venerdì 9 dicembre 2011

Il Vaticano e l'Ici: dov'è finita la spiritualità della chiesa?

La discussione riguardo al pagamento dell'Ici da parte del Vaticano è particolarmente accesa in momenti come questo. Non esiste una stima del patrimonio immobiliare della chiesa ma dev'essere consistente, se è vero quello che riporta Repubblica, che ogni anno la chiesa, solo a Roma, riceve 10mila testamenti a favore.
Il Gruppo Re, che gestisce l'impero immobiliare ecclesiastico, afferma che circa il 20% del patrimonio immobiliare italiano fa capo al Vaticano. In particolare [fonte Repubblica] la chiesa possiederebbe

  • 115 mila edifici
  • 9 mila scuole
  • 4 mila ospedali e cliniche
Solo a Roma vi sono
  • 23 mila terreni e fabbricati
  • 20 case di riposo
  • 18 istituti di ricovero
  • 6 ospizi
  • 214 case per ferie
  • turismo religioso: 10 mila posti letto e 700 milioni di fatturato
Ora, a parte le stime dell'ammontare di questo patrimonio, a parte il fatto che pagherebbero solo gli immobili affittati ad attività commerciali, a parte le leggi, la prima voluta da Berlusconi nel 2005 che rendeva esenti dall'Ici tutti gli enti no-profit, a parte l'intervento  successivo di Prodi, che modificava la legge facendo godere l'esenzione solo a quegli immobili "che non hanno esclusivamente natura commerciale", generando però l'ambiguità interpretativa legata a "esclusivamente" dico, a parte tutto questo, che fa parte della normale trattativa tra opposti interessi, come è possibile che la chiesa, che è un organismo non solo commerciale, non solo economico, ma votato anche all'educazione e alla cura dell'anima, la chiesa che si definisce la rappresentante di Dio in terra, scenda a questo teatrino da mercato e non senta alto l'impegno, stante le premesse, di agire sempre e comunque in maniera limpida ed improntata a verità.
Come è possibile che agiscano in tutto e per tutto come semplicissimi contribuenti, spogliandosi improvvisamente del loro alto ruolo spirituale per assumere un ben più pesante  ruolo terreno, com'è possibile che non sentano fortissima l'esigenza di contribuire, come dicono di fare e fanno nelle loro attività caritatevoli, a quei sacrifici che quasi tutti i cittadini sono chiamati a compiere? Com'è possibile che il bilancio complessivo delle loro attività non sia pubblico e palese, chiaro come acqua limpida, ma sia torbido e nascosto come quello di un'attività al limite del lecito? Dicano chiaramente l'entità del loro patrimonio, quali attività sono lucrative e quali caritatevoli, siano limpidi e cristallini e paghino come tutti gli altri non nascondendosi nello spirituale, altrimenti l'ombra della prevalenza dell'interesse economico su quello spirituale rimarrà come una macchia indelebile giustificando tutti quelli che non hanno un'alta opinione della chiesa e la considerano una vera e propria industria della beneficenza, però non  no-profit perchè i profit ci sono, eccome se ci sono.

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