mercoledì 6 febbraio 2013

"Il mio doping: Epo, cocaina, anabolizzanti". Un ex ciclista si confessa

Ho smesso da anni di credere nello sport, non mi appassionano più le competizioni, chi vince e chi perde spesso è solo questione di dosaggi o scommesse. Già nel 2002 usciva in italiano Massacro alla catena, del preparatore belga Willy Voet, che dipingeva le fosche tinte del doping nel ciclismo e recentemente ci sono stati i casi di Lance Armstrong e quello del nostro marciatore Alex Schwazer.
Non è certamente per puntare  l'indice accusatore nei confronti di questi atleti, più spesso vittime che altro. E' storia vecchia e, se vogliamo, banale dire che è tutto il sistema del professionismo a essere così, ma è la verità. Addirittura non coinvolge solo il mondo dei professionisti, perchè l'aiuto farmacologico è ben presente anche a livello amatoriale, nelle palestre [Corriere, La Stampa, Corriere].
Ora, come ennesima conferma di quello che tutti sanno, ma di cui non importa poi molto visto il costante successo delle manifestazioni sportive, viene questa intervista di Graziano Gasparre, ex promessa del ciclismo di qualche anno fa, fermato da un incidente prima e da un tumore, fortunatamente benigno, poi. E' proprio quest'ultima tragica evenienza a farlo decidere a parlare e raccontare la sua verità. Lo fa in un'intervista al Fatto Quotidiano, con l'intento di servire da esempio per gli altri ciclisti
Ora come vive un ex dopato?
Ho accettato di piegarmi al sistema e di drogarmi per una stupida soddisfazione personale. Un errore che mi stava distruggendo la vita. E’ una cosa che non può succedere. Per questo oggi parlo. E spero che qualcuno mi ascolti.[il Fatto cit.]
Ma probabilmente nessuno lo ascolterà perchè, come riconosce lui stesso, non ci sono rimorsi quando ti senti bene e vai forte
E non c’è nessuno che si ribella perché vinto dal rimorso?
Io non ho mai avuto rimorsi. Quando vai forte ti senti bene, ti dimentichi di tutto. E’ come andare giù in discesa a 90 all’ora, l’adrenalina cancella la paura: quando finisci di correre e sei sotto la doccia magari ci pensi, ma il giorno dopo rifai tutto da capo. Anche perché non mi sentivo un dopato, non avevo sensi di colpa: mi comportavo come tutti gli altri, lo facevo solo per competere ad armi pari. Una volta che cominci e che vedi gli effetti, è difficile uscirne: temi di andare piano, di restare senza contratto. Chi non l’ha provato probabilmente non può capire. La squadra ti dà ‘solo’ un consiglio, nessuno ti obbliga a doparti, ma quando sei in gruppo ti rendi conto che o ti adegui al sistema o smetti di correre.[il Fatto cit.]
Basta saperlo. Sapendolo, il nostro giudizio sullo sport professionistico cambierà? L'importante, come si dice,è gareggiare ad armi artificiali pari, però c'è una controindicazione: il doping non è senza rischio, sia diretto, con tutte le patologie che può causare che indiretto, con l'aumento della possibilità di usare sostanze di abuso, anzi è proprio questo aumento di rischio il motivo che ha spinto il ciclista a parlare:
[...] perché la mia testimonianza possa aiutare gli altri a non rovinarsi la vita per una stupida soddisfazione personale. A me è stato asportato un frammento nodulare di quasi 4 cm. L’operazione è perfettamente riuscita, ora sto bene e nei giorni scorsi ho ricevuto i risultati dell’esame istologico: il tumore era benigno.
[...] Quando correvo io non ho fatto uso solo di doping, ho preso anche altra merda, come cocaina e anfetamine. Nel ciclismo la droga è più diffusa di quanto si pensi: ho cominciato su consiglio di un compagno di allenamenti che pure lo faceva, poi è diventato un vizio che mi ha accompagnato negli anni. E non solo per il gusto dello ‘sballo’, ma sempre a fini professionali: tiravo per dimagrire, specie in inverno quando è facile mettere su qualche chilo di troppo; mi impasticcavo per fare super allenamenti di molte ore. Chi si dopa è in qualche maniera ‘predisposto’ a fare uso di stupefacenti. E pure questa diventa una dipendenza: il vizio della cocaina mi ha accompagnato negli anni, anche dopo il 2005. Poi sono riuscito a smettere, di botto, perché stavo perdendo la mia famiglia, mia moglie e mio figlio, quel che ho di più caro al mondo. E adesso c’è stato il tumore. [il Fatto cit.]





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