mercoledì 23 febbraio 2011

L'esportazione della democrazia e la tolleranza della verità

E' interessante, per lo studioso di neuroscienze e scienze psicologiche, la facilità con cui la contingenza, cioè il momento in cui avviene un fatto, faccia mutare le nostre convinzioni.
E questo, anche in perfetta buona fede.
Un esempio eclatante sono le dichiarazioni del ministro Frattini, che seguono a stretto giro quelle del premier (ricordate, "Non voglio disturbarlo"). Le riassume bene stop the censure, citando quanto affermato a distanza di pochi mesi dal Ministro degli Esteri, in due circostanze diverse ma simili: ieri dichiarava, dopo i fatti libici,

«L'Europa non deve esportare la democrazia. Noi vogliamo sostenere il processo democratico, ma non dobbiamo dire: questo è il nostro modello europeo, prendetelo. Non sarebbe rispettoso dell' indipendenza del popolo, della sua ownership»
mentre ad ottobre del 2010 dichiarava,
"Tra le opposizioni, ma anche in settori dell'opinione pubblica, però, si insiste a chiedere il ritiro immediato dei militari. Non sono troppi 34 soldati morti in Afghanistan?
«Chi chiede il ritiro immediato fa strumentalizzazioni politiche. La morte dei nostri ragazzi provoca giusta emozione e anima comprensibili reazioni emotive. Ma io dico che portare democrazia in Afghanistan significa dare sicurezza in Europa, tenendo lontano il terrorismo internazionale dalle nostre città».
C'è chi dice: la democrazia non si esporta con le armi, se si uccide in Afghanistan significa che la gente non vuole i militari dell'occidente. È vero?
«La democrazia si esporta con tutti i mezzi necessari. Le armi servono solo a difendersi e ad assicurare la vita quotidiana (…)»"

Ne hanno parlato un po' tutti e quindi non ribadirò l'incoerenza di queste dichiarazioni, perchè il tentativo è quello di comprendere, insieme a queste, altre incoerenze e cercare di spiegarle scientificamente, se possibile.

La difesa della vita.
Un'altra incoerenza che mi infastidisce è legata alla difesa appassionata, da parte dei cattolici, della vita fin dal suo primissimo apparire, cioè nell'embrione, adottata però spesso in maniera unilaterale. E su questa posizione sono intransigenti, anche quando si richiede da parte dei ricercatori, per esempio, che gli embrioni soprannumerari delle fecondazioni assistite, destinati alla distruzione,  vengano usati per la ricerca scientifica. Non solo, chiaramente, non vogliono che ciò accada, ma nemmeno che si utilizzi la pratica di preparare più di un ovocita fecondato per la fecondazione assistita, per non incorrere nel problema. Il punto di vista non è sbagliato, però bisognerebbe adottarlo con la stessa intensità nei confronti di tutte le vite.
Ora, di fronte a tante altre morti di individui già formati, come per esempio quelle nei carceri (e non solo per suicidio) o quelle dovute all'onda rivoluzionaria nel Maghreb, mi domando come mai non si levi altissima la voce dei cattolici che dovrebbero, loro difensori della vita al suo primissimo apparire, essere affranti da così tante vite spezzate.
E' una cosa che mi fa sempre pensare. Alcuni, in mala fede, lo definiscono con un neologismo, doppio pesismo, ad intendere che i principi ai quali facciamo mostra di volerci uniformare non valgono sempre, ma solo in determinate circostanze. 

Se la democrazia è un bene da esportare, per il bene del popolo stesso, allora lo è sempre. 
Se la vita è sacra fin dal suo primo apparire, allora lo è sempre.

Il risultato netto di queste posizioni è che si dovrebbero adottare in qualunque circostanza, pena la mancanza di credibilità. Questo avviene perchè noi siamo in grado di accettare che esistano leggi che ci obbligano a fare cose sgradite solo perchè obbligano, allo stesso modo, tutti quanti. Il principio dell'uguaglianza di fronte alla legge è lo stesso del mantenimento della coerenza dei comportamenti: sei credibile se adotti sempre lo stesso atteggiamento, indipendentemente da chi ti trovi di fronte. Questo, almeno, secondo la legge. Secondo un'altra legge, quella che definiremo tribale, chi ti trovi di fronte vale, eccome se vale.

E' la stessa differenza di comportamenti che adottiamo, nel nostro piccolo, anche noi. Per esempio, quando tolleriamo certe cose dagli amici ma non dagli estranei, oppure quando tolleriamo certe cose da certi estranei, che non tollereremmo nemmeno dagli amici, solo per un motivo secondario.

Per la legge siamo tutti estranei.
L'amicizia probabilmente si è sviluppata come comportamento adattativo. Unirsi in gruppo rappresenta una strategia vincente contro i competitori. Per questo ,all'interno del gruppo, le difese sono abbassate e si tollerano comportamenti altrimenti intollerabili. Questo tollerare cose non tollerabili da chi si trova  al di fuori del gruppo è proprio una delle cose che uniscono.
Ma non sarebbe un buon metodo per giudicare in modo imparziale, perchè avremmo sempre un occhio di riguardo verso chi conosciamo. Però il numero di individui che possiamo gestire in un singolo raggruppamento è limitato. Per questo motivo l'allargamento fenomenale dei gruppi umani, confluiti in nazioni, impedisce che si sia tutti amici e obbliga a fornirsi di strumenti che non tengano conto delle influenze dei singoli sottogruppi.
La creazione di meccanismi come i partiti politici serve  in parte a questo, a far sì che all'interno di un partito i comportamenti incoerenti non siano oggetto di critiche feroci, facendo leva sul far parte dello stesso gruppo.

E' per questo motivo che, quando si verificano questi comportamenti incoerenti,  c'è una parte di individui che non rileva nessuna incoerenza mentre altri la individuano subito.

E' possibile essere sempre coerenti?
Questa è una bella domanda. E' possibile essere sempre coerenti? In realtà, chi volesse farlo, si presterebbe forse ad isolarsi da tutti. Per i motivi che suggerivo sopra (il fatto che tolleriamo certi comportamenti quando provengono da amici, partner, parenti) lo stabilire delle relazioni amichevoli implica giocoforza il tenere un atteggiamento diverso, rispetto a un evento simile, tra l'amico e l'estraneo.
Per esempio, quando il Ministro rimarcava l'aspetto umanitario dell'esportazione della democrazia in Afghanistan, adottava un atteggiamento sul quale influiva l'amicizia con gli Stati Uniti  i quali, ovviamente, avendo iniziato la guerra con quel paese per motivi che non ci interessa approfondire in questo momento, si aspettavano un sostegno da chiunque si dichiarasse loro amico. Con la Libia accadeva lo stesso, ma sul fronte opposto: in questo caso era la Libia l'amico da accontentare, perciò l'assunto precedente -che la democrazia sia esportabile- poteva essere sacrificato.
Infatti.
Chi di noi tollererebbe un amico che ci dicesse sempre la verità?
Attenzione: la verità non è sempre la cosa migliore, per ognuno di noi. Chi tollererebbe un amico che opinasse ogni nostra scelta estetica, da quella del vestiario al colore dell'auto? Mentre è comprensibile e tollerabile l'amico che con una verità critica ti aiuta, magari correggendo delle tue abitudini alimentari sbagliate, oppure degli investimenti azzardati, perchè sta violando il codice del gruppo solo per portarti un beneficio superiore, non è tollerabile chi viola il patto non scritto dell'amicizia,  trattandoti in maniera aggressiva senza ulteriori benefici.
Anzi, l'amico è proprio quello che alcune verità non te le dice, se il non dirtele non ti mette in pericolo, o ti ci lascia, in pericolo, proprio perchè all'interno dell'amicizia bisogna essere più tolleranti. E qui mi viene in mente il comportamento materno nei confronti della prole, e la tolleranza necessaria.

Ma, la coerenza è un freno allo sviluppo economico?
In più, sempre in queste circostanze, c'è chi dice: lo volete il petrolio per le vostre macchine? lo volete il metano per riscaldare le vostre case? Non le potremmo avere senza separare i due aspetti e quindi senza mostrare una certa qual incoerenza. Questo tema ne richiama un altro: è possibile lo sviluppo economico senza qualcuno da sfruttare?
Questi due temi cercherò di affrontare nei prossimi articoli. Per ora, vi lascio con quest'ultima domanda: siamo credibili quando diciamo -rinuncerei  al benessere in nome dei diritti umani universali- dato che, in realtà, non ci viene quasi mai chiesto di rinunciarvi davvero?

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