lunedì 3 febbraio 2014

Come si è arrivati alla cifra di 7,5 miliardi nella rivalutazione della Banca d'Italia

Ha fatto molto discutere recentemente  la conversione in legge del cosiddetto decreto IMU-Bankitalia (decreto legge 30 novembre 2013, n. 133), con lo strascico di conseguenze legate all'applicazione della ghigliottina da parte della Presidente della Camera. Anche su giornali e blog è andata avanti e va tuttora avanti la discussione su chi ha pagato questa rivalutazione della Banca d'Italia e, in tono minore, su come si è giunti alla cifra di 7,5 miliardi di euro.
Il 12 dicembre 2013 il Governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco, in audizione alla Commissione Finanze e Tesoro del Senato, spiegava i criteri della rivalutazione della Banca d'Italia che hanno portato a questa cifra   e dove sono stati presi questi soldi. Lo condivido qui sotto. 



Riassumo in breve quanto dichiarato dal governatore Visco: il valore delle quote della Banca, detenute da una serie di istituti elencati in appendice al documento condiviso, è stato rivalutato utilizzando il Dividend Discount Model, che serve per stabilire l'ammontare attuale dei dividendi futuri della Banca che, ricordo, sono fissati al 4% e quindi pervenire a questo  valore delle quote. Si precisa che, normalmente, i vari soci privati della Banca percepiscono un dividendo di molto inferiore a quello massimo del 4%, per esempio nel 2013 hanno percepito 74 milioni, e che le somme non utilizzate come dividendi alle banche sono stati accantonati in quella che viene chiamata riserva statutaria, pari a circa 15 miliardi secondo il governatore, dalla quale si sono prelevati i soldi. Nel documento allegato viene spiegato che gli esperti ai quali è stato affidato questo calcolo hanno stabilito una stima delle quote della Banca d'Italia compresa tra 5 e 7,5 miliardi e che, incrociando il dato utilizzando il parametro della valutazione di 6-7 miliardi e di un dividendo al 6% (ma perchè non se ne è utilizzato uno più basso?) le cifre di dividendo annuale alle quali si perveniva erano rispettivamente 360 e 420 milioni, pari a un intervallo di capitale tra 6,3 e 7,3 miliardi. L'ultima cifra è stata utilizzata come valutazione delle quote di capitale della Banca d'Italia:
Al fine di verificare la congruità del valore riconosciuto ai partecipanti, si è preso pertanto a riferimento il valore dei dividendi supplementari che, in base all’attuale disciplina statutaria, avrebbero potuto essere trasferiti ai partecipanti nel corso degli anni e che invece sono stati accantonati tra le riserve della Banca d’Italia. Applicando un tale approccio si ottiene un valore, di poco superiore ai 7 miliardi di euro, non discosto dal margine superiore dell’intervallo individuato con il metodo finanziario.
Ma perchè si è scelto il valore superiore e non quello inferiore e, soprattutto, di chi sono queste riserve statutarie costituite con i dividendi non assegnati ai soci privati della Banca?  Non è chiaro anche se molti dicono (vedi sotto) che appartengono allo Stato. Quello che per ora è certo è che le banche che possiedono quote della Banca d'Italia hanno incassato un discreto gruzzolo, un'improvvisa manna dal cielo naturalmente, per loro, benvenuta. Qui una ricostruzione di quanto hanno realizzato i vari soci privati vendendo l'eccesso di quote alla Banca d'Italia, per esempio Intesa 1,9 miliardi e Unicredit 1,2 e qui un'altra voce critica, insieme a tante altre, di tre economisti di Noise from Amerika, sull'intera operazione, definita come la solita porcata.




 

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