di giustizia all'interno di uno Stato all'interesse personale collettivo,  è data dalla constatazione che non solo sull'interesse personale collettivo si basano gli ideali dei singoli appartenenti a quello Stato. Non è solo l'interesse personale a far parte delle cose desiderabili dai cittadini ma anche cose immateriali come difesa dell'ambiente, rispetto per le minoranze, lotta contro le diseguaglianze a livello internazionale, diritti umani basilari nel mondo, limiti alle azioni dei governi e così via. 
Nagel affronta la questione ponendola in questi termini. Uno degli ideali di giustizia dei cittadini potrebbe essere legato al miglioramento delle condizioni di vita dei paesi del Terzo mondo. Come considerare la situazione di questi paesi in cui, per esempio, la morte per malnutrizione è un evento abituale?
[...] come rispondere alle disuguaglianze su scala mondiale dal punto di vista della giustizia e dell'ingiustizia, piuttosto che soltanto a partire da una prospettiva umanitaria? La risposta a questo problema dipenderà in maniera cruciale  da come si concepisce la relazione fra il valore della giustizia e l'esistenza delle istituzioni rese possibili dall'autorità sovrana. [p. 14]
Esistono due teorie principali: il cosmopolitismo e  la concezione politica.
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L'idea di giustizia insita nel  cosmopolitismo implica il concetto di parità tra gli umani, che comporta l'obbligo dell'utilizzo di un principio di equità  nel trattamento di ognuno. Si noti che questo concetto opera al di là del singolo Stato sovrano, che  si adegua all'idea di equità nei rapporti come regola generale  e ne è strumento attuativo ma , in pratica, ogni singolo Stato sovrano potrebbe costituire
uno sfortunato ostacolo contro la possibilità di stabilire, o addirittura di cercare di realizzare, una giustizia globale. [p. 15]
Questo ostacolo sarebbe costituito dalla constatazione che la diversità delle condizioni economiche di ogni singolo Stato, con le conseguenti differenze nelle condizioni di vita, costituirebbero una violazione di quel principio di equità che conforma il cosmopolitismo, alla quale violazione però, in assenza di un governo globale, non ci si potrebbe opporre, generando un senso di ingiustizia globale.
John Rawls imegesource haecceitasweb

Nell'idea di giustizia definita politica, lo Stato sovrano non è solo strumento di attuazione dei principi di equità presenti tra le persone  ma fa parte integrante della possibilità di relazione equa con i cittadini sia all'interno dello Stato che all'esterno. Infatti, è solo dalla mediazione istituzionale che è possibile stabilire un rapporto di equità internazionale che i singoli cittadini altrimenti non avrebbero. Idea espressa da Rawls il quale afferma che, più che su base morale, conviene adottare  l'idea di giustizia come valore politico, una sorta di virtù istituzionale.
Anche Dworkin usa il concetto di virtù istituzionale per definire l'idea di giustizia di derivazione politica, e ipotizza il senso di responsabilità che dovrebbe conformare l'operato di un'istituzione quando richieda l'adesione alle proprie norme a tutti i cittadini. Insomma, l'idea alla base di questa teoria è che la giustizia è un atteggiamento richiesto solo nei confronti di coloro ai quali siamo legati dal fatto di far parte dello stesso Stato, un obbligo derivante dal vivere sotto il medesimo tetto istituzionale, un cosiddetto obbligo associativo.




(continua...)

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