sabato 2 ottobre 2010

X. L'io è un mondo immaginario


Qual è il vero mondo dell’io? Quello nel quale l’io decide le azioni e risponde agli stimoli? In questo caso verrebbe da chiedere cos’è mai questo io?
La definizione di io corporeo è antica. Già Freud  parlava dell’io come di «un’entità corporea […] cioè l’Io è in definitiva derivato da sensazioni corporee, soprattutto dalle sensazioni provenienti dalla superficie del corpo” (1922, p. 488-489) » (Galimberti 2006).
L’idea non è quindi solo mia, di riferire l’io al corpo, anche se la terminologia inganna. Io è un termine usato più in ambito psicoanalitico e è la sua controparte in ambito psicologico. Infatti W. James distingue il sé in tre costituenti: il Sé materiale, il Sé sociale e il Sé spirituale. Il Sé materiale, anche per James, ha a che fare con il corpo e altre parti materiali della nostra vita.
Ora, se è pur vero che è possibile fare delle sottili distinzioni fra Io e Sé, soprattutto per quanto riguarda gli umani, intendo usarli qui come sinonimi, identificandoli con la consapevolezza di se stessi, con la coscienza di essere un’entità distinta dall’ambiente in cui ci si trova.
È ipotizzabile che gli animali non abbiano bisogno di una consapevolezza di sé per comportarsi come organismi indipendenti? In fondo, per un’ipotesi fatta precedentemente, è la struttura stessa del cervello che è predisposta a scaricare spontaneamente e il fatto che alcuni neuroni siano in grado di sincronizzarsi e scaricare insieme è più una proprietà del sistema che il frutto di un qualche io centralizzato.
Di solito gli animali rispondono a tutti gli stimoli presenti che percepiscono. Questo è un limite del linguaggio motorio. Non voglio invocare gli spettri del comportamentismo, dico solo che potrebbe concepirsi un sistema artificiale che risponde a tutti gli stimoli dell’ambiente (ovvio, che ricadono nel suo spettro percettivo)  e che seleziona i circuiti di uscita motoria che meglio si adattano. Già, ma come si fa a sapere quali sono le uscite motorie che meglio si adattano all’ambiente?
Qui entrano in ballo le emozioni.
Si immagini dunque un organismo qualsiasi (non sappiamo se biologico o artificiale) che deve imparare a salire le scale. Come si potrebbe far sì che le cadute rappresentino uno stimolo a modificare le proprie uscite motorie? L’organismo tenta si salire il primo gradino ma cade. Anche al secondo tentativo cade. Perché l’organismo dovrebbe imparare a salire le scale, perché, per lui, dovrebbe essere meglio salire che cadere? In fondo, potrebbe anche divertirsi di più a cadere. E così, il nostro povero organismo, potrebbe rimanere invischiato in questo continuo circolo per tutta la sua vita: alza una zampa per salire il primo gradino ma si sbilancia e cade e poi si rialza e ricomincia.
Uno dei primi indicatori dei giusti movimenti è il sistema propriocettivo. Specialmente quello che si occupa dell’equilibrio, che ci permette di sapere il nostro orientamento in uno spazio giudicato stabile. Associata all’orientamento vi è una quantità emotiva, che decide dell’intensità di risposta motoria a una certa posizione del corpo nello spazio.
Per esempio, è notoriamente difficile rovesciare un animale sulla schiena, in virtù della posizione di svantaggio in cui si verrebbe a trovare.
(continua…)

3 commenti:

  1. In effetti è divertente cadere ad ogni gradino, Paopasc. Senza farsi male, salire un gradino e poi precipitare e ricominciare tutto da capo è divertente. Quasi come leggerti.
    Perchè un organismo non qualsiasi ("Qualsiasi" a chi?!), non diciamo se biologico o artificiale, deve continuare a salire la scala? E' una Questione della Decisione, secondo me. Decidere che oltre le cose già divertenti ce ne devono essere altre, non si sa se divertenti. E proprio il Non si sa se.... Secondo me.

    B

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  2. Ciao Paolo,ci vuole uno scienziato per commentare i tuoi studi! Ahimè io non lo sono!
    I processi mentali sono così complessi ed in continuità fra loro...
    Interessante questo sviluppo

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  3. Se ci rifletti, B, è quello che facciamo un po' noi umani, abitualmente, farci inglobare dalle nostre abitudini, che potrebbero apparire ad un osservatore evoluto non più complesso dell'andirivieni delle formiche.
    Comunque, all'interno di quella cosa miserabile che è la nostra vita, non tutto è planare ma vi è a volte qualche sussulto, con l'accortezza di considerare che le emozioni, dal canto loro, pur impepando la vita, sono esse stesse soggette a piccole modifiche, diciamo così, in corso d'opera.
    E' proprio questo voler andare al di là, una sorta di resoconto della propria vita, questo "non si sa" che in realtà un po' ci aspetta, quello che alla fine ci fa scegliere di salire e non continuare a cadere in eterno.


    Cara Carla, sei troppo gentile. Dici bene, i processi mentali sono in continuità fra loro, e in prossimità del luogo dove si uniscono per diventare altro spesso non è dato sapere qual è l'uno e quale l'altro.

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