Dice Grillo in questo post che alcuni (leggi politici) diffondono la tesi che l'origine del debito pubblico monstre che si ritrova l'Italia sia dovuto alla troppa generosità dei governi che, con estremo buon cuore, avrebbero dato agli italiani "Troppa scuola, troppa assistenza sanitaria, troppo welfare". Poi, per spiegare che questa diceria forse non risponde al vero, porta qualche esempio di vero spreco di denaro pubblico -altroché troppo stato sociale- alcuni dei tanti che si potrebbero trovare, come gli F-35 e l'aggiornamento della portaerei Cavour, a formare un legame indissolubile; la TAV; un tunnel a Milano di poco meno di un chilometro, che avrebbe dovuto collegare autostrada e Fiera, ma che adesso è inutile e nemmeno terminato (sia detto per inciso, al costo riportato da Grillo di 200 milioni). A questi esempi potremmo aggiungerne altri, legati al proliferare di cariche elettive, posti pubblici, enti, progetti faraonici di ponti, costi quasi doppi rispetto agli altri paesi di tratte ferroviarie e stradali, finanziamenti di partiti e giornali, e via dicendo. Allora viene spontaneo porsi nuovamente la domanda dell'inizio: di chi è la colpa di questo enorme debito pubblico accumulato dall'Italia?
Leggendo il parere di qualche studioso della materia trovo interessanti ipotesi. Per esempio, Mauro Giusti, insegnante di diritto all'Università di Pisa, nota come il debito pubblico sia nato proprio con il Regno d'Italia, nel 1861, con il 36% del Pil e di come, nel giro di 10 anni, sia arrivato fino all'80%. Con altalenanti andamenti si arriva ai primi anni '60 in cui, grazie al boom economico, il debito ritorna al 30% del Pil, salvo poi balzare al 100% del prodotto interno lordo nel volgere di poco meno di trent'anni: dal 30 al 60% del Pil dal 1963 al 1980 e dal 60 al 100% dal 1980 al 1990. Anni in cui, per dire, anche il welfare contribuiva all'aumento del disavanzo, anche se viene da chiedersi che tipo di welfare fosse quello che permetteva di andare in pensione con 10-15 anni di lavoro. Ma fu l'insieme di arresto della crescita e il mantenersi di una politica di deficit spending, in grado di assicurare un forte ritorno elettorale bipartisan, a generare la deriva del debito. Era un modo come un altro della classe dirigente di garantirsi il consenso politico, ma in maniera irresponsabile, appunto perchè non figlio della necessità di assicurare a tutti una vita dignitosa ma solo per accalappiarsi il suo voto:
La politica di deficit spending, che assicura un consenso politico bipartisan, giunse a finanziare in disavanzo tutte le spese per investimenti, per intero. [...] In assenza, fino al 1978, di qualsiasi limite giuridico all’ indebitamento dello Stato, l’abbandono di ogni vincolo di bilancio e il mantenimento di un alto grado di sicurezza sociale, rinviando il problema al momento (lontano) di restituzione del debito, impedirono di percepire la necessità di un aggiustamento dei conti pubblici, che fu iniziato solo nel 1992, dieci anni dopo che altri paesi europei, grazie all’adozione dei criteri del Trattato di Maastricht.
Anche Giorgio Arfaras, direttore di Lettera economica, su Linkiesta punta l'indice sull'esplosione della spesa per lo Stato sociale notando, però, che si è verificata in quasi tutti i paesi europei, con la parziale eccezione degli Stati Uniti. Quello che però è avvenuto negli altri paesi, ma non in Italia, è che a questa esplosione della spesa per lo Stato sociale si accompagnassero, comunque, maggiori entrate, al netto degli interessi. Perchè al netto degli interessi? Perchè
l’Italia ha speso più di quanto incassasse per troppo tempo, e si trova oggi ad avere un gran debito pubblico. Fino a quando ha speso più di quanto incassasse? Fino a prima dell’ultimo governo Andreotti. Il conto è fatto guardando la spesa pubblica meno le entrate prima del pagamento degli interessi (il saldo primario). Intorno al 1990 il bilancio dello Stato va in pareggio prima del pagamento degli interessi. In altre parole, non genera un nuovo deficit prima di pagare gli interessi sul cumulato dei deficit prodotti nel corso della storia (il debito).
Antonio Pedone, insegnante di scienza delle finanze alla Sapienza, fa però alcune interessanti osservazioni. E' vero che negli anni del boom economico il rapporto debito/Pil fu tenuto sotto controllo, anche se non come quello di gran parte degli altri paesi europei, ma questo non avvenne per consapevolezza dei governanti quanto piuttosto per alcune "circostanze favorevoli":
Così, nel trentennio post‐bellico, l’Italia riesce a mantenere un livello del rapporto debito/Pilche è eccezionalmente basso nella sua storia. Esso è però notevolmente più alto di quello di tutti gli altri maggiori paesi europei (eccetto il Regno Unito) e del Giappone nello stesso periodo (tab.3). E ciò che è più importante, sembra essere il risultato di una serie di circostanze favorevoli piuttosto che di una deliberata rigorosa politica di bilancio. Alcune di queste circostanze favorevoli, nell’aspettativa che potessero perpetuarsi, hanno probabilmente indotto ad abbassare la guardia nella tutela degli equilibri di bilancio futuri, ponendo le premesse del successivo incontrollato aumento del debito pubblico.
L'illusoria percezione che il contenimento del debito potesse basarsi solo su una "gestione amministrativa", che fosse possibile ottenere finanziamenti a ritmo costante, che la crescita economica fosse ininterrotta e che, insomma, il paese della cuccagna del debito non dovesse finire mai. Sembra un atteggiamento da irresponsabili più che da attenti ricercatori del benessere dei cittadini:
Ci si è così abituati a una comoda gestione del debito pubblico di tipo amministrativo e non di mercato, e ci si è convinti che la struttura per scadenze non fosse un problema e non esistessero rischi connessi ai rinnovi, in quanto era sempre possibile ottenere finanziamenti e collocare titoli presso la Banca Centrale e ilsistema bancario e finanziario. Le origini dell’esplosione del debito degli anni Ottanta e Novanta sono in larga parte in questa convinzione illusoria, formatasi negli anni di basso livello del rapporto debito/Pil, che la rapida crescita economica potesse continuare a lungo e che fosse possibile finanziarsi con debito pubblico a breve termine, a basso costo e a basso rischio di rinnovo.
C'è, insomma, qualcosa di vero e qualcosa di falso in queste voci che girano. C'è di vero che la spesa per welfare -ma non solo- è cresciuta notevolmente nei trent'anni dopo la fine della guerra, ma che questo è avvenuto soprattutto per la ricerca del consenso politico e l'errato giudizio che la crescita economica sarebbe durata per sempre, insieme all'infinito ricorso a finanziamenti e debito. Come si può però accusare quello stesso beneficiario del welfare di aver originato il debito pubblico italiano quando era certamente sua facoltà l'accettare ogni regalo (si pensi, per esempio, alla facilità di andare in pensione o di ricevere una pensione di invalidità) ma non era certamente nelle sue possibilità di obbligare i governanti a farglieli o non farglieli, questi regali (si pensi al successo presso l'opinione pubblica delle riforme del lavoro, del welfare e all'introduzione di imposte abolite e alla capacità dei cittadini di impedirle)?
La classe politica, in una delle conclusioni più benevole, non fa niente per niente. In genere, non intende il suo mandato come un periodo limitato durante il quale dare il meglio della propria capacità professionale bensì come una parentesi illimitata fra un'elezione e un'altra durante la quale accalappiarsi il massimo dei consensi. Che in mezzo a questo ci fossero un aumento della spesa pubblica in Stato sociale faceva solo parte delle strategie avanzate messe in atto, non già di un'estesa sensibilità ai bisogni della popolazione.
Fino a d arrivare ad oggi in cui, come lo si è fatto con lo sguardo retrospettivo al passato, viene da chiedersi: ma questi sanno cosa stanno facendo oppure, ancora una volta, siamo vittime delle circostanze di turno?image credit en.wikipedia.org
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