Che avremmo fatto, noi, nella stessa situazione? Il gestore di un distributore nel bergamasco, alla chiusura, dimentica di inserire l'erogazione in self service, e una sessantina circa di automobilisti ne approfitta per riempire serbatoi e taniche di carburante. A quello che riporta il Corriere si parla di 10.000 euro di benzina e diesel sottratti illecitamente al benzinaio, il quale ha subito sporto denuncia. Vi è anche da dire che le telecamere di sorveglianza hanno ripreso gli illeciti pieni di carburante e che adesso costoro rischiano un'imputazione di furto.
Interessante anche l'aspetto sociale della vicenda con quello che viene definito il tam tam, cioè la diffusione (tribale) presso parenti e amici della succulenta notizia della possibilità di fare benzina gratis. Si parla, come detto, di una sessantina di persone [Repubblica, Corriere].
Non è solo l'elevato costo dei carburanti, ovviamente, a scatenare l'assalto al povero gestore smemorato, ma la possibilità, a questo punto probabilmente connaturata alla nostra indole, di ottenere un pasto gratuito. Non si può immaginare neanche per un momento che non sia passato per la mente di questi signori il dubbio di commettere un illecito, ma forse non è completamente così.
Siamo talmente abituati a chiudere a chiave, incatenare, recintare, mettere password, telecamere di controllo e cartelli di segnalazione che quando non troviamo nessuna di queste cose la sensazione di star commettendo un reato si attenua.
Paradossalmente, se uno mettesse un cartello con l'avviso: se dimentico di inserire il self service è tassativamente proibito rubarmi la benzina, allora, forse, qualche scrupolo maggiore la gente potrebbe farselo. Così no. Così è come trovare un portafoglio per terra: lo si associa a un evento fortuito, ci si tengono i soldi e si spediscono i documenti al proprietario. E con questo la coscienza è sistemata.
Non che anticamente le persone fossero migliori. La possibilità del pasto gratis, come detto, è incastonata nella nostra natura e in quella di ogni animale anche se, probabilmente, gli animali non sono dotati di quella cosa che chiamiamo libero arbitrio, facoltà che dovrebbe permettere di controllare gli istinti più bassi.
E allora è lecito chiedersi fin dove potrebbero arrivare gli onesti cittadini di una qualsiasi città italiana, e se il presunto o reale senso morale sia una cosa così universalmente diffusa e così effettiva come pensano molti studiosi [Wilson 1995, Hauser 2007, Haidt 2007]. O non è forse vero che il senso morale è presente quando siamo in grado di empatizzare con l'altro? E che in assenza di questa condizione, come è accaduto agli allegri rifornitori di carburante, non solo non ci si fa nessuno scrupolo (il pesante danno economico al gestore del distributore) ma si diffonde empaticamente la notizia cuccagna?
Infatti, si potrebbe addirittura stravolgere la sequenza normale affermando che gli illeciti rifornitori si sono comportati in modo altruista e generoso non tenendo per sè la notizia del rifornimento a sbafo ma diffondendola all'interno di quel più famoso cerchio magico empatico. Come chiamarlo un simile comportamento?
Non è forse individuabile, in nuce, l'essenza primitiva del comportamento empatico, che è primariamente rivolto verso chi presenta una maggiore affinità genetica (i parenti)? E non è forse il libero arbitrio ad aver esteso questa iniziale empatia familiare alle varie altre cerchie, quella cittadina, quella nazionale e quella universale?
Una conseguenza di queste considerazioni potrebbe essere che il senso morale è una forma di difesa del nucleo familiare o clan che non ha niente a che fare con l'universalismo altruista bensì con un più personale utilitarismo e che invece l'intervento, innaturale, del libero arbitrio, lo ha dotato del carattere universale che gli riconosciamo, estendendolo a tutta la specie umana (e per alcuni anche oltre).
Bibliografia.
J.Q. Wilson, Il senso morale, Ed. di Comunità 1995
J. Haidt, The new synthesis in moral psychology, Science, 316, 2007
M.D. Hauser, Menti morali. Le origini naturali del bene e del male, Il Saggiatore 2007
M. Santerini, Educazione morale e neuroscienze, Ed. La Scuola 2011
imagecredit phillyburbs.com
Ricordo una bellissima conferenza di vent'anni fa (o più) di Rodolfo Venditti, avvocato, musicologo, nonviolento. Si dilungò sul concetto di "affidato alla pubblica fede". Se lascio la macchina aperta, con le chiavi inserite, la sto affidando alla collettività, della quale mi fido. Chi me la ruba commette due reati: il furto e la lesione della fiducia verso la collettività che è un valore essenziale perché una comunità possa dirsi tale.
RispondiEliminaCondivido questa analisi e rilevo un fatto: che spesso accade che chi rifiuta di approfittare della situazione viene in contrasto con la sua comunità di riferimento e ne viene parzialmente allontanato. La preminenza della comunità globale su quella locale forse è in grado di estendere i benefici di quella che tu chiami pubblica fede, perchè l'obbligo di attuarla si estende nei confronti di tutti e non solo verso il clan.
Elimina