giovedì 21 aprile 2011

Alla ricerca dell'infelicità

L'idea di fondo è questa: perchè non siamo felici? Cioè, per chiarire meglio: perchè non siamo sempre felici?
Non so se esiste un divieto morale, cosa che del resto non credo (anche se la religione cristiano cattolica esalta la sofferenza) e comunque sta di fatto che se anche ci fosse un divieto non sarebbe sufficiente ad impedirci di essere felici: lo saremmo, punto e basta. Se non lo siamo ci deve essere qualcosa sotto.

L'idea di base, e che appartiene alla storia delle discipline psicologiche e comportamentali, è che l'alternanza degli stati di felicità e infelicità sia funzionale all'alternanza metabolica. Per esempio, non so voi, ma io, quando dormo, sono felice. A meno che non abbia degli incubi, la qual cosa mi rende infelice. Lo stato di incoscienza che accompagna il sonno è definibile incoscienza solo in relazione alla definizione che noi diamo dello stato di veglia, che è appunto di coscienza. In realtà possiamo benissimo immaginarlo come uno stato di coscienza diverso da quello normalmente sperimentato con la veglia. L'aspetto particolare, secondo me, è appunto questo: lo stato di sonno è uno stato di felicità, e infatti l'organismo tende a perdurare in quello stato finchè non intervengono fattori che lo modificano. 

Per parlare chiaro: un animale qualsiasi, se nutrito e idratato, potrebbe benissimo arrivare alla vecchiaia anche in stato di sonno, in stato vegetativo possiamo dire, mentre un animale in stato di veglia ha bisogno, prima o poi, di addormentarsi, altrimenti muore. Essere in un perenne stato vegetativo è un po' quello che fanno le piante. Un po', però.
Non ci sono particolari controindicazioni a vivere in uno stato vegetativo, se il nostro interesse è la sopravvivenza. Si può vivere benissimo, a patto che ci sia qualcuno che ti accudisce. Un altro esempio che mi viene in mente è il feto, all'interno dell'utero. In entrambi i casi, se non venissero meno i rifornimenti di tutti i nutrienti e dell'acqua, l'organismo sopravviverebbe perfettamente.
Chiaro che ci sarebbero alcuni problemini, come per esempio studiare un meccanismo per riprodursi, oppure ancora trovare una badante tuttofare e onnipresente. E infatti non funziona così.
Noi non possiamo vivere in eterno in stato vegetativo, perchè in natura non c'è qualcuno che si occupa indefinitamente del nostro benessere. 

Per ottenere tutto quello che ci serve per vivere dobbiamo andare a prenderlo, perchè non viene da solo verso di noi. Per andarlo a prendere dobbiamo sapere che dobbiamo andarlo a prendere. Come faccio a sapere che devo mangiare? Oppure bere? Per questo motivo esistono fame e sete.
Faccio un piccolo excursus. Tempo fa mi ero ripromesso di fare una ricerca su tutti i fattori che regolano l'appetito negli umani. Il sistema è piuttosto complesso. Non esiste un solo meccanismo. Direi invece che si è usata quella che gli ingegneri chiamano  ridondanza. Molti fattori sono coinvolti nelle sensazioni di fame e sete, nella loro estinzione e nella loro insorgenza, alcuni collegati tra loro altri no. La natura, nella sua saggezza, ha previsto una strategia a molte soluzioni, perchè mangiare e bere sono due comportamenti di vitale importanza.
Possiamo dire che lo stato che precede lo stato di fame è uno stato di felicità? In linea di massima direi di si. Ma se uno ci ripensa, stante che noi umani del mondo occidentale raramente conosciamo veramente cosa sia la fame, non so se è tanto d'accordo nel ritenere felice un qualsiasi stato che precede la fame. Pure, essere affamato, è uno stato spiacevole. O essere assetato. Soffrire per la fame o per la sete rappresenta uno stato d'infelicità. Agli occhi del sistema nervoso che gestisce la situazione è necessario creare una condizione che costringa l'individuo a muoversi. In quel caso, si può dire questo: se lo stato di fame è uno stato infelice, quello a cui si tende, vale a dire lo stato di sazietà, è uno felice. Però non lo è quando, retrospettivamente, dobbiamo giudicarlo: lo stato di sazietà, e dunque di felicità , che precede lo stato di fame, perchè non lo consideriamo felice come lo stato di sazietà al quale puntiamo come risoluzione dell'infelicità che genera la fame?

In realtà possiamo anche affermare che un qualsiasi stato di infelicità contiene -in nuce- entro di sè, anche quello di felicità perchè, il più delle volte, la felicità sta nel percorso per raggiungerla più che nel raggiungimento stesso.
Ovvio che quando si raggiunge un traguardo non è che si smette istantaneamente di essere felici e si piomba nella disperazione. Noi siamo in grado di mantenere per un certo tempo lo stato di felicità raggiunto, a patto che lo confrontiamo costantemente con gli stati precedenti. Abbiamo sempre bisogno di paragonare una situazione che stiamo vivendo con qualcosa di passato (o di futuro), per sapere esattamente quale sia il suo livello di felicità, e anche per esaltarne l'intensità.

L'infelicità è uno stimolo ad agire. E' accompagnata da modifiche dell'assetto biochimico dell'individuo che servono a convincere l'organismo a muoversi e in più gli forniscono anche il bersaglio cui puntare. Un animale che non può eseguire la propria routine di scavo in una gabbia devia su un movimento stereotipato incessante, pur di soddisfare la sua infelicità. L'infelicità è un pungolo ad agire. Muoversi e poter fare quello che si vuole è la cosa più bella. La natura premia questo stato rendendoci infelici (umani e animali) quando non possiamo muoverci, soprattutto se siamo costretti da qualcun altro.
Non poterci muovere genera infelicità. L'infelicità aumenta la produzione di mediatori biochimici del movimento. E allora ci muoviamo, agiamo. In quel frangente di tempo in cui noi passiamo dal non poter fare una cosa al poterla fare, noi siamo felici, ma non è che continuando a farla noi perpetuiamo lo stato di felicità.
La felicità si esaurisce, declina e diventa uno stato normale. Sembrerebbe quasi non esistere e nemmeno essere mai esistita. Sembrerebbe esserci solo l'infelicità e la normalità, mentre la felicità è solo quel momento che intercorre tra infelicità e normalità.
Anche se è vero che chi è triste rievoca più facilmente ricordi spiacevoli e, al contrario, chi è allegro ricorda più facilmente memorie piacevoli [Teasdale et al. 1980] [Ehrlichman e Halpern 1988] sembra pure vero che l'autoriflessione prepara il soggetto, quando si lascia trasportare dai pensieri ovvero vagabonda con la mente, a pensare più al proprio futuro che al proprio passato [Smallwood et al. 2011 in press] e questo ha a che fare, secondo me, con il tratto di insoddisfazione della vita attuale, del momento che si sta vivendo e i pensieri sul futuro sono un atto in progress, servono cioè a moderare l'infelicità attuale con un atto potenziale da compiersi nel futuro, ma che si compie al momento solo con il pensiero.
Perchè dovremmo essere infelici al momento attuale? Probabilmente, se non abbiamo traguardi da raggiungere, compiti da completare, se non aspettiamo con desiderio un incontro o un evento siamo portati a valutare le nostre giornate come più tristi di quel che sono, perchè ci manca un punto di riferimento.
Ricordo sempre con piacere la battuta di Ennio Flaiano: "la felicità è mettersi un paio di scarpe strette per il piacere di togliersele" (citato a memoria). E non è andato lontano dalla verità, a parer mio.

Questo meccanismo utilizzato dal sistema nervoso ci condiziona a tal punto che anche quando pensiamo di usare la ragione noi tendiamo a ricreare lo stesso paradigma naturale: creiamo condizioni di infelicità mentale per tendere alla felicità, egualmente mentale.
Quando ci capita di essere in contrasto verbale con qualcuno, se riusciamo ad averla vinta, o con il ragionamento o zittendo l'altro con il nostro chiacchiericcio, noi otteniamo una dose di felicità. Ho come la sensazione che l'inesatta percezione della nostra felicità corrente sia il pungolo per la ricerca di quella infelicità che può essere trasformata in felicità.
Anche la noia è una misura dell'infelicità. E anche la ricerca della conoscenza obbedisce a questo stesso meccanismo: comprendere le cose è appagante di per sè, quando cessa di essere appagante di per sè diventa appagante se si ottiene il riconoscimento generale, e poi via si ricomincia. Insomma la felicità è la nostra condanna: condannati ad essere felici, ma l'infelicità è ciò che cerchiamo. La cerchiamo perchè è solo da uno stato di infelicità che noi possiamo aspirare ad uno di felicità. E la cerchiamo perchè la felicità, di per sè, probabilmente  non esiste. Mettete l'uomo più ricco e potente del mondo da solo in un'isola deserta sotto il sole e senza niente da mangiare o bere. A che gli servono tutti i suoi soldi e tutto il suo potere?
E come sarà felice, dopo un giorno o due di digiuno completo, quando gli porterete un tozzo di pane e un bicchiere d'acqua calda.

8 commenti:

  1. Che sia la vera luce pasquale della radiosa anima a rivelare le verità per far scendere definitivamente dal quella falsa illusoria croce quel Divino Essere che non morì sulla Golgota, ma nel Kashmir all'età di 87 anni.

    Che sia la vera luce pasquale della radiosa anima a risvegliare la vera coscienza interiore dell'essere ed il vero cuore duro cieco e sordo di tanti..

    Una Buona Santa Luce Pasquale Carissimo Prezioso Paolone, una Santa Luce da estendersi ai tui Preziosi Immensi Amori e nel cuore di tutti gli astanti di questa sua preziosa illuminante casa virtuale.

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  2. ehhhh, grazie assai caro Raffaele, e anche a te tantissimi auguri. Certo che adotti una versione non ufficiale della storia di Gesù...

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  3. Assai Carissimo Paolone,
    Mi scuso con la tua preziosa persona per queste mie strane parole, ma sincere sono dettate dal mio cuore.

    Che sia non ufficiale, non ha importanza, anche se sanno ma la tengono celata per non perdere potere. E' già da tanto tempo che quella ricerca che si basa sulla razionale deduttiva logica comprovata storia comparata come anche attraverso quella ricerca verificata attraverso l'indagine soprasensibile/trascendentale che conduce a questa strana verità. Verità che se capita farebbe cadere tutto il dogma su cui si basa questo nostro Cattolicesimo, ben lontano dall'antico veritiero gnostico Cristianesimo. Spesso si parla e si crede per il dire degli altri, ma la via vera è quella sperimentale, quella pratica ed io parlo del mio vissuto in questa come anche di vite precedenti. C'ero anch'io 2000 e passa anni fa e pian piano, guidato dal mio immenso indefinibile eterno amore, attraverso una ricapitolazione l'ho riesumata dall'oblio della memoria in cui l'avevo rilegata dopo quella visione che avevo avuto a 14 anni, quando mi sono ritrovato CONSAPEVOLE FUORI DAL CORPO (obe, su questa c'è tantissima ricerca) in uno spazio/tempo che mi ha proiettato anche nel mio passato. E' anche vero che ognuno è libero di credere amorevolmente a quello che si vuol credere, o meglio a quello che il sistema in cui si è nati, in qualche mondo, per induttanza, per riflessione, per buona tradizione, ma anche come un lavaggio nel cervello (che tu ben conosci nei processi cognitivi ed induttivi) ci ha imposto di credere.

    Di sicuro, LA FEDE CIECA NON CONDUCE A NIENTE, CREA SOLO INCONSAPEVOLE SUPPLICHIEVOLE SUDDITANZA CHE NON E' QUELLO CHE DESIDERA OGNI VERO BUON PADRE, PERCHE' LA VERA FEDE E' UNA CONQUISTA CHE PER VERO IMPERSONALE AMORE DEVE PASSARE PER LA VIA DEL CUORE E BAGNARSI CONSAPEVOLMENTE PER TANTA MEDITATA CONTEMPLAZIONE.

    Carissimo Amico Mio, scusami per queste parole, ma è solo per rinnovare una BUONA SANTA LUCE PASQUALE QUELLA STESSA LUCE CHE PUO' SCATURIRE DAL TUO STESSO DIVINO SOLE INTERIORE..

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  4. Aspettiamo la Domenica come il giorno in cui potremmo essere felici ed invece, a conti fatti, il Sabato ci da maggior gioia.
    Se davvero esistesse la felicità, sarebbe molto triste riuscire a trovarla.

    Ma quante ne sai...
    Mi hai fatto venire il mal di testa, ma per 2 minuti, leggendoti, sono stato felice.
    Auguri per una non-felice Pasqua.
    Un salutone
    Marco

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  5. Caro Marco, non so se capita anche a te, ma la domenica sera, con la previsione del ritorno al lavoro, rappresenta per me un momento di cruccio. Penso che accada anche a chi, invece che a lavorare deve andare a scuola, ma sono ammissibili eccezioni. Non sono tanto il lavoro o la scuola a essere sbagliati bensì quello che rappresentano per noi. La previsione di un futuro vissuto come noioso ci rende tristi mentre accade l'esatto contrario per la previsione di un futuro allegro. Il discrimine sta in quello che rappresenta per noi questo futuro: fare quello che desideriamo fare, che è anche l'aspetto fondamentale che ci rende felici o infelici. In termini ancora più riduzionistici il tutto si ridurrebbe a: compiere atti.
    In realtà è necessario che noi la raggiungiamo la felicità perchè a quella miriamo ma non possiamo mantenerla. la felicità è come un liquido dentro una bottiglia: quando riempio la bottiglia sono felice. ma non sono felice se la bottiglia è piena o vuota, sono felice quando riempio la bottiglia. Se è già piena non posso più riempirla e dunque non posso più essere felice. per tornare a essere felice devo vuotarla.
    L'augurio che mi fai è un po' birichino ma so benissimo che il tuo intento era buono. L'augurio è sempre per la felicità, magari da raggiungere lentamente per assaporare bene il percorso, che è forse la parte migliore. Però, ogni tanto occorre anche vedere il traguardo, altrimenti ci si fiacca.
    Quanto al mio augurio nei tuoi confronti dirò così: forse tu hai dei sogni, sicuramente tu hai dei sogni. Non augurarti di raggiungerli, sapendo che una volta che li avrai raggiunti passerà la tua felicità, o meglio, si attenuerà, sarebbe sbagliato, perchè noi abbiamo anche altri meccanismi per trarre piacere da un traguardo raggiunto: confrontarlo con il passato. E' come, nell'esempio della bottiglia, se noi immaginassimo solamente di versare altro liquido, o immaginassimo quando lo versavamo. Per questo il mio augurio per te, sincero come il tuo, è che tu possa realizzare i tuoi sogni, e stringerli, e goderne, perchè così almeno, avrai modo di farne altri e provare a realizzare anche questi.

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  6. caro Raffaele, non hai niente di cui scusarti, primo perchè non vi era nessun intento critico nelle mie parole, ma volevano solo essere una notazione spiritosa, secondo perchè non stai parlando con un difensore della fede. Condivido il tuo accenno a uno spiritualismo più ampio, che serva come guida alle nostre azioni, senza il vincolo di altro dogma che un iniziale rispetto per i tutti viventi.
    E di nuovo tanti auguri a te, Raffaele

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  7. Mi posso permettere di essere "biricchino" con te
    perchè certo che tu possa interpretare e comprendere
    anche quello che semplicemente scrivendo può sembrare
    quello che non è, ma che invece prende forma se da te interpretato.
    (mi fa male leggerti...)
    La non-felicità augurata era la conseguenza logica
    di una mia perfetta condivisione del contenuto del tuo stupendo articolo.
    Questo è il Poapasc che mi piace, quello che riempie bottiglie,
    magari non fino all'orlo. Felicemente "travasa" poi "svuota",
    ma non completamente, poi "ritravasa e "risvuota",
    sempre senza colmare o senza completamente svuotare.
    Perchè comunque qualcosa rimare di quegli attimi fugaci di felicità:
    i ricordi, le briciole disseminate che lasciano una traccia
    indelebile del passaggio di quella felicità "cumulativa".

    Anche per me la Domenica sera diventa un momento di tristezza,
    è l'idea di reiniziare e non iniziare, sapere già quello che ti aspetta,
    mentre felice è il momento che anticipa qualcosa di nuovo,
    e la scuola, purtroppo, non sempre porta cose nuove.
    Ecco forse per me, la felicità sta nel cominciare (qualsiasi cosa),
    provare, testare e tastare, scoprire ed ascoltare.
    Sarà anche giusto in questa mia fase, ma a forza di iniziare soltanto,
    accumolo e mai completo, riprendo e modifico, rettifico e rielaboro.
    Prima o poi mi fermerò e allora si che sarò davvero triste.

    Sui sogni ci sono, e ti ringrazio per l'augurio.
    E siccome non solo noi ragazzi sognamo, auguro altrettanto a te,
    a te che dormendo sei felice, auguro di sognare anche da sveglio
    in modo da "simulare" altro sonno ed altra felicità.

    Buona (questa volta) Pasqua
    Marco

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  8. Quando diventerai grande (ma non andare di fretta, con calma, prenditi tutto il tempo) scoprirai che i grandi sono adolescenti invecchiati: siamo coloro che eravamo all'incirca alla tua età. Chiedi a tuo padre, a tua madre.
    Un aspetto che io ritengo essenziale per conservare elasticità mentale e creatività è: non bloccare lo sviluppo, rimanere sempre giovani. Questo è un grande segreto di longevità psichica e capace di consentire, a mio parere, la maggiore espressività possibile.
    La curiosità che dici di provare per le cose nuove, per le sfide è la stessa che provavo e provo io: necessità di nuovi stimoli, sempre! Sempre necessità di nuovi stimoli, di nuove analogie, relazioni, meccanismi, leggi, osservazioni, deduzioni e soprattutto collegamenti: Collegamenti tra le più disparate discipline.
    Anche io sogno, è vero, e ho sogni che mi piacerebbe realizzare, anche se solo per poterne cullare altri da provare a realizzare. Siamo macchine determinate, quanto a questo, determinate a non fermarci. e infatti, qualcuno disse: chi si ferma è perduto.
    Tu hai delle grandi potenzialità. sappi che un segreto (non so se il solo) per avere qualche successo è tanta traspirazione (tradotto: tanto lavoro). Oltre a questo hai la necessaria determinazione e l'indispensabile insaziabile curiosità.

    Paolo

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