giovedì 7 aprile 2011

Il personalismo in politica come antitesi alle idee?

Ero lì che guardavo  la trasmissione Exit su La7 e sentivo dei manifestanti intervistati da un giornalista del programma. Come spesso accade si trattava dei pro o contro Berlusconi e, dall'animosità con cui la gente difendeva o attaccava il premier mi confermavo nella mia convinzione: Berlusconi ha ottenuto di sicuro una cosa, trasformare la disputa politica in una disputa personale. Non ci si combatte a suon di idee o ideali, di proposte politiche o di aspirazioni, no, si combatte sempre e soltanto pro o contro la persona di Berlusconi.
Ero lì che pensavo queste cose quando, ritornati in studio, il giornalista dell'Espresso Marco Damilano mi spiattella davanti al naso la mia idea. Va bene, non è una novità, altri l'hanno pensata.  A dar forza al suo ragionamento Damilano propone un parallelismo: ai tempi di mani pulite, sul banco dei testimoni vi era un pieno di politici, ministri, parlamentari, segretari di partito, queste erano le figure che comparivano come testimoni, o come imputati o come persone informate dei fatti. Ora no. Ora chi compare sono privati cittadini, ragazze, pubblici ufficiali, agenti di artisti , avvocati, insomma gente come noi, più o meno, ma sicuramente non uomini politici. Questa è la differenza, che riflette la diversa impostazione, che forse Berlusconi ha voluto dare alla sua storia politica: il personalismo.

In fondo, a ben riflettere, quando si chiede che Berlusconi si difenda nel processo e non dal processo, non si chiede che, insieme a lui, faccia un passo indietro tutta la coalizione: se Berlusconi dovesse venire condannato il PdL potrebbe benissimo continuare a governare, se ha la fiducia del Parlamento. Non mancano i vice primi ministri. Non è l'idea politica della maggioranza in discussione ma semmai l'idea che, a parte il Capo dello Stato, vi sia un differente trattamento dei cittadini di fronte alla legge.
Ovvio che questo non può avvenire: il successo del PdL non sta se non in Berlusconi e la maggioranza se lo tiene stretto. Berlusconi è la gallina dalle uova d'oro e rinunciare  a lui significherebbe rinunciare a vincere. Ma è proprio così? Così poco si stimano quelli del PdL da rinunciare a svezzarsi, a camminare con le proprie gambe?
Tutto questo, sia detto, al di là dell'implicazione politica: la magistratura non può processare Berlusconi nell'esercizio delle proprie funzioni, non ne avrebbe titolo. Ma può processarlo come cittadino? A mia conoscenza tutti i processi che lo riguardano trattano di questioni private, o prima che entrasse in politica, o dopo che è entrato in politica ma che non possono essere ascritte ad atti politici (contenziosi recenti a parte).

Si dice: si vuole abbattere Berlusconi per via giudiziaria invece che per via democratica. A parte che il termine abbattere lo trovo esagerato ma, mi chiedo: se un qualsiasi esponente politico, di un partito qualsiasi, fosse sospettato di un reato perseguibile qualsiasi, nel momento in cui la magistratura cominciasse a occuparsi di lui non potrebbe invocare la difesa del tentativo giudiziario per toglierlo di mezzo?
In questo modo nessun uomo politico di una certa importanza potrebbe più essere processato. Quando si dice abbattere Berlusconi per via giudiziaria si dimentica di dire: potrebbe essere, e magari con giustificato motivo, ma si tratterebbe di abbattere Berlusconi, non tutto il PdL.
E se quelli del PdL rispondessero: abbattere Berlusconi significa abbattere tutto il PdL beh, a questo punto, sarebbe una dichiarazione di pochezza veramente imbarazzante. Significherebbe riconoscere tutto il merito solo ed esclusivamente al cavaliere, lasciando a tutti gli altri il ruolo di comparse. Chi chiede che Berlusconi si lasci processare non vuole il processo di tutto il PdL. I due principali partiti, PdL e PD se la giocano nelle urne la loro battaglia. Quello che la gente forse chiede è che venga fugato il sospetto. Doppio sospetto a questo punto: una metà della popolazione crede a un Berlusconi colpevole, l'altra metà crede a una magistratura colpevole.

Questo aspetto di confidare unicamente nel premier per le proprie speranze di vittoria fornisce anche un duro colpo alla credibilità del programma politico. Quando si contesta la riforma Gelmini, per esempio, ecco che si critica l'operato del governo, perchè si ritiene che possa danneggiare in qualche modo o direttamente o indirettamente se stessi e il paese. Ci sta che, in questo caso, la maggioranza faccia quadrato. Sotto attacco non è (o non dovrebbe essere) il ministro competente ma il programma del governo.
Ma quando si chiede l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge non si attacca  (o forse non si dovrebbe attaccare, in prima istanza, il governo e la maggioranza) ma solo un suo esponente, anche se il più importante.


In generale, a parte le idiosincrasie, chi attacca Berlusconi probabilmente attaccherebbe qualunque altro politico che facesse le stesse cose. Il problema, del personalismo, è che questioni che dovrebbero essere meramente personali diventano improvvisamente pubbliche.
Si citano molto spesso i casi di uomini politici tenuti sulla graticola dalla magistratura e poi scagionati. Benvenuti nella realtà. Vi è un sito che parla degli errori giudiziari commessi dal dopoguerra a oggi: il numero è spaventoso (vedi La mia riforma della giustizia). Non credo ci sia al mondo persona capace di intendere e di volere che non creda che anche  i magistrati commettono errori, per i più disparati motivi. Non è esente, questa categoria, dall'umana fallacia. In questo senso, qualsiasi norma che aggiunga una tutela per  ogni imputato, che lo difenda dai possibili (e umani) errori giudiziari è la benvenuta. Purchè per difendere l'imputato non si rischi di sfasciare tutto.

Il rischio insito nel personalismo è che non sono più le idee a fare da collante ma le persone. Ci si identifica totalmente con una persona e si finisce per difenderla sempre e comunque (o per attaccarla sempre comunque). Ma, a differenza dlelle idee, le persone hanno comportamenti molto variegati. 
Le idee hanno solitamente un confine preciso: idea è, per esempio, la liberalizzazione, la deregulation, la diminuzione delle tasse o il predominio  del pubblico sul privato in certi settori e così via. Ma, ognuna di queste idee, ogni programma politico, ha un campo d'azione limitato. Difendere la deregulation non vuol dire mandare assolti i terroristi. Auspicare un ruolo pubblico in certi settori non significa pensare all'eliminazione della proprietà privata. E' vero che le idee possono essere piuttosto ampie, ma mai ampie quanto il comportamento di un umano. 

Se uno costruisce la propria concezione politica su una persona potrà trovarsi, qualche volta, in frangenti nei quali, nel chiuso della sua coscienza interiore, egli non sa decidere. La persona che ammirava ha commesso un atto che egli ritiene riprovevole ma, ora, se permette che chi attacca il suo riferimento l'abbia vinta cadrà, insieme alla persona, anche la sua ideologia, che è tutt'uno con la persona. E le ideologie sono dure a morire, forse anche più dure del personalismo, non mancano esempi di tutti i colori politici.

Se invece noi di una persona guardiamo le idee che esprime e gli accordiamo fiducia su quella base, e su quelle idee ci impegniamo in prima persona, se ad un certo punto dobbiamo rinunciare a quella persona, perchè sbarella, perchè cambia improvvisamente convinzioni o per quello che volete voi, noi non dobbiamo vergognarci di averlo seguito perchè seguivamo appunto, insieme a lui, le sue idee. Non abbiamo bisogno di trasformare la persona e le sue idee in ideologia (nel senso più retrivo del termine), farle diventare una cosa sola, perchè le idee e la persona che le ha espresse possono camminare anche separatamente.

Per dirla in maniera semplice, ci può essere chi ha bellissime proposte politiche e sociali e magari è molto estroso come carattere personale. Non bisogna essere per forza simpatici se si è, per dire, grandi pensatori. Si può essere grandi pensatori e perfettamente antipatici o grandi pensatori e riprovevoli.
E' questo il bello del seguire, insieme alla persona, le sue idee. E' vero che ci si può autoconvincere che tutto quello che viene detto da una parte è falso ma, ancora una volta, si difende il proprio investimento totalizzante. Non si può accettare che tutto quello in cui abbiamo creduto, persona e programma, crolli improvvisamente, insieme alla nostra autostima. Quindi, quando difendiamo una personalità sulla quale abbiamo molto investito e creduto, sulla quale ci siamo esposti pubblicamente, noi in realtà difendiamo noi stessi, la nostra reputazione.

Sia chiaro che non dico che l'ipotesi contraria sia da escludersi. Ma  non interessa  stabilire chi ha ragione o torto.  La questione fondamentale non è comportarsi vigliaccamente quando il tuo riferimento ha un guaio. Assolutamente no. La questione è come comportarsi quando hai la certezza o quasi che il tuo riferimento non è come sembrava.
Che succede, allora,  dentro di te? 

Il concetto da comprendere è questo. Se l'idea è sbagliata allora è sbagliata. Se la persona che esprime un'idea è sbagliata, l'idea può ancora essere giusta. Se la persona è sbagliata, è sbagliata.
La forza delle buone idee è questa: che possono proseguire anche se la persona è sbagliata. Ma se l'idea è sbagliata e la persona è giusta? In questo caso, in cui ci si fa forza della capacità persuasiva della persona, ovvero dell'autorità, ci si può trovare di fronte al problema che ipotizzavo sopra: una persona, molto più di un'idea, può essere soggetta a mutare, ad avere diversi livelli di valutazione. Un'idea è più circoscritta, riguarda un settore ampio a piacere, ma se è un'idea giusta non potrà comportarsi da idea sbagliata. Una persona giusta no. Una persona è troppo complessa per garantire uno stesso atteggiamento in tutte le sue possibili espressioni. Una persona con un'idea giusta può avere inclinazioni, gusti, comportamenti, modi di fare e via dicendo, che possono rappresentare una stonatura o finanche un impedimento completo.

Non è possibile esaurire l'argomento qui. Rimando, coloro che fossero interessati, a quanto detto su autorità e autorevolezza, che è una diretta conseguenza dell'adozione del personalismo in politica.

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