lunedì 7 febbraio 2011

Di chi crede e chi non crede # 1

Spesso il credente trova scampo alla tristezza che origina dalle avversità imputando gli eventi avversi a prove da superare. Egli non smette di amare e credere solo perchè colui che ama e colui a cui crede gli causa un dolore.
Questo fatto è, nella sua semplicità, straordinario.
Generalmente, se qualcuno ci danneggia, è sulla strada buona per guadagnarsi il nostro risentimento. E' una reazione normale. E' logico che avvenga così: provenga dal mondo animato o da quello inanimato, il riconoscimento e la paura associati a chi ci causa dolore serve a salvarci la vita. Se coloro che perdonano sempre e comunque dovessero perdonare tutti i loro carnefici, probabilmente finirebbero estinti. In realtà, non si tratta di perdono ma di accettazione senza risentimento, ma ai fini della sopravvivenza sarebbe lo stesso: pensate a  topolini che continuino, nonostante le morti tra i compagni, ad amare i gatti. 
Il fatto che i credenti non si siano estinti ma anzi siano proliferati dipende dal fatto che colui a cui si crede non è poi così cattivo. Egli è cattivo solo nella misura in cui lo sono gli uomini e i fenomeni naturali. Solo che di questi ultimi due, anche il più convinto dei credenti, mantiene memoria, nel senso che ricorda e impara. Spesso a evitarli.
La comprensione del credito di fiducia che il credente fa verso colui a cui crede è possibile solo analizzando chi non crede. Chi non crede spesso non trova scampo alla tristezza che origina dalle avversità, indirizzandola verso altri uomini quando è il caso oppure indirizzandola proprio verso il caso, che è la versione più democratica di colui al quale alcuni credono.
La differenza sta in questo, statisticamente parlando. Chi crede accetta gli eventi e chi non crede non li accetta. Non che questo cambi, sovente, il risultato ma, dall'endocrinologia sappiamo che uno stress continuo è fonte di malattie.  Trovare un sistema per accettare l'inaccettabile è, a mio avviso, un discreto risultato, in ottica di sopravvivenza. 
Quali sono i portati di questo atteggiamento? 
Parliamo di mondi.
Portare il mondo reale, delle calamità, nel mondo immaginario, di colui a cui si crede, comporta la rinuncia a dover scegliere. Il mondo è così, e portandolo da quello reale a quello immaginario ne si attenua la portata nociva. Il mondo immaginario è il mondo che vogliamo, dove tutto è previsto. Questo aspetto, la completa previsione, libera dallo stress.
Il contrario avviene in chi porta il mondo immaginario nel mondo reale. E' quello che capita a chi cerca una spiegazione causale a fenomeni casuali. Siccome il caso non è accettabile dal punto di vista affettivo bisognerà dargli un nome e un cognome, e questo contribuisce a personificarlo ancora di più.
Si dirà: tutto questo per spiegare chi crede e chi non crede? No, molto di più.














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