mercoledì 18 agosto 2010

Felicità emotiva


Una frase mi ha colpito nel leggere Felicità emotiva, un libro scritto a quattro mani (o meglio, parlato a due voci, dato che si tratta della trascrizione di un dialogo) dal Dalai Lama e Paul Ekman.
Tenzin Gyatzo, XIV Dalai Lama, è il leader spirituale e politico dello Stato del Tibet, costretto a vivere in esilio in India dopo l’invasione della sua terra da parte dei cinesi alla fine della seconda guerra. Ha scritto parecchi libri e è stato insignito del Nobel per la Pace nel 1989. Autorità religiosa del suo popolo e del buddismo e leader politico, accoppiata che ne ha delineato un profilo di elevato rigore morale unito a una grande curiosità scientifica e rispetto per tutte le culture. Caratteristica fondamentale e forse unica del Dalai, è il grande amore per la scienza o, per meglio dire, il grande amore per la conoscenza, che può manifestarsi, come afferma spesse volte in questo libro, anche in forma di fede religiosa. Lo stesso Paul Ekman, come altri studiosi prima di lui, rimane affascinato dalla grande curiosità di quest’uomo e dalla sua capacità di proporre concetti e riflessioni non convenzionali e profondi. E devo dire che questa sua leggiadria e passione gnoseologica traspare molto bene in questo e in altri libri.
Paul Ekman è professore emerito di psicologia alla facoltà di Psichiatria della UCSF (Università della California a San Francisco). E’ universalmente riconosciuto come il più grande studioso del linguaggio corporeo, specialmente delle espressioni facciali, di cui è stato un pioniere, sia per aver affermato l’universalità delle espressioni del viso che per aver sviluppato un sistema di riconoscimento denominato FACS (Facial Action Coding System) basato sulle modifiche anatomiche dei movimenti facciali e il F.A.C.E. (Facial Expression.Awareness.Compassion.Emotions.) sistema di riconoscimento delle emozioni. Ogni espressione facciale può essere divisa nei suoi costituenti fondamentali detti AU (action unit) che possono essere codificati e ritrovati in varie combinazioni nelle diverse espressioni facciali. Il FACS è un catalogo di questi costituenti fondamentali che rappresentano quindi ogni movimento osservabile in un’espressione facciale. Il F.A.C.E. è un sistema di riconoscimento delle emozioni che si realizza attraverso il METT (Micro Expression Training Tool) che sarebbe in pratica un addestramento al riconoscimento visivo delle emozioni correlate alle espressioni del viso che si realizza con doppio training, il primo con lo studio al rallentatore delle espressioni facciali e il secondo con l’osservazione di un’espressione facciale per una durata quasi al di sotto della rilevazione cosciente. A questoindirizzo c’è una dimostrazione gratuita del secondo tipo di training.
Il libro, Felicità emotiva (Sperling & Kupfer 2010) parla appunto di emozioni, positive e negative, e di scienza e religione. La frase che mi ha colpito, che è di Ekman, e per sua stessa ammissione fa parte della categoria delle opinioni o delle affermazioni speculative, è questa (neretto mio):
La maggior parte degli scienziati ritiene che gli stati d’animo abbiano origine prevalentemente da fattori che chi li sperimenta non può capire; potrebbe anche trattarsi di cambiamenti neuro-ormonali che non sono direttamente legati agli eventi di cui si sta facendo esperienza. Peraltro, alcune di queste situazioni possono scatenare un determinato stato d’animo. Per esempio, quando non abbiamo dormito a sufficienza, siamo più inclini a una generale irritabilità, oppure ci sentiamo la testa leggera e ridiamo di cose che normalmente non troveremmo per niente comiche. […]
In merito alla privazione del sonno, penso che se una persona non ha riposato a sufficienza e viene sottoposta a provocazioni o frustrazioni, possa diventare di umore irritabile e rimanerci per ore. Se invece c’è qualcosa che la diverte, potrebbe reagire esattamente al contrario. In sostanza, l’emozione suscitata in una persona deprivata del sonno finisce per condizionarne lo stato d’animo.” (Dalai Lama, Paul Ekman, 2010, pp. 12-14)

5 commenti:

  1. Il sonno può sembrare ristoratore, anzi rigeneratore, tuttavia si trascura la funzione dell'attività onirica che è la definitiva artefice di un'attesa "felicità emotiva" e più concretamente di un benessere vitale. Finalità che si alterna a disattese o addirittura a totale negazione del benessere in ogni senso. Così è se si vuole indagare a fondo il possibile meccanismo dell'origine dei fattori degli stati d'animo che lo sperimentatore non si spiega. Anche i cambiamenti neuro-ormonali, che non sono direttamente legati agli eventi di cui si sta facendo esperienza, possono trovare relazione - mettiamo - con attività oniriche trascorse.

    Insomma l'attività onirica può considerarsi il daffare in un certo laboratorio dove l'inconscio, in rapporto alla realtà conscia dalla quale trae supporto, prepara progetti a breve, a medio e a lungo termine. Progetti che giorno per giorno vengono attuati e continuamente revisionati in funzione del "materiale" presente nei condizionamenti locali, personali e no. Ed il benessere o al contrario è su questa strada. C'è pure un genere di persone che invece predilige l'esperienza della sofferenza che non è solo quella della larga casistica dei mistici della Chiesa o altro. Tuttavia anche questi casi rientrano sempre nel "clima" preparatorio dell'attività onirica.
    Naturalmente ho espresso la mia opinione.

    Dal lato della scienza interessa, per esempio, esaminare l'apporto dello studio sulla vita onirica di uno psichiatra e psicoanalista statunitense, Meltzer Donald (1922 – 2004).
    Il suo apporto fu fondamentale nel campo della psicoanalisi infantile e degli adolescenti, ma si estese a tutto il campo della psicoanalisi.
    Uno dei tanti suoi trattati in merito, "La vita onirica. Una revisione della teoria e della tecnica psicoanalitica",
    Meltzer si propone di rivisitare la teoria dei sogni a partire dal pensiero di Freud, passando attraverso l'esame dell'opera di Melanie Klein, per approdare alla svolta di Bion, che articola tra loro emozione, pensiero e linguaggio.
    Bion attribuisce al sogno un ruolo cruciale nella trasformazione dell'emozione, che pone a fondamento del significato dell'esperienza, in una forma simbolica che può essere pensata e comunicata a sé e agli altri. La vita onirica, lungi dall'essere un prodotto secondario dell'attività mentale (il guardiano del sogno freudiano), viene ad essere il luogo dove si genera il significato, dove si creano forme simboliche adeguate a rappresentare l'esperienza emotiva e quindi la verità.
    Alternando capitoli teorici, in cui si riferisce alla ricerca epistemologica, filosofica e linguistica moderna (Wittengstein, Cassirer, Suzanne Langer, Noam Chomsky) ad altri clinici, Meltzer esplora la relazione tra sogno e origini del pensiero, del linguaggio verbale, delle azioni per concludere con il tema a lui caro della relazione tra esperienza emotiva e esperienza estetica.
    Meltzer chiude questo libro ribadendo la sua convinzione, confortata da una esperienza clinica particolare ('supervisione di autoanalisi') che il sogno rappresenti il luogo della crescita mentale. Viene da chiedersi quanto, passando per tutte altre vie, il pensiero postkleiniano sia venuto avvicinandosi a quello junghiano

    Per gli antichi Greci il sonno è l’opposto della veglia, come la morte lo è della vita: ma proprio in tale duplice polarità risiede la natura ambivalente dell’esperienza onirica, in quanto cessazione dell’attività cosciente e, al tempo stesso, approccio soprannaturale ai misteri dell’universo. Secondo il filosofo Eraclito, "chi è desto possiede un mondo unico e comune, ma nel sonno ciascuno si volge a un suo mondo particolare.

    Gaetano

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  2. Se l'osservazione di Ekman fosse vera, e cioè che la deprivazione di parte del sonno rende più suscettibili alla modifica emotiva, ci si dovrebbe domandare se, e quale, parte del sonno è demandata alla riproduzione di tutte le emozioni, una sorta di riazzeramento o riequilibrio notturno delle emozioni.
    L'idea che ho io dell'inconscio, caro Gaetano, è che si tratta quasi della stessa cosa del conscio, solo che non c'è di mezzo il sè, l'io, e così non sappiamo di sapere. Questo significa che l'inferenza è un attributo del sistema linguistico o strutturale e non del sè? cioè, noi potremmo anche spiegare la congettura di Goldbach nel nostro inconscio, solo che il problema sarebbe come farla emergere alla coscienza. io direi che proprio in questa emersione sta il punto nodale e il tratto distintivo dell'umano. questa emersione non può avvenire, a mio dire, senza trasformazione del segnale. il passaggio attraverso il filtro del sè, oltre a rendere il soggetto consapevole di questo nuovo mondo modifica in maniera irreversibile la conoscenza (inconscia) antecedente.
    quel mondo inconscio e il mondo dei sogni hanno qualcosa in comune?
    vedi quante riflessioni stimola il tuo commento, caro Gaetano?

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  3. Se l'osservazione di Ekman fosse vera, e cioè che la deprivazione di parte del sonno rende più suscettibili alla modifica emotiva, ci si dovrebbe domandare se, e quale, parte del sonno è demandata alla riproduzione di tutte le emozioni, una sorta di riazzeramento o riequilibrio notturno delle emozioni.
    L'idea che ho io dell'inconscio, caro Gaetano, è che si tratta quasi della stessa cosa del conscio, solo che non c'è di mezzo il sè, l'io, e così non sappiamo di sapere. Questo significa che l'inferenza è un attributo del sistema linguistico o strutturale e non del sè? cioè, noi potremmo anche spiegare la congettura di Goldbach nel nostro inconscio, solo che il problema sarebbe come farla emergere alla coscienza. io direi che proprio in questa emersione sta il punto nodale e il tratto distintivo dell'umano. questa emersione non può avvenire, a mio dire, senza trasformazione del segnale. il passaggio attraverso il filtro del sè, oltre a rendere il soggetto consapevole di questo nuovo mondo modifica in maniera irreversibile la conoscenza (inconscia) antecedente.
    quel mondo inconscio e il mondo dei sogni hanno qualcosa in comune?
    vedi quante riflessioni stimola il tuo commento, caro Gaetano?

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  4. Il sonno può sembrare ristoratore, anzi rigeneratore, tuttavia si trascura la funzione dell'attività onirica che è la definitiva artefice di un'attesa "felicità emotiva" e più concretamente di un benessere vitale. Finalità che si alterna a disattese o addirittura a totale negazione del benessere in ogni senso. Così è se si vuole indagare a fondo il possibile meccanismo dell'origine dei fattori degli stati d'animo che lo sperimentatore non si spiega. Anche i cambiamenti neuro-ormonali, che non sono direttamente legati agli eventi di cui si sta facendo esperienza, possono trovare relazione - mettiamo - con attività oniriche trascorse.

    Insomma l'attività onirica può considerarsi il daffare in un certo laboratorio dove l'inconscio, in rapporto alla realtà conscia dalla quale trae supporto, prepara progetti a breve, a medio e a lungo termine. Progetti che giorno per giorno vengono attuati e continuamente revisionati in funzione del "materiale" presente nei condizionamenti locali, personali e no. Ed il benessere o al contrario è su questa strada. C'è pure un genere di persone che invece predilige l'esperienza della sofferenza che non è solo quella della larga casistica dei mistici della Chiesa o altro. Tuttavia anche questi casi rientrano sempre nel "clima" preparatorio dell'attività onirica.
    Naturalmente ho espresso la mia opinione.

    Dal lato della scienza interessa, per esempio, esaminare l'apporto dello studio sulla vita onirica di uno psichiatra e psicoanalista statunitense, Meltzer Donald (1922 – 2004).
    Il suo apporto fu fondamentale nel campo della psicoanalisi infantile e degli adolescenti, ma si estese a tutto il campo della psicoanalisi.
    Uno dei tanti suoi trattati in merito, "La vita onirica. Una revisione della teoria e della tecnica psicoanalitica",
    Meltzer si propone di rivisitare la teoria dei sogni a partire dal pensiero di Freud, passando attraverso l'esame dell'opera di Melanie Klein, per approdare alla svolta di Bion, che articola tra loro emozione, pensiero e linguaggio.
    Bion attribuisce al sogno un ruolo cruciale nella trasformazione dell'emozione, che pone a fondamento del significato dell'esperienza, in una forma simbolica che può essere pensata e comunicata a sé e agli altri. La vita onirica, lungi dall'essere un prodotto secondario dell'attività mentale (il guardiano del sogno freudiano), viene ad essere il luogo dove si genera il significato, dove si creano forme simboliche adeguate a rappresentare l'esperienza emotiva e quindi la verità.
    Alternando capitoli teorici, in cui si riferisce alla ricerca epistemologica, filosofica e linguistica moderna (Wittengstein, Cassirer, Suzanne Langer, Noam Chomsky) ad altri clinici, Meltzer esplora la relazione tra sogno e origini del pensiero, del linguaggio verbale, delle azioni per concludere con il tema a lui caro della relazione tra esperienza emotiva e esperienza estetica.
    Meltzer chiude questo libro ribadendo la sua convinzione, confortata da una esperienza clinica particolare ('supervisione di autoanalisi') che il sogno rappresenti il luogo della crescita mentale. Viene da chiedersi quanto, passando per tutte altre vie, il pensiero postkleiniano sia venuto avvicinandosi a quello junghiano

    Per gli antichi Greci il sonno è l’opposto della veglia, come la morte lo è della vita: ma proprio in tale duplice polarità risiede la natura ambivalente dell’esperienza onirica, in quanto cessazione dell’attività cosciente e, al tempo stesso, approccio soprannaturale ai misteri dell’universo. Secondo il filosofo Eraclito, "chi è desto possiede un mondo unico e comune, ma nel sonno ciascuno si volge a un suo mondo particolare.

    Gaetano

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