Il 23 luglio del 2012 il Ministro degli esteri siriano dichiarava che la Siria possedeva delle scorte di armi chimiche da usarsi solo in caso di aggressione [vedi più avanti riferimento SIPRI]. Nonostante il tentativo di recuperare a questa incauta dichiarazione già il giorno seguente, le affermazioni lasciavano un senso di inquietudine e preoccupazione nella comunità internazionale, alimentato dalla difesa d'ufficio russa, grande fornitore di armamenti della Siria.
In questa immagine tratta da Wikipedia si possono osservare quali altri paesi (in azzurro) siano in possesso di depositi di armi chimiche, mentre in blu sono segnati quelli che fanno parte della Chemical Weapons Convention.
We certainly consider the use of chemical weapon inadmissible. Syria acceded to the Geneva Protocol of 1925 which prohibits the use in war of asphyxiating, poisonous or other gases, and thus, as we consider, it assumed certain obligations to reject such methods of warfare. We consider that Syria has to fulfil its obligations both under the Geneva Protocol of 1925 and the [1993 Chemical Weapons Convention]. On our part, we carried out the respective insistent work with the leaders of Syria to make them ensure reliable protection of the chemical weapon storage sites, and Damascus firmly assured us of absolute safety of these arsenals.8
Insomma, un cumulo di belle parole e frasi di circostanza che cozzano con le recenti accuse rivolte a Damasco di far uso di armi chimiche. Anche se la vicenda è al vaglio di organismi internazionali, deputati a rilevare l'utilizzo di queste armi, la facilità con la quale i siriani hanno acconsentito all'ingresso degli ispettori ONU lascia immaginare che anche in presenza di prove dell'utilizzo di armi chimiche sarà difficile dimostrare chi le ha usate. Tutto questo non considerando, ovviamente, che è più facile che vengano usate da chi probabilmente le possiede, cioè la Siria, più che da chi probabilmente non le possiede, cioè gli oppositori del regime.
Un estratto del rapporto del SIPRI su Programmi su armi chimiche e biologiche contenuto all'interno del SIPRI Yearbook 2013, riporta notizie sulla Siria, alcune delle quali accennate sopra e altre del tenore esposto di seguito, fornite da militari che hanno disertato dall'esercito siriano e che sembrano una conferma indiretta del possesso di armi chimiche da parte del regime di Assad:
General Adnan Silou, a defector from the Syrian Government side, reportedly stated that the rebel forces were forming a special unit to secure chemical weapon sites. Silou oversaw the 2008 creation of emergency plans to help ensure that dangerous weapons remain under government control. He supervised the training of thousands of military personnel in the Damascus and Latakia areas to ‘secure what analysts believe are the largest chemical weapons stores in the world, consisting principally of sarin, mustard gas and cyanide’. He stated that there are two principal chemical weapon stockpiles: warehouse 417 in eastern Damascus and warehouse 419 in the Homs area.
Come tutte le affermazioni di parte vanno prese con le molle perchè potrebbero far parte della propaganda anti-governativa ma, nonostante tutto, non dovrebbe essere difficile verificare la veridicità di queste affermazioni con quanto già si conosce. Il generale Silou dice anche che ritiene che il governo siriano abbia già utilizzato dei pesticidi sulle aree più vicine ai ribelli. Diverse e ripetute sono state, nell'arco del 2012, le dichiarazioni di preoccupazione di Obama, del segretario della Nato Rasmussen e di Israele. Un rapporto dell'ONU sulla Corea del Nord ha stabilito che nel 2009 sono partite da quel paese dirette in Siria due navi con dispositivi di protezione chimica, indumenti protettivi e rilevatori di gas che, nel 2012, il governo siriano affermava essere utilizzati in agricoltura e nei laboratori. Dall'altra parte, anche Siria e Iran hanno accusato le forze ribelli di far uso di armi chimiche.
Non facile sembra il compito della comunità internazionale in questo frangente, soprattutto se si considera che molti ritengono che le preoccupazioni degli Stati Uniti non siano disinteressate, anche se è lecito chiedersi se sia comunque accettabile un interesse di parte che porta a limitare l'uso di armi di distruzione piuttosto che lasciare andare le cose senza intervenire affatto. C'è da considerare che la scusa delle armi di distruzione di massa si è già dimostrata infondata nei confronti dell'Iraq, anche se questo precedente sembra notevolmente diverso dall'attuale. Dall'altra parte ci sono paesi come la Russia che difendono la Siria grazie ad altri interessi di parte, il che non sembra proprio più commendevole del voler impedire a quel paese l'eventuale utilizzo di armi chimiche. Insomma, quando vi sono interessi contrastanti che vedono coinvolte grandi potenze, pur essendo uno dei due interessi certamente più legittimo, ci si trova spesso in una situazione di stallo.
La cosa grave è che, pur non potendo impedire a volte l'utilizzo di armi chimiche da parte di Stati non troppo democratici, siamo anche ben lontani dal poter impedire ai paesi produttori, alcuni dei quali all'interno di organismi internazionali, di vendergliele.
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