domenica 8 luglio 2012

Sulle condanne definitive nel caso della scuola Diaz al G8 di Genova

Le recenti condanne in Cassazione [Diaz, confermate le condanne, Il Fatto] di alcuni dirigenti e agenti di polizia accusati di reati inerenti i fatti della scuola Diaz   durante il G8 di Genova 2001, oltre a riavvicinare molti all'idea di giustizia, seppure tardiva, pongono con estrema urgenza un tema che non riguarda solo il nostro paese ma in generale tutti quelli che si definiscono democratici.
Occorre rilevare che alcuni di quegli accusati, quelli che dovevano rispondere di lesioni gravi, hanno usufruito della prescrizione della pena perchè a suo tempo i giudici non li poterono accusare del ben più grave reato di tortura, reato non previsto dal nostro codice penale.
E' illuminante che a distanza di 11 anni dai fatti, con una sentenza che porta lo scompiglio tra i dirigenti della polizia, con un centinaio di persone innocenti di tutte le nazionalità che hanno subito pesanti violenze e, in generale, con uno scandalo internazionale e un gravissimo attacco alla libertà individuale, nè il Parlamento nè il Governo si siano decisi a introdurre questo reato, unici al mondo. Forse i nostri politici pensano, erroneamente, che da noi non siano possibili torture. Peccato che la realtà li smentisca quasi sempre.
Lo ricordava anche la Presidente Italia di Amnesty International, in audizione alla Camera nel luglio 2010

In mesi più recenti, invece, la Corte di appello di Genova ha scritto una pagina molto importante nella ricostruzione degli abusi commessi dalle forze di polizia durante il G8 del 2001. Vi è stato, relativamente al caso della Diaz, il riconoscimento della colpevolezza di oltre 25 tra agenti e dirigenti di polizia per le lesioni, gli arresti illegali e i reati di falso e calunnia commessi ai danni dei manifestanti inermi aggrediti nella notte nella scuola. Precedentemente, a marzo, erano state riconosciute le responsabilità penali di tutti i 44 imputati, anche in questo caso agenti della polizia di Stato, ma anche medici, per le brutalità compiute nel carcere provvisorio di Bolzaneto. Voglio ricordare che i detenuti furono costretti a tenere posizioni dolorose e minacciati di stupri e di violenze e che le perquisizioni furono volutamente degradanti. [...] L'episodio dei fatti di Genova - vediamo gli effetti concreti, che citavo all'inizio - è stato pesantemente segnato dalla mancanza del reato di tortura. In particolare, nel processo di Bolzaneto i magistrati inquirenti, ma anche il tribunale e la Corte d'appello, hanno segnalato che la mancanza del reato di tortura ha impedito di punire adeguatamente i colpevoli. Risultava ampiamente provato un comportamento che coincide con la definizione internazionale di tortura, ma nel nostro Codice penale è stato necessario fare ricorso a reati come l'abuso d'ufficio o le lesioni, che si prescrivono, mentre il reato di tortura sarebbe imprescrittibile, se adottato. [resoconto stenografico Camera]

Il tema che si pone è in realtà duplice, e riguarda per esempio anche l'America, in cui la polizia metropolitana si lascia spesso andare ad atti di grave  maltrattamento:  uno riguarda l'accettabilità del fatto  che le forze di polizia  possano utilizzare  atti di violenza così gravemente lesivi della dignità e del rispetto che si devono ai cittadini e l'altro, la domanda su come mai dalle forze politiche, almeno quelle al Governo,  non sono venute le dure condanne che ci si aspettava ma i soliti distinguo.
E' noto che il mantenimento dell'ordine pubblico e la caccia ai rei espone costantemente all'utilizzo di sistemi non accettabili in un regime democratico. La linea che separa un governo di tal fatta da uno autoritario è molto sottile e l'esercizio che mantiene uno Stato in equilibrio lungo quella linea è fatto sia di rispetto delle regole che di piccoli escamotage.
Vi è purtroppo da fare un'ovvia considerazione e cioè che spesso accade che ideologia (di chi è al Governo) e  tendenza a prendersela con il più debole pensando di farlo con il più forte (forze dell'ordine) congiurino per far subire un'ingiustizia a chi non c'entra niente (occupanti della scuola Diaz). 
Siccome l'insieme di questi due elementi a volte non è in grado di correggere l'errore, si ricava che la tripartizione dei poteri (indipendenti) si rivela più che mai indispensabile per ottenere giustizia, non essendo due poteri da soli, qualunque essi siano, sufficienti per garantirla. E addirittura può anche darsi il caso in cui tutti e tre i poteri siano latitanti, in quel caso si rischia seriamente di essere in balia dell'estro altrui  [vedi In carcere per un farmaco, Corriere].
Dicevo appunto come sia facile derogare a quelli che sono i principi regolatori di uno Stato democratico, quelli ai quali siamo tutti affezionati a parole ma che mettiamo in secondo piano quando non siamo controllati. Succede ai cittadini quando c'è da festeggiare una vittoria calcistica , o quando scendono le ombre della sera (e gli effetti del codice penale si attutiscono) e in tante altre occasioni in cui si abbandona la retta via della democrazia e si imbocca quella della violenza e del reato. Quando questa deviazione interessa i tutori dell'ordine l'effetto è ingigantito e quando la classe politica accetta, non so se supinamente o in maniera complice, questa deviazione, senza cercare di capire con la propria testa, si addensano gli spettri dell'autoritarismo. Guai se la magistratura non fosse un potere indipendente. Ci possiamo immaginare cosa sarebbe successo se il Procuratore avesse dovuto agire solo su ordine politico?

Questi due aspetti, uniti insieme, hanno lo stesso effetto di una deflagrazione. La fiducia nei politici non è mai stata ad alti livelli, ma quando altre figure istituzionali perdono il favore dell'opinione pubblica c'è da temere una recrudescenza di sfiducia e cinismo, anticamera della disgregazione sociale. I fatti della scuola Diaz rappresentano questo: la polizia che agisce in maniera incongrua rispetto al proprio statuto, l'effetto dirompente sulla sua credibilità, e l'azione della classe politica che, con il suo comportamento acquiescente, tende a ingigantire l'incongruità.
L'obbligo di rispettare la legge perde parte della sua forza se coloro che sono tenuti a farla rispettare non la rispettano a loro volta. La seppure tardiva sentenza definitiva  non è una vendetta ma il trionfo della giustizia, come dovrebbe sempre essere. Conta soltanto ai fini dell'attenuazione della pena  il fatto che alcuni di quei dirigenti condannati abbiano effettuato importanti catture di delinquenti, non nel senso di impedire il corso della giustizia.

E' una misura del grado di democrazia la possibilità e l'eventualità di condannare rappresentanti delle forze dell'ordine che hanno sbagliato? Di sicuro lo è. Ma ancora di più lo è l'indipendenza di chi deve indagare e giudicare. Questa stessa caratteristica di sottoporre qualsiasi cittadino al giudizio, sia per riparare il torto sia per riparare l'errore, rende potenzialmente molto democratico il sistema giuridico che lo adotta, anche se non è sempre facile porre rimedio all'errore proprio nell'ultimo tratto, quando cioè sono i giudici a commetterlo. Ma è di sicuro foriero di positive aspettative quando una corte non si fa influenzare e condanna chiunque si sia macchiato di un reato, indipendentemente dal suo pedigree




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