Mi fa molto piacere segnalarvi questo lavoro di Gaetano Barbella, presentato da Annarita sul suo blog. Il titolo è Egittologia: La Croce d'Iside, Password di Una macchina della Vita.
Nel percorso di Gaetano, autore di molti altri notevolissimi saggi che vorrò sottoporre alla vostra attenzione in seguito, è presente un istinto fondamentale: scoprire i nessi geometrici e matematici nel lavoro dell'uomo, anche al di là della consapevolezza, di volta in volta, del suo autore. E' una specie di ricerca degli assoluti geometrici presenti direi "forzatamente" nei prodotti della mente, nella cultura degli antichi come dei moderni, come, per esempio con i frattali, si sta facendo e si è fatto con i prodotti stessi della Natura. La Natura che obbedisce alla matematica, dunque? e, a maggior ragione, il lavoro dell'uomo? Il contrario, piuttosto: e cioè, la matematica che meglio di altri linguaggi è capace di tradurre il linguaggio della Natura, anche quello presente nei nostri artefatti.
In questo saggio, segnatamente, Gaetano muove da un percorso che parte dall'antico Egitto, esamina la geometria delle tombe dei Faraoni, fino a trovare la presenza di un meccanismo simile all'effetto piezoelettrico, scomoda la leminscata di Bernoulli e il reciproco della sezione aurea, la sezione argentea, e infine, mercè lo Sphere Packing (disposizione ottimizzata di sfere non sovrapposte nello spazio n-dimensionale), instaura una relazione con i geroglifici e la Croce d'Iside o Ankh utilizzando i lavori di Enrico Cornelio Agrippa.
La preparazione matematica di Gaetano e soprattutto quella geometrica è notevole, unita alla capacità di tradurre in relazioni geometriche disegni e strutture "finiti", di stabilirne una sorta di linee di costruzione che scavano l'apparenza per mostrare le relazioni geometriche sottostanti. La mente che guidava quelle mani che dipingevano e costruivano già conosceva, seppure inconsapevolmente forse, le proporzioni delle figure, le relazioni tra le lunghezze a riprova che bellezza e funzione camminano sovente appaiate. E molto spesso i risultati sono sorprendenti e straordinari.
Ciao Paolo,
RispondiEliminai lavori di Gaetano sono per me come un viaggio d' avventura,non riesco a comprenderli compiutamente perchè non ne ho la capacità, non ho le competenze, tuttavia ne comprendo la portata innovativa ed esplorativa. Ne sono talmente presa che mi hanno resa indifferente alle letture e allo studio delle opere d' arte che non mi appassionano più come prima. Chi legge i saggi di Gaetano non può più farne a meno, anche chi come me non ha studi adeguati.
I suoi saggi sono come le opere d' arte ti entrano dentro e poi stanno lì e lavorano, lavorano e lavorano.
Ora vado a vederlo subito .
Buona domenica.
Bravo Paopasc, molto bella questa presentazione, davvero degna del nostro Gaetano!
RispondiEliminaMi fa piacere che anche tu abbia pubblicato questo meritevole lavoro del nostro amico e abbia sottolineato così bene il suo "geometra pensiero", che è veramente sorprendente! E te lo dice una matematica,benchè modesta!
Sono certa che anche i tuoi lettori sapranno valutare quest'aspetto ed apprezzare la bravura e la genialità di questo straordinario autore.
Ancora complimenti a Gaetano e a te.
Grazie di cuore.
Ciao e buona domenica.
maria I.
Interessante guazzabuglio numerologico-geometrico-fantarcheologico-pseudoscientifico. Giacobbo ne andrebbe matto!
RispondiEliminagimnoto, e chi pensi sarebbe felice delle sentenze sparate a casaccio? Sei in grado di contrastare nel merito le conclusioni di
RispondiEliminaGaetano? Riesci a comprenderle? Se non è presente nessuna delle due condizioni la tua è una di quelle opinioni che gli pseudo
seguaci delle scienze esatte esprimono quando pensano di intravedere elementi giudicati etorodossi dalla vulgata. Mi piace giudicare
delle cose che comprendo, non di quelle che "comprendono" gli altri o almeno, nel secondo caso, cito le fonti.
Bravo, Pa! Sottoscrivo ogni punto e virgola del tuo commento...
RispondiEliminaPreciso che i lavori di Gaetano sono molto apprezzati anche da valenti accademici che di contenuti matematici e scientifici ne conoscono di sicuro.
E' antipatico ricordarlo, ma qui Maria
insegna matematica alle superiori e io insegno matematica e scienze nelle medie, essendo laureata in fisica.
Scusa,Pa. Ma mi danno molto fastidio i giudizi approssimativi e generici che non offrono nulla su cui fondare i giudizi stessi.
Grazie di cuore per aver pubblicato l'eccellente lavoro di Gaetano.
annarita
Caro Paolo, mi hai preso in contropiede. Solo,ora scopro la bella sorpresa che ho gradito immensamente. Mi auguro di essere gradito ai tanti tuoi amici che convengono nel tuo blog.
RispondiEliminaTi posso dire la cosa che ti sei chiesto nel post sulla fisica e metafisica. Sì delle idee rivoluzionarie ce l'ho. Quando avrò l'occasione propizia se ne parlerà.
Grazie Paopacs, chissà Cheope, Iside ed Osiriride e il Cristianesimo te ne saranno grati.
Gaetano
Aggiungo un caloroso grazie a Maria ed Annarita che hanno portato le mie quotazioni forse troppo in alto.
RispondiEliminanaturalmente ci metto con grande piacere un caloroso abbraccio a tutte e due.
Gaetano
Annarita e Gaetano, dirò di più, aggiornando quanto scritto nella breve introduzione al lavoro di Gaetano. La scoperta delle regolarità matematiche nei fenomeni naturali, quelle (grazie anche a Gaetano) nei manufatti e nella cultura, mi fanno pensare al fatto che la funzione abbia affinità con la bellezza e la regola. Non può essere altrimenti, se si scoprono tante di queste correlazioni e regolarità, tanto da farmi dire se queste stesse regolarità non siano presenti, oltre che nei prodotti dell'uomo, anche nel suo pensiero, nel modo nel quale i vari neuroni si combinano a formare circuiti dotati di significato, nello spazio stesso che abbiamo a disposizione per comprendere il mondo, spazio, occorre aggiungere, limitato. Quasi come se, anche nello spazio di comprensione, fosse presente una legge matematica che guida la nostra conoscenza in una direzione comune e "obbligata".
RispondiEliminaPa, se ricordi la mia introduzione al 25° Carnevale della Matematica e il mio articolo sui frattali, pubblicato sulla rivista Alice&Bob di Matepristem, non farai fatica a comprendere come non possa che essere d'accordo con le tue considerazioni.
RispondiEliminaLo ricordo bene Anna. Infatti, approfitto del secondo articolo ospite, quello di Bruno Berselli, che pubblichi da te, per provare a sviluppare una considerazione su subitizzazione e intuizione evidenziando, grazie ancora a una tua segnalazione Toccare per vedere, lo spazio solo percettivo (quindi nè motorio nè associativo) come la fonte delle intuizioni quando qualche elemento "à la Gaetano" (nel senso che si instaurano condizioni affinché possa aver luogo una cascata di eventi, e potrebbe entrarci anche qualche regolarità geometrica del tipo studiato da Gaetano) passa dal limbo solo percettivo alla coscienza (che è, come dico sempre allo sfinimento, il modello di comprensione di un organismo nei confronti dell'ambiente, basato sulle variazioni).
RispondiElimina@paopasc
RispondiEliminaci vuole più tempo per analizzare e smontare un simile castello che costruirlo. che c'è da dire, che con l'aiuto di squadra e compasso e qualche figura regolare come sfondo, si possono costruire pentacoli e vesciche di pesce, stelle di david e chissà che altro, basta scegliere di volta in volta a cosa vincolarsi. è come la numerologia delle piramidi, inagurata da Piazzi-Smith, rivoltando i numeri si possono trovare rapporti d'ogni genere, scegli se elevare al quadrato, al cubo, dividi o moltiplica per n (praticamente ogni intero ha un significato da infilare dentro a cotali ragionamenti), sottrai al suo inverso il lato del pyramidion moltiplicato per il coseno dell'angolo aureo...
Ma se provassi a fare qualcosa di simile - trovare pi grechi e sezioni auree, pentacoli eccetera - con il modellino della casetta del mulino bianco, la considereresti una falsificazione degna di Popper o dovremmo dedurre che la barilla mette l'esoterico anche nelle merendine?
Sul serio, dimmelo.
E che dire della lampada di Dendera? Quale logica sostiene simili ragionamenti? Ma veramente basta che, siccome gli egizi non conoscevano il vetro (e non è vero, lo conoscevano, in Egitto è stata ritrovata una delle "fabbriche" più antiche) allora non avevano specchi, tuttalpiù di rame, (ma perché? forse che solo il rame era disponibile per realizzare superfici riflettenti?) e quindi le loro tombe dovevano essere illuminate con qualche misteriosa tecnologia, dato che le fiaccole avrebbero consumato troppo presto l'ossigeno (ma chi ha calcolato ciò?)...
Con tutto il rispetto per il sig. Barbella, che scriverà anche bene ed ha sicuramente una vasta cultura che io mi sogno, ma queste "scoperte", queste cose che ricordano, a me, a me ricordano molto certa fantarcheologia e certe teorie di antichi astronauti, non prestano il fianco al troppo dilagante successo delle pseudoscienze a dispetto di una sana educazione scientifica?
Gimnoto, in linea generale, se un nuovo testo parla di cose conosciute in un'ottica diversa basta citare le fonti classiche. Però se il nuovo testo parla di cose meno conosciute e trattate ci vuole, come dici "più tempo a smontare che a costruire".
RispondiEliminaC'è però una fallacia di fondo. Vero è che, per sgombrare il campo da fraintendimenti, certe ipotesi sembrano anche a me azzardate, ma si sa che la conoscenza si conquista per approssimazioni continue, anche partendo da elementi che a tutta prima possono sembrare esoterici e metafisici.
In altri passi, vi è invece il ritrovamento di quelle che si chiamano regolarità, che significano appunto che una cosa "funzionale" ha anche al suo interno, magari all'insaputa del suo stesso autore, quelle regolarità matematiche, già sviluppate dal punto di vista teorico, ma non collegate alla realtà. Nello specifico, se per esempio gli Egizi conoscessero il rapporto aureo e l'utilizzassero oppure se, stante alcune prove geometriche fornite, lo facessero inconsapevolmente, così come la presenza di questo rapporto nell'arte, per esempio in Leonardo, sono questioni di interesse archeologico, che appassionano in genere coloro che vi si dedicano intensamente (e che non dovrebbero trascendere comunque la buona pratica logico-scientifica) ma che io non definirei pseudo o fanta. La scoperta della realtà, in alcuni di questi casi, non sposta le nostre conoscenze storiche e rappresenta un esercizio di curiosità e piacere nella scoperta di rapporti geometrico-artistici, mentre in altri, diciamo così più di frontiera, le conseguenze sarebbero importanti, ma anche è richiesto un apparato di prove molto solido.
Per esempio, chi si sognerebbe di dire che chi collega la spirale aurea alla disposizione delle cavità in una conchiglia di nautilus fa della fantapaleontologia, o chi la individua nella forma delle galassie che prendono quel nome fa della fantaastronomia e così in altri innumerevoli esempi?
Come detto, esistono due livelli: uno è quello del ritrovamento di regolarità matematiche nell'ambito della produzione artistica o culturale degli uomini, un altro è quello dell'assegnazione di ipotesi piuttosto ardite a alcune di queste vere o presunte regolarità trovate.
Sulle merendine: no, se trovassi questi rapporti nella casetta che dici non penserei a esoterici messaggi del disegnatore ma a una "naturale" scelta verso le cose che sono belle e funzionali, come è stato dimostrato per altri ambiti, la scelta della Natura di essere matematica è figlia della funzionalità, e questa funzionalità a noi "piace" (scoprire e osservare) perchè anche questo nostro cercare è funzionale.
Sulla tua ultima domanda: no, se l'autore separa il piano del ritrovamento di regolarità geometriche, del tipo di quelle trovate in Natura, da quello delle ipotesi più ardite, che necessitano di prove ben più consistenti.
Se non ci fossero le dure rocce come si dimostra il sig. Gimmoto, assai critico nei confronti delle mie concezioni geometriche, non ci sarebbe Darwin con la sua teoria dell'evoluzione delle specie viventi. Avrebbe funzionato il creazionismo e la progenie di Adamo ed Eva vivrebbe oggi, né più, ne meno come certe tribù dell'Amazzonia che non sanno nemmeno contare. Ecco la grande necessità della resistenza all'avanzata di concezioni - mettiamo scientifiche - che, se sono buone e sostenibili, possono creare seri problemi di economia esistenziale. Ma c'è una ragione ancora più importante che mira a far andare di pari passo il progresso scientifico con quello umanistico. Naturalmente l'immaginaria bilancia di queste due cose non sono del tutto in mano all'uomo, ma nei meccanismi dei grandi sistemi che governano il nostro pianeta. É una spiegazione non tanto scientifica, tutt'altro, ma non ce ne sono altre.
RispondiEliminaTuttavia non ci sono solo rocce come il sig. Gimmoto, menomale, e le mie concezioni, immaginate come semenza, trovano anche terreno fertile e c'è speranza che dia frutto. Cioè che in modo trasversale la scienza abbia un ignoto abbrivio per ben procedere, e questo è merito dell'arte.
Rocce come il sig. Gimmoto sono state causa di grandi dispiaceri a molti ricercatori solitari e senza mezzi, come quel Meucci inventore del telefono, ma post mortem e molto tardivamente. Fin dove conta che gli è stata riconosciuta l'invenzione? Ma c'è sempre una oscura ragione per ogni fatto e anche per questo ci deve essere, immaginando gli effetti collaterali capaci di influire o no sugli eventi della vita, perfino di una nazione.
Poi occorre indagare sul lato umanistico di chi è oggetto di una rilevante opposizione ai suoi progetti che non sono solo quelli del versante della sua ricerca scientifica, limitando a questi il presente ragionamento. Può capitare che al soggetto ostacolato faccia bene la resistenza in maniera anche smisurata. Questo fa capire che in modo relativo conta l'evoluzione del suo carattere, cosa che se va avanti senza causare eccessivi danni esistenziali, può far sviluppare nella sua mente la concezione di una nuova macchina-uomo in lui.
Dal canto mio, ciò che ho appena detto non vuole essere un'apologia su me stesso, ma un certo modo di riflettere sulla preziosità della resistenza al procedere delle attività umane.
Qual'è il mio impatto alle osservazioni del sig. Gimmoto? Rispondo con un'altra domanda che è questa:
Fin dove può importare al sottoscritto il dispiacere di veder disfare tutto il mio impalcato dello scritto a commento? A poco o niente se a casa sua vede disfatte molte cose delle sua famiglia cui tiene più di altro. Occorre che ne parli? Alcuni qui presenti ne sanno qualcosa, almeno il mio lato esteriore, ma c'è pure quello interiore segretamente sospeso.
Dunque ecco un'altra grandissima roccia che è ben più solida e inattaccabile di quella del sig. Gimmoto, che non mi smuove dal continuare a sostenere le cose da me cogitate. Ma con la differenza di tener sempre da conto le critiche da qualsiasi parti giungono.
Giusto in sintonia della Croce d'Iside che sembra trovare relazione con quella del Cristo.
(continua)
Gaetano
(continuazione)
RispondiEliminaSulla ricerca di solitari autodidatti, conforta il pensiero di un Premio Nobel, lo scienziato Richard P.
Feynman, morto nel 1988, che nel suo libro «Il senso delle cose», intravede la natura dello scienziato
moderno con le seguenti parole: «Molti si stupiscono che nel mondo scientifico si dia così poca importanza al prestigio o alle motivazioni di chi illustra una certa idea. La si ascolta, e sembra qualcosa che valga la pena di verificare – nel senso che è un’idea diversa, e non banalmente in contrasto con qualche risultato precedente – allora si che diventa divertente. Che importa quanto ha studiato quel tizio, o perché vuole essere ascoltato. In questo senso non ha nessuna differenza da dove vengano le idee. La loro origine vera è sconosciuta. La chiamano “immaginazione”, “creatività” (in realtà non sconosciuta, è solo un’altra cosa come l’”abbrivio”).
Stranamente molti non credono che nella scienza ci sia posto per la fantasia. E’ una fantasia di un tipo
speciale, diversa da quella dell’artista. Il difficile è cercare di immaginare qualcosa che a nessuno è mai venuto in mente, che sia in accordo in ogni dettaglio con quanto già si conosce, ma sia diverso; e sia inoltre ben definito, e non una vaga affermazione. Non è niente facile.».
Occorro "abbrivi" per la ricerca scientifica, ma dove trovarli?
Gaetano
Cara Paola, sei stata la prima a intervenire elogiandomi ed io ti ho trascuarata. Ti chiedo scusa in ginocchio e, come si dice, dulcis in fundo, GRAZIE
RispondiEliminaAbbracci,
Gaetano
Caro Gaetano, sono d'accordo con lei e con Feynman (ma ci potremmo mettere in mezzo un po' - solo un po' - di Feyerabend) che non ha importanza di dove giungano le idee, purché siano buone. Fossero pure i cerchi nel grano o un'incisione alchimistica del '600 ad ispirare una buona idea. Il fatto è che, ma la colpa è mia, ho creduto di leggere nei suoi scritti cose che avevo già letto altrove. Avrà certo sentito parlare di personaggi come Kolosimo e von Daeniken. Magari ho letto il suo lavoro troppo superficialmente ed ho subito collegato questo ai famigerati libri dei primi due. Un azzardo, senza dubbio.
RispondiEliminaE tuttavia, un'idea non lo porta sempre scritto in fronte di essere buona, specie in campo scientifico. Bisogna vagliare persino le coincidenze. D'accordo, trovare rapporti aurei non è necessariamente sintomo di fanta e pseudo, come dice paopasc fornendo esempi interessanti. Ma bisogna anche considerare i vari ambiti: il nautilo, il giarasole e tante di quelle cose non artificiali hanno queste straordinarie proprietà geometriche, la meraviglia non è mai fuori luogo; mi pare di ricordare anche un esperimento in cui si dimostrava che anche noi umani tendiamo ad apprezzare certe proporzioni piuttosto che altre (nella fattispecie, si evinceva che un dato gruppo di persone era in grado di dividere un segmento secondo il rapporto aureo, senza riga né altro strumento che non una matita, con più precisione che non in altri casi); tutto questo può avere una o più ragione che è doveroso studiare. E tuttavia bisogna essere molto cauti nel trarre certe conclusioni. Il nautilo è frutto di un grande architetto o c'è una ragione meno romantica, per esempio che fra i tanti casi possibili quello permetteva migliori performances di qualche tipo? A Dendera c'era un'avanzata tecnologia sconosciuta proveniente chissà da dove oppure gli uomini del passato, creativi e grandi artigiani forse migliori di noi moderni, avevano sperimentato soluzioni semplici - rispetto alle diavolerie moderne mosse dall'elettrone - ma al contempo estremamente articolate che sfruttavano conoscenze empiriche vaste (magari perché non perdevano troppo tempo a teorizzare, spinti solo dalla volontà di trovare una soluzione pratica ed efficiente) e mezzi di fortuna? Forse noi moderni non siamo più in grado di fare quei tentativi che facevano gli inventori di allora, magari siamo troppo pigri e pensiamo subito che non c'è altra soluzione che qualcosa di molto vicino alla tecnologia attuale per spiegare qualcosa del passato di cui sappiamo poco. Io non credo sia molto lecito fare un simile passo. Ho molta più fiducia nell'ingegno degli Egizi che non nelle risposte fondate su un vuoto di conoscenza.
Per esempio, non sappiamo di preciso come illuminassero dei sotterranei troppo angusti per consentire ad una fiaccola di ardere e non soffocare i presenti? Dovremmo per prima cosa essere sicuri che dato il tal volume di aria e il tal numero di fiaccole - con una quantità x di combustibile ciascuna - sia in grado di saturare l'aria di anidride carbonica, dovremmo chiederci anche se è sempre necessario che l'ambiente di lavoro debba essere illuminato a giorno o se basta poca luce - pensiamo a quei poveretti che lavoravano nelle cave di zolfo prima dell'illuminazione elettrica - possiamo anche ipotizzare il lavoro non durasse tutto il giorno, magari solo un paio d'ore e poi si riprendeva il giorno successivo. Insomma, ci sono tante ipotesi degne - anche se banali - che possono spiegare tanti misteri reali e apparenti, hanno solo il difetto di appagare poco il desiderio di chi cerca qualcosa di fantastico, quasi di ultraterreno. Un desiderio legittimo e fortissimo, certo. Ma uno studioso che non vuole fare troppe concessioni alla finzione, a questo desiderio deve rinunciare quando non ci sono tutte le ragioni per accoglierlo.
Mi scuso per essermi dilungato troppo.
Saluti.
Un ulteriore grazie vada a te, caro Paolo per esserti opposto secondo la tua logica e perspicacia alla "roccia", il sig Gimmoto. L'aver pubblicato il mio saggio è stato utile per esaminare il lato dell'impatto delle novità come la mia sull'egittologia con la "selezione naturale della specie" perché prevalga ciò che può servire meglio all'uomo, del momento però. Ma può essere che, di fronte a nuove evenienze esistenziali, non valgono più certi "paletti", saldi a certe "rocce".
RispondiEliminaGrazie ancora, Paolo,
Gaetano
Sig. Barbella, io non sono un egittologo, non sono un archeologo, ho il difetto (?) di fare controipotesi dal basso. Magari, per saggiare meglio l'impatto delle sue novità sull'egittologia, sarebbe meglio che proponesse il suo lavoro a veri esperti egittologi. Non vorrei essere l'elemento scatenante di una guerra accademica fra rocce e... qual è l'alternativa? la potenza distruttiva della dinamite o la levità dell'aria che attraversa insensibile la montagna?
RispondiEliminaSig. Barbella, mi contesti pure il tono e i modi, magari anche l'approssimazione con cui mi esprimo. Ma il fatto d'incontrare qualche critica dovrebbe alimentare il suo desiderio di discutere sul tema (magari questa non è la sede migliore) piuttosto che lamentarsi del fatto che la sua idea incontra qualche ostacolo (io, più che una roccia, sono un frammento di tenera steatite) o narrare le solite storie sulla fantomatica impermeabilità degli accademici nei confronti delle novità rivoluzionarie (potrei citare parecchi controcasi in cui una scoperta rivoluzionaria è stata pubblicata/accettata senza troppe polemiche, perché molto fondata; ma con esempi e contro esempi non si va lontano). La scienza progredisce per approssimazioni, certo, ma il dovere di fornire argomentazioni valide e comprovate rimane. Le critiche, purché anch'esse fondate, che possono arrivare dal cosiddetto establishment (di cui io non faccio proprio parte, mi occupo di tutt'altro) servono a sviscerare un problema, a consentire l'effettivo progresso per miglioramenti parziali. Chi fa lo studioso dovrebbe accettare di buon grado questo modo di procedere. Non sarà il caso del sig. Barbella, ma tutte le volte che chi viene contestato comincia a sventolare l'argomentazione del "voi siete rocce inamovibili, avete paura della novità e non l'accettate perché temete il crollo delle vostre certezze", di solito non si progredisce di un millimetro.
Navigando in rete, mi sono imbattuto casualmente in questo saggio molto interessante. Premetto che sono appassionato di Egittologia e laureato in Matematica.
RispondiEliminaAl di là della polemica, non costruttiva, sollevata, devo dare atto della magistrale bravura dell'autore di questo saggio per i seguenti motivi:
- la sua conoscenza storica,specifica del materiale oggetto di studio: geroglifici, divinità, piramidi ecc;
- la tecnica e la competenza in ambito geometrico e la conoscenza della matematica generale in suo possesso, fuori dal comune, trattandosi, se ho ben capito, di un autodidatta;
- la puntualità, la precisione nel disegno, nel calcolo e nei procedimenti matematici eseguiti,anche, laddove necessario, per approssimazione;
-il suo gusto della scoperta unito al desiderio di ricercare, senza forzature,l'universalità nel prodotto della creatività e dell'ingegno dell'uomo del passato.
E la matematica non è forse universale?
Desidero ricordare che l'Egittologia è oggi oggetto di interesse di grandi studiosi; basti un nome per tutti: Erik Hornung, docente ed egittologo di fama internazionale. Questi,in uno dei suoi studi propone proprio un'alleanza audace, ma proficua, tra scienza e il difficile compito, simile a quello affrontato dal Signor Barbella, di svelare quel sapere arcano depositario della storia e della cultura universali.
Complimenti, Gaetano e, mi raccomando...,non demorda!
Saluti,
Luca
Alcune considerazioni.
RispondiEliminaQuando ci si confronta sulle proprie convinzioni spesso si cerca di imporle o di non cedere a quelle altrui solo perchè si considera, il farlo, un'ammissione di debolezza. Questa osservazione non è riferita a nessuno in particolare. E' un modo di fare degli umani e ci si fa poco. Si riesce a modificare atteggiamento se si vede nell'altro non un tentativo di manomissione del proprio sè.
Ho notato, per esempio, che Gimnoto, dopo un'iniziale atteggiamento di sufficienza ha modificato in parte il proprio comportamento, non perchè magari ha modificato di botto le sue opinioni ma forse perchè ha approfondito la sua conoscenza dell'interlocutore, facendolo uscire dall'imbuto dello stereotipo. Questo modo di fare è senza dubbio pregevole, perchè significa aggiornare il proprio atteggiamento alle nuove informazioni, permettendo inoltre il prosieguo della discussione. D'altra parte, è comprensibile anche il comportamento di chi, essendo fuori dal giro accademico,avendo speso tempo e impegno nello studio, e, pur ottenendo il consenso e il plauso degli amici,non ottiene quel ricoscimento ufficiale cui, legittimamente, ambirebbe, dicevo che è comprensibile che costui, almeno inizialmente reciti la parte che Gimnoto ha tratteggiato, del povero autodidatta incompreso. Non vi sembri una cosa straordinaria perchè noi umani siamo abituati a ragionare così, per stereotipi e non c'è niente da fare. Dicevo non c'è niente da fare ma in realtà qualcosa da fare c'è, e Gimnoto l'ha dimostrato: egli modifica il suo primo sferzante giudizio, utilizzando la ragione a parziale bilanciamento della parte emotiva, che è, diciamo così, più "focosa".E sicuramente farà altrettanto Gaetano, riconoscendo l'altrui diritto di critica, rispettosa, e, perchè no, costruttiva. Gaetano ha un grande dono, oltre una tenacia che lo porta a studiare approfonditamente gli argomenti, un vero e proprio erudito d'altri tempi, dotato di una speciale intuizione geometrica. Sappia però Gaetano che a volte anche in una critica risiede uno spunto inaspettato.
Ottimo anche l'intervento finale di Luca, da esperto del settore matematico.
Diciamo che ognuno può rimanere della propria idea accettando quelle altrui, e in questo non c'è perdita del sè, anzi, se l'altro risponde adeguatamente, c'è un allargamento del sè.
Se la discussione, pure appassionata, osserverà questi principi di base, il risultato sarà superiore alle attese.
Desidero aggiungere alcune cose anche se con ritardo ma sono stato impedito per un leggero malore.
RispondiEliminaGli impatti con lavori come il mio sono sempre difficili ma poi si spiana la via e la cosa che conta, al di là del buon riscontro, ciò che premia è aver allargato e rafforzato la cerchia degli amici.
Grazie dunque caro Gimmoto e poi Luca oltre a tutti gli altri a cominciare da Paolo.
Cordiali saluti a tutti,
Gaetano
Alcune considerazioni.
RispondiEliminaQuando ci si confronta sulle proprie convinzioni spesso si cerca di imporle o di non cedere a quelle altrui solo perchè si considera, il farlo, un'ammissione di debolezza. Questa osservazione non è riferita a nessuno in particolare. E' un modo di fare degli umani e ci si fa poco. Si riesce a modificare atteggiamento se si vede nell'altro non un tentativo di manomissione del proprio sè.
Ho notato, per esempio, che Gimnoto, dopo un'iniziale atteggiamento di sufficienza ha modificato in parte il proprio comportamento, non perchè magari ha modificato di botto le sue opinioni ma forse perchè ha approfondito la sua conoscenza dell'interlocutore, facendolo uscire dall'imbuto dello stereotipo. Questo modo di fare è senza dubbio pregevole, perchè significa aggiornare il proprio atteggiamento alle nuove informazioni, permettendo inoltre il prosieguo della discussione. D'altra parte, è comprensibile anche il comportamento di chi, essendo fuori dal giro accademico,avendo speso tempo e impegno nello studio, e, pur ottenendo il consenso e il plauso degli amici,non ottiene quel ricoscimento ufficiale cui, legittimamente, ambirebbe, dicevo che è comprensibile che costui, almeno inizialmente reciti la parte che Gimnoto ha tratteggiato, del povero autodidatta incompreso. Non vi sembri una cosa straordinaria perchè noi umani siamo abituati a ragionare così, per stereotipi e non c'è niente da fare. Dicevo non c'è niente da fare ma in realtà qualcosa da fare c'è, e Gimnoto l'ha dimostrato: egli modifica il suo primo sferzante giudizio, utilizzando la ragione a parziale bilanciamento della parte emotiva, che è, diciamo così, più "focosa".E sicuramente farà altrettanto Gaetano, riconoscendo l'altrui diritto di critica, rispettosa, e, perchè no, costruttiva. Gaetano ha un grande dono, oltre una tenacia che lo porta a studiare approfonditamente gli argomenti, un vero e proprio erudito d'altri tempi, dotato di una speciale intuizione geometrica. Sappia però Gaetano che a volte anche in una critica risiede uno spunto inaspettato.
Ottimo anche l'intervento finale di Luca, da esperto del settore matematico.
Diciamo che ognuno può rimanere della propria idea accettando quelle altrui, e in questo non c'è perdita del sè, anzi, se l'altro risponde adeguatamente, c'è un allargamento del sè.
Se la discussione, pure appassionata, osserverà questi principi di base, il risultato sarà superiore alle attese.
Navigando in rete, mi sono imbattuto casualmente in questo saggio molto interessante. Premetto che sono appassionato di Egittologia e laureato in Matematica.
RispondiEliminaAl di là della polemica, non costruttiva, sollevata, devo dare atto della magistrale bravura dell'autore di questo saggio per i seguenti motivi:
- la sua conoscenza storica,specifica del materiale oggetto di studio: geroglifici, divinità, piramidi ecc;
- la tecnica e la competenza in ambito geometrico e la conoscenza della matematica generale in suo possesso, fuori dal comune, trattandosi, se ho ben capito, di un autodidatta;
- la puntualità, la precisione nel disegno, nel calcolo e nei procedimenti matematici eseguiti,anche, laddove necessario, per approssimazione;
-il suo gusto della scoperta unito al desiderio di ricercare, senza forzature,l'universalità nel prodotto della creatività e dell'ingegno dell'uomo del passato.
E la matematica non è forse universale?
Desidero ricordare che l'Egittologia è oggi oggetto di interesse di grandi studiosi; basti un nome per tutti: Erik Hornung, docente ed egittologo di fama internazionale. Questi,in uno dei suoi studi propone proprio un'alleanza audace, ma proficua, tra scienza e il difficile compito, simile a quello affrontato dal Signor Barbella, di svelare quel sapere arcano depositario della storia e della cultura universali.
Complimenti, Gaetano e, mi raccomando...,non demorda!
Saluti,
Luca
Se non ci fossero le dure rocce come si dimostra il sig. Gimmoto, assai critico nei confronti delle mie concezioni geometriche, non ci sarebbe Darwin con la sua teoria dell'evoluzione delle specie viventi. Avrebbe funzionato il creazionismo e la progenie di Adamo ed Eva vivrebbe oggi, né più, ne meno come certe tribù dell'Amazzonia che non sanno nemmeno contare. Ecco la grande necessità della resistenza all'avanzata di concezioni - mettiamo scientifiche - che, se sono buone e sostenibili, possono creare seri problemi di economia esistenziale. Ma c'è una ragione ancora più importante che mira a far andare di pari passo il progresso scientifico con quello umanistico. Naturalmente l'immaginaria bilancia di queste due cose non sono del tutto in mano all'uomo, ma nei meccanismi dei grandi sistemi che governano il nostro pianeta. É una spiegazione non tanto scientifica, tutt'altro, ma non ce ne sono altre.
RispondiEliminaTuttavia non ci sono solo rocce come il sig. Gimmoto, menomale, e le mie concezioni, immaginate come semenza, trovano anche terreno fertile e c'è speranza che dia frutto. Cioè che in modo trasversale la scienza abbia un ignoto abbrivio per ben procedere, e questo è merito dell'arte.
Rocce come il sig. Gimmoto sono state causa di grandi dispiaceri a molti ricercatori solitari e senza mezzi, come quel Meucci inventore del telefono, ma post mortem e molto tardivamente. Fin dove conta che gli è stata riconosciuta l'invenzione? Ma c'è sempre una oscura ragione per ogni fatto e anche per questo ci deve essere, immaginando gli effetti collaterali capaci di influire o no sugli eventi della vita, perfino di una nazione.
Poi occorre indagare sul lato umanistico di chi è oggetto di una rilevante opposizione ai suoi progetti che non sono solo quelli del versante della sua ricerca scientifica, limitando a questi il presente ragionamento. Può capitare che al soggetto ostacolato faccia bene la resistenza in maniera anche smisurata. Questo fa capire che in modo relativo conta l'evoluzione del suo carattere, cosa che se va avanti senza causare eccessivi danni esistenziali, può far sviluppare nella sua mente la concezione di una nuova macchina-uomo in lui.
Dal canto mio, ciò che ho appena detto non vuole essere un'apologia su me stesso, ma un certo modo di riflettere sulla preziosità della resistenza al procedere delle attività umane.
Qual'è il mio impatto alle osservazioni del sig. Gimmoto? Rispondo con un'altra domanda che è questa:
Fin dove può importare al sottoscritto il dispiacere di veder disfare tutto il mio impalcato dello scritto a commento? A poco o niente se a casa sua vede disfatte molte cose delle sua famiglia cui tiene più di altro. Occorre che ne parli? Alcuni qui presenti ne sanno qualcosa, almeno il mio lato esteriore, ma c'è pure quello interiore segretamente sospeso.
Dunque ecco un'altra grandissima roccia che è ben più solida e inattaccabile di quella del sig. Gimmoto, che non mi smuove dal continuare a sostenere le cose da me cogitate. Ma con la differenza di tener sempre da conto le critiche da qualsiasi parti giungono.
Giusto in sintonia della Croce d'Iside che sembra trovare relazione con quella del Cristo.
(continua)
Gaetano
Gimnoto, in linea generale, se un nuovo testo parla di cose conosciute in un'ottica diversa basta citare le fonti classiche. Però se il nuovo testo parla di cose meno conosciute e trattate ci vuole, come dici "più tempo a smontare che a costruire".
RispondiEliminaC'è però una fallacia di fondo. Vero è che, per sgombrare il campo da fraintendimenti, certe ipotesi sembrano anche a me azzardate, ma si sa che la conoscenza si conquista per approssimazioni continue, anche partendo da elementi che a tutta prima possono sembrare esoterici e metafisici.
In altri passi, vi è invece il ritrovamento di quelle che si chiamano regolarità, che significano appunto che una cosa "funzionale" ha anche al suo interno, magari all'insaputa del suo stesso autore, quelle regolarità matematiche, già sviluppate dal punto di vista teorico, ma non collegate alla realtà. Nello specifico, se per esempio gli Egizi conoscessero il rapporto aureo e l'utilizzassero oppure se, stante alcune prove geometriche fornite, lo facessero inconsapevolmente, così come la presenza di questo rapporto nell'arte, per esempio in Leonardo, sono questioni di interesse archeologico, che appassionano in genere coloro che vi si dedicano intensamente (e che non dovrebbero trascendere comunque la buona pratica logico-scientifica) ma che io non definirei pseudo o fanta. La scoperta della realtà, in alcuni di questi casi, non sposta le nostre conoscenze storiche e rappresenta un esercizio di curiosità e piacere nella scoperta di rapporti geometrico-artistici, mentre in altri, diciamo così più di frontiera, le conseguenze sarebbero importanti, ma anche è richiesto un apparato di prove molto solido.
Per esempio, chi si sognerebbe di dire che chi collega la spirale aurea alla disposizione delle cavità in una conchiglia di nautilus fa della fantapaleontologia, o chi la individua nella forma delle galassie che prendono quel nome fa della fantaastronomia e così in altri innumerevoli esempi?
Come detto, esistono due livelli: uno è quello del ritrovamento di regolarità matematiche nell'ambito della produzione artistica o culturale degli uomini, un altro è quello dell'assegnazione di ipotesi piuttosto ardite a alcune di queste vere o presunte regolarità trovate.
Sulle merendine: no, se trovassi questi rapporti nella casetta che dici non penserei a esoterici messaggi del disegnatore ma a una "naturale" scelta verso le cose che sono belle e funzionali, come è stato dimostrato per altri ambiti, la scelta della Natura di essere matematica è figlia della funzionalità, e questa funzionalità a noi "piace" (scoprire e osservare) perchè anche questo nostro cercare è funzionale.
Sulla tua ultima domanda: no, se l'autore separa il piano del ritrovamento di regolarità geometriche, del tipo di quelle trovate in Natura, da quello delle ipotesi più ardite, che necessitano di prove ben più consistenti.