Durante la mia gioventù Pietro Mennea era un mito. Con la sua voglia di correre e il suo record del mondo sui 200 metri piani di 19"72 a Città del Messico, in quel lontano 1979, rappresentava la risposta italiana ai grandi velocisti stranieri e la speranza per un qualsiasi anonimo giovane della provincia di poter riuscire. Il suo record del mondo resisté fino ai Giochi Olimpici del 1996, quando Michael Johnson lo ritoccò con 19"32. La freccia del sud lo chiamavano, e il suo fu un successo costruito sulla volontà e la determinazione costante, sia dentro che fuori delle piste, di chi poteva mettere non soldi o un fisico possente ma solo l'impegno. Fu grazie a questa costanza e all'orgoglio che riuscì a superare gli ostacoli e raggiungere i suoi obiettivi: dove non arrivava il fisico arrivava la sua forza di volontà. Queste stesse caratteristiche però non gli furono di aiuto, una volta terminata l'attività agonistica, nel far carriera all'interno del mondo sportivo, sia per i suoi attacchi a federazione e Coni, sia per il suo carattere orgoglioso.
La sua capacità di accelerazione lo faceva un candidato ideale per i 200 metri più che per i 100, specialità dove pure ottenne buoni risultati: un bronzo alle Universiadi del 1973 con 10"48, un argento agli Europeo di Roma del 1974 con 10"34 e quattro ori nel 1974-75-78-79, con miglior tempo a 10"24.
Ma le soddisfazioni maggiori vennero dai 200 metri piani: 8 ori, di cui uno ai Giochi Olimpici del 1980 a Mosca con 20"19 e il record del mondo già ricordato, ora record europeo.
Pietro Mennea nacque il 28 giugno del 1952 a Barletta e, oltre che dedicarsi con enorme profitto allo sport, si dedicò anche alla politica, diventando europarlamentare, e allo studio, ottenendo diverse lauree: in scienze politiche, in giurisprudenza, in scienze motorie e in lettere. Esercitò anche la professione di avvocato.
Ecco il suo record del mondo (primi due filmati) e la sua vittoria dell'oro ai Giochi Olimpici di Mosca 1980.
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