giovedì 6 gennaio 2011

Sul personalismo in politica e altrove: autorità o autorevolezza?

quarto potere
Esiste una sottile differenza, nemmeno troppo rimarcata dalle definizioni dei vocabolari ma ormai entrata nell'accezione comune, che autorità e autorevolezza facciano riferimento a due momenti distinti, seppure accomunati da una notevole somiglianza.

Autorità è di chi esercita un potere basato sulla forza, sul numero, o sulla prestanza, insomma su caratteristiche che diremmo quantitative, perchè di quelle che quasi ognuno detiene anche se in misura variabile. Le autorità, infatti, sono quegli enti che possono fare cose in misura superiore al resto della popolazione, non perchè il resto della popolazione non sia in grado di farle ma solo perchè non ne ha l'autorità. L'autorità è anche di una grande personalità, in un settore specifico, in cui lo si riconosce eccellere, anche se il termine ha pur sempre un risvolto di dominio, di esercizio della forza, fosse pure solo quella intellettuale. L'autorità si nutre di quantità dunque, che può essere il voto popolare come l'unanime consenso, o anche la conquista del potere con la forza. E autoritario lo si riferisce a un gesto, un atto, di chi voglia ribadire la propria autorità, cioè di chi voglia stabilire la base quantitativa che diversifica.

Autorevolezza è di chi esercita un potere basato sul convincimento, sulla ragione o sull'affetto, di chi induce all'accettazione di un pensiero con la sola forza del proprio esempio o del proprio ragionamento, insomma su caratteristiche che definiremmo qualitative. Alla persona autorevole riconosciamo una valenza morale o intellettuale superiore alla nostra o comunque alta, in virtù del pensiero che trasmette o del proprio stile di vita. E' autorevole Gandhi oppure Einstein, per esempio.



Quando si afferma che le gerarchie ecclesiastiche auspicano nuovamente un governo Berlusconi, su cosa confidano, sulla sua autorità o sulla sua autorevolezza? Ma, nella nostra ipotesi, dell'autorevolezza fa parte integrante la rappresentazione della persona. Pur essendo un requisito che si basa soprattutto sul pensiero di una persona, non può esserne disgiunta la valutazione della persona stessa, come tutto integrante dell'espressione generale del soggetto. In questo, non credo che Berlusconi rappresenti l'ideale per il modello di vita cristiano, almeno per quello che attiene alla sua vita sentimentale. E' dunque su  altri versanti che punta la chiesa quando auspica la permanenza o l'auto-successione dell'attuale governo: o il versante di un'autorevolezza che però esclude certi tratti oppure, francamente, il versante dell'autorità. La chiesa stessa rappresenta un'autorità, anche se insieme trasmette messaggi che inducono a ritenerla autorevole. E' autoritaria, la chiesa, nel momento stesso in cui non accetta discussioni su quelli che considera cardini della sua dottrina. La dottrina della chiesa non è una cosa che può essere impunemente soggetta a revisione. Dall'altro lato, con la fusione di vita e opere in molti rappresentanti ecclesiastici, si realizza quell'autorevolezza di base, alla quale ognuno di noi può legittimamente aspirare, che è l'autorevolezza derivante dalla coerenza tra quello che si dice e quello che si fa. Autorevolezza che è di tanto aumentata quanto maggiore è lo spostamento dal versante egoistico e individualistico a quello altruistico.
pino puglisi
Nonostante quello che possono pensare alcuni, ritengo infatti che buona parte degli appartenenti al clero di base, siano dotati di una spinta interiore genuina e convincente, al punto tale da portarli, a volte, al sacrificio personale. E questa la considero una manifestazione di autorevolezza personale.
Dicevamo allora che rimangono sul tavolo due alternative: quella della preferenza per un'autorevolezza frazionaria o quella della preferenza sulla base dell'autorità, che è un concetto, come ipotizzato sopra, più basato sulla quantità, sulla forza bruta, che sull'adesione spontanea e convinta. Non che la raccolta del consenso attraverso il voto sia una pratica in alcun modo illecita. Infatti, qui non si discute sulla liceità o meno dei concetti che descrivono il significato dei due termini, ma su quale ne sia l'origine e a cosa facciano riferimento. 
Dunque, il consenso popolare che non si realizzi attraverso un convincimento intellettuale e profondo dei messaggi trasmessi dalla persona (per esempio dalla condivisione del programma, o dalla verifica dell'intima coerenza del soggetto) ma soprattutto sull'appoggio incondizionato dell'entourage e sull'adesione popolare per antagonismo alla parte politica avversa o per i significati esteriori o che si basa comunque sulla popolarità, che in questo caso riterremmo simile all'autorità perchè basata sulla forza dei numeri, dunque questo consenso è più facilmente attribuibile all'autorità che all'autorevolezza.
Cerco di spiegare un passaggio intermedio. Quando una personalità influente o considerata autorevole si esprime favorevolmente nei confronti di un'altra persona, egli le trasferisce, in questo suo giudizio, ipso facto la sua autorevolezza? Non sempre. L'autorevolezza è meno basata sulle opinioni dell'autorità. Le opinioni sono un campo dell'espressione intellettuale piuttosto controverso, perchè facilmente soggetto a fallacia. Questo è facile osservarlo nell'ambito scientifico, nel quale più che le opinioni o le ipotesi contano i risultati e le prove, motivo per cui è invalso in questo settore dell'umana conoscenza l'abitudine di sottoporre all'esperimento e all'analisi statistica ogni affermazione, per distinguere ciò che è statisticamente possibile da ciò che è semplicemente casuale. Anche in altri campi del sapere si cerca di applicare quanto più possibile il metodo della riduzione dell'errore, in modo da sottrarre le proprie affermazione all'alea della casualità, ma vi si riesce con maggiore difficoltà e non quasi sempre. Per esempio, non potranno essere opinabili dei sondaggi pre-elettorali, se non nella misura in cui varia il campione, ma al momento del voto potrebbero risultare carta straccia. Più aderenti al vero gli exit poll, e cioè le dichiarazioni di voto nell'immediatezza dell'uscita dalla cabina elettorale, che pur prestandosi a una certa variabilità, pure non si sottraggono a una evidente aderenza alla realtà.

La differenza sostanziale tra questi due tratti sembra dunque risiedere nella diversa importanza attribuita ai vari aspetti di una personalità alla quale si demandano decisioni importanti. L'evidente presenza della necessità di convincere gli altri di qualcosa pone il problema di come realizzare nel modo migliore questo intento. Ma, come si convincono gli altri?

In linea generale è difficile poter decidere su qualcosa. Infatti, per esperienza comune, noi spesso ci comportiamo come si comportano gli altri. Oppure, sempre grazie all'influenza altrui, ci comportiamo in maniera opposta. Gli altri cioè, influenzano le nostre decisioni o per imitazione o per contrasto. E' sempre utile avere un punto di riferimento quando si deve scegliere. Pure, noi abbiamo bisogno di sentirci indipendenti nelle nostre scelte. Come si fa a conciliare l'esigenza dell'indipendenza di giudizio con l'appartenenza decisionale al gruppo? Un modo semplice per riuscirci è non accorgersene. Molti nemmeno si accorgono di star imitando il gruppo e vi aderiscono con la convinzione della piena indipendenza di giudizio. In questo caso, aiuta molto la contrapposizione con chi sta fuori dal proprio gruppo: è questo un modo fenomenale per attingere consenso. Ma, tanto per dare un nome alle cose e definire le situazioni, come lo chiameremmo: recupero di consenso autoritario o autorevole?
Gli altri si convincono meglio se si convincono da soli. Questa, che può sembrare una banalità, è secondo me un aspetto interessante dell'adesione per autorità. Noi tendiamo più spesso, in assenza di un nostro ruolo da capi, ad avvicinarci a chi detiene il potere piuttosto che ad allontanarcene. Questo si deve alla competizione tra pari. I cittadini, per dirla tutta, competono tra loro per il ruolo gerarchico in ogni situazione sociale: sul posto di lavoro, in famiglia, al bar, in un luogo pubblico, e così via. Conoscere qualcuno di importante, essere amico di, frequentare il tal tizio, sono tutte situazioni che aumentano il prestigio individuale e, di conseguenza, la gerarchia. 
La gente, nel caso dell'autorità, sceglie perchè crede che il mondo immaginario (relativo alla persona autoritaria) che si è costruito sia perfettamente reale e, come sappiamo, nel mondo reale noi prendiamo decisioni. Nel caso dell'autorevolezza, invece, noi non scegliamo ma siamo scelti. La ricostruzione concettuale che noi operiamo del pensiero altrui, sì da poterlo comprendere, ci permette di costruire il mondo che desideriamo: è un puro mondo immaginario nel quale le cose vanno come vogliamo, o come vuole l'autore del pensiero che accogliamo. Infatti, l'autorevolezza della persona ci permette la creazione di un mondo immaginario (il mondo come lo desideriamo) nel quale non ci è chiesto di decidere perchè è  esattamente (più o meno, chiaro) come lo vogliamo. Cosa ci spinge a decidere per la persona autorevole, allora? Anche quando siamo nel mondo immaginario noi siamo consapevoli di essere nel mondo reale, e questo accade sempre, non però il contrario. Essere all'interno di un mondo reale (e ricordando che anche il sogno è reale) può non farci accorgere della verità di questo mondo. L'introduzione del concetto di verità funziona un po' da guastafeste. Si può affermare che il mondo immaginario può essere giudicato vero in relazione al mondo reale, cioè a dire può essere valutato dal soggetto (che è sempre consapevole di essere nel mondo immaginario) paragonandolo ad un altro mondo, quello nel quale sta immaginando, e cioè il mondo reale. Ma per il mondo reale questo non è possibile: c'è un solo mondo reale alla volta e non può essere paragonato con niente altro o meglio, può essere paragonato con la nostra memoria: se qualcosa viola i principi che regolano la nostra comprensione del mondo reale, ce ne accorgiamo altrimenti  no. Ora, una nostra convinzione, mettiamo il conto sbagliata, è un mondo immaginario diventato reale. Come può accadere? Per un insieme di motivi ciò che noi desideriamo sentirci dire ci figuriamo di averlo sentito veramente: per esempio, un discorso di un politico dal palco, ci induce alla convinzione che farà certe cose che a noi interessano. Cosa abbiamo fatto noi? abbiamo ricostruito in un mondo immaginario quello che ci aspettiamo e che desideriamo. Però lì ha poco effetto sulle nostre scelte e sulle nostre sensazioni: abbiamo bisogno di rappresentare, in questo stesso mondo immaginario (torno a ripeterlo: secondo la mia definizione il mondo immaginario è interamente deciso dal soggetto, tutto avviene secondo i suoi desideri) un altro mondo, quello reale, che come nel mondo reale vero, si opponga alla nostra volontà, facendoci aumentare il desiderio di ciò che vogliamo. Ma perchè certuni agirebbero così? In realtà questo non avviene per una precisa volontà ma per l'insieme delle dinamiche che in noi, organismi pensanti, si svolgono tra le due coscienze (coscienza primaria e coscienza secondaria) ovvero: tra mondo reale e mondo immaginario.

Il mondo reale è la coscienza primaria, il mondo immaginario è la coscienza secondaria.
Non so se vi eravate fatti l'idea che il mondo reale e quello immaginario fossero sempre così ben separati nella nostra mente: ebbene, non è così. Per comprendere meglio sappiate che, con tutta probabilità, il mondo reale viene a noi attraverso la coscienza primaria (quella comune a tutti gli animali, per intenderci) mentre il mondo immaginario viene a noi attraverso la coscienza secondaria (quella che avremmo solo noi, forse). Durante l'arco della giornata, le due coscienze (in chi le ha entrambe) si uniscono, si intersecano, si sovrappongono, passano da una all'altra in modo continuo. Ritengo però che l'onere della comprensione del mondo reale spetti solamente alla coscienza primaria, a quell'insieme di sensazioni e conoscenze profonde che permettono felicità e infelicità, speranze e delusione, voglia di vivere o voglia di morire. E' solo grazie a questa coscienza che noi sappiamo di star vivendo una realtà. 
E allora, per riallacciarci al nostro discorso, quando qualcuno crede profondamente una cosa, fino a crearsene un mondo immaginario, fino a farsene una teoria di ciò che desidera, ma in maniera, diremo così, "dolorosa" (perchè appunto ne teme il non verificarsi) questo accade perchè l'uno (il mondo immaginario), frutto della sua coscienza secondaria si riversa nell'altro (il mondo reale), che è il risultato della sua coscienza primaria. Quando la coscienza primaria avverte un'incongruità tra quello che è rappresentato e quello che è abituata a sentire, come accade nei sogni, tende a "svegliare" il soggetto. Però può anche accadere che invece, per eliminare l'incongruità, trasporti nel suo sistema sia l'idea sia tutta la struttura che sorregge l'idea, quella cosa che, finchè rimane in un posto diverso, fa sembrare incoerenti certi eventi.
Un esempio: le parole dei politici, a causa della incoerenza tra quanto detto e quanto fatto, non sono credute da quasi nessuno, in tempi normali. Quando però si avvicinano i tempi delle scelte, il mondo reale (quello delle scelte appunto) ci chiama a sè: ci strappa dal nostro mondo immaginario in cui abbiamo ricostruito la realtà come vogliamo (cioè, la convinzione che i politici siano tutti uguali, moralmente reprensibili, è una costruzione immaginaria, che descrive un mondo immaginario che possiamo spacciare per reale senza soffrirne, in modo duplice, per il raggiro ai nostri danni e per l'esistenza di una realtà che non possiamo modificare) e ci chiede di decidere. Ecco che allora, a seconda del peso relativo che, in maniera latente, assegniamo a ogni concorrente, noi collassiamo in una scelta: destra, sinistra, centro o astensione. Gli stimoli che provengono dall'ambiente sono talmente tanti che quasi nessuno resiste al mondo immaginario, immaginato reale, che si è creato. Quando noi smettiamo di essere scettici e accordiamo un pizzico di fiducia più a uno che all'altro, questo avviene perchè la contingenza irrompe nella nostra costruzione immaginaria: invece di dissolverla, come capita a un sogno, noi accentuiamo le differenze, per riportare coerenza e ordine. Coerenza e ordine significa, per esempio, decidere per chi abbiamo già scelto in passato, o contro chi ci ha deluso e così via.
(continua...)



Nessun commento:

Posta un commento

Come si dice, i commenti sono benvenuti, possibilmente senza sproloqui e senza insultare nessuno e senza fare marketing. Puoi mettere un link, non a siti di spam o phishing, o pubblicitari, o cose simili, ma non deve essere un collegamento attivo, altrimenti il commento verrà rimosso. Grazie.

LinkWithin

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...