domenica 8 luglio 2012

"Lei non sa chi sono io" diventa reato? Una sentenza della Cassazione tardivamente apparsa su alcuni giornali

Sembrerebbe far scalpore questa sentenza n. 11621/2012 della Corte Suprema perchè, a giudicare dai titoli che gli hanno riservato i giornali, pare come se la frase "lei non sa chi sono io" resa famosa da Totò non si possa più dire, a tema di incorrere in un reato [vedi Ansa, Cassazione: 'Lei non sa chi sono io...', e' frase minatoria; Corriere, È reato dire: «Lei non sa chi sono io»; La Stampa"Lei non sai chi sono io!"equivale a una minaccia].
Prima cosa, la sentenza non sembra di oggi ma del 27 marzo 2012 [si vedano i siti: persona e danno, diritto plus, studio legale salerno, il sole 24 ore e altri] e, seconda cosa, la Cassazione, contestualizzando i fatti, "rinvia per un nuovo esame al Giudice di pace [vedi Sentenza Cass.n. 11621/2012-La frase "lei non sa chi sono io" può integrare una minaccia. Dipende dal contesto] non individuando, a quanto pare, nella sola frase "lei non sa chi sono io", un reato.
Brevemente la storia: due condomini, un uomo e una donna, si trovano a litigare e, a un certo punto, l'uomo proferisce le parole così riassunte dalla sentenza


utilizzando l'espressione che l’avrebbe fatta pagare alla C. essendone capace (non sai chi sono io) colorava e riempiva di contenuti minacciosi la frase pronunciata, perché nulla ne circoscriveva il significato all'adozione di iniziative lecite, e la supposizione in quel senso del giudice non è collegata a concreti agganci alla realtà di quel momento. [Sentenza Cass. cit.]
La donna denuncia e il Giudice di pace assolve l'uomo in quanto giudica quelle espressioni non minacciose. Non la pensa così il Procuratore che propone  ricorso e la Cassazione gli dà ragione:
Al proposito questa Corte ha ritenuto (Sez. 5, sent. n. 31693 del 7/6/2001, Rv. 219851, ric. Tretter) che nel reato di minaccia elemento essenziale è la limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione del pericolo che un male ingiusto possa essere cagionato dall'autore alla vittima, senza che sia necessario che uno stato di intimidazione si verifichi concretamente in quest'ultima, essendo sufficiente la sola attitudine della condotta ad intimorire e irrilevante l'indeterminatezza del male
minacciato purché questo sia ingiusto e possa essere dedotto dalla situazione contingente. La sentenza impugnata andrà quindi annullata con rinvio al giudice di merito per un nuovo esame che rivaluti le risultanze processuali secondo le indicazioni sopra evidenziate e provveda sulle spese sostenute in questo grado dalla parte civile. [Sentenza Cass. cit.]
Da qui l'annullamento della precedente sentenza e il rinvio al Giudice di pace per un nuovo esame del caso.
Non è il primo caso in cui la Cassazione giudica frasi (e atteggiamenti) del genere. Infatti, la sentenza 138 del 2006 riguardava un caso simile in cui un avvocato, insieme ad altre, pronunciava  le fatidiche parole "lei non sa chi sono io":
in data 18 settembre 1998 (…), rivolgendosi alla dott. C. P., inveniva contro la dott. C. R. intenta a farsi fare delle fotocopie privandola del titolo di dottoressa ed usando nei confronti della stessa le seguenti espressioni sconvenienti ed offensive: Chi è questa deficiente? (…) si deve mettere da parte per darmi la precedenza. Lei non sa chi sono io? Si informi! Certa gente che non sa nemmeno leggere e scrivere ed entra qui; qui è diventato un mercato. Lei non ha educazione, una volta ridiceva: prego avvocato si accomodi ed ora è diventato un mercato. Si giri dalla parte del muro che le fa più onore.[Ricerca Giuridica]
L'avvocato autore di queste frasi veniva sottoposto a un procedimento disciplinare per violazione dell’art. 5 comma primo e n. 2 del codice deontologico forense, procedimento  esitato nella sanzione disciplinare dell'avvertimento, che l'avvocato impugnava proponendo ricorso, che la Corte però rigettava [vedi Ricerca Giuridica cit.].

E' dunque, come pare di capire, l'atteggiamento generale, insieme alle parole usate, quello capace di generare quella limitazione della libertà psichica, configurabile come minaccia o condotta atta a intimorire. Ma, allo scopo di non delegittimare le frasi , è bene precisare che questa frase potrebbe essere usata anche in contesti molto diversi. Sembra quindi lecita l'interpretazione che unisce i due momenti (parole e situazione contingente) come indispensabili per generare lo stato di paura o minaccia, e non le parole da sole.
Meno comprensibile risulta la tardiva apparizione su alcuni organi di stampa. Ma forse, noi non sappiamo chi sono loro.







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