Si sa che il modo migliore di dividersi una torta tra due amici è quello di usare la strategia del gioco dell'ultimatum. Si svolge così: uno dei due amici divide la torta, l'altro giudica se la divisione gli sta bene. Se gli sta bene ognuno prende la sua parte così come l'aveva divisa il primo, se non gli sta bene nessuno dei due prende niente.
Ora, va da sè che al posto di due amici si possono avere anche due nemici o due che si sono indifferenti. Poco cambia.
Questo ragionamento mi viene dopo aver sentito Ferrara affermare che i magistrati non possono fare comizi. Grosso modo è questo il pensiero. E' un modo di vedere le cose condivisibile o meno, che si presta ad analisi e puntualizzazioni, non è questo che mi interessa definire. Vorrei provare a capire qual è la relazione tra poteri esecutivo e legislativo da una parte e potere giuridico dall'altro. Pongo due terzi dei poteri da una parte e l'altro dall'altra solo perchè sembra essere questa la vulgata, per ammissione di molti dei protagonisti dei due terzi.
Se fosse presente una situazione del genere di quella del gioco dell'ultimatum, che viene generalmente considerata improntata all'equità, penso che nessuno avrebbe niente da ridire.
La strategia del gioco dell'ultimatum è basata sul presupposto che la capacità di distinguere il giusto dall'ingiusto sia universale, specialmente se si parla di questioni pratiche, come la divisione di una torta, che tutti possono comprendere e la cui incomprensione, soprattutto, lascerebbe entrambi a pancia vuota.
Legislativo ed esecutivo scrivono le leggi, il giuridico le applica. Questa è grossolanamente la ripartizione dei poteri. I magistrati non possono scrivere le leggi perchè poi le devono applicare. Si potrebbe dire: vedi, quel magistrato voleva incastrare quel tale e si è scritto una legge apposta. Per questo motivo il magistrato la legge la può solo applicare. Dall'altra parte, il parlamento e il governo le leggi le possono e le devono scrivere, ma non le possono applicare. Ma perchè non le possono applicare? Anche se non le applico, posso sempre scrivere una legge contro qualcuno che mi sta antipatico: se non sarò io ad applicarla sarà sempre qualcun altro, cioè un magistrato, che dovrà gioco forza applicarla, e io sarò ugualmente soddisfatto.
La relazione tra legislativo-esecutivo e giuridico sarebbe dunque sbilanciata. Sarebbe come se nel gioco dell'ultimatum chi divide per primo la torta obbligasse il secondo ad accettare quella divisione. Il gioco non sarebbe più equo. Se vogliamo che sia equo dobbiamo inserire una clausola: la legge può non essere applicata dal magistrato se non risponde ai requisiti di un decalogo (la Costituzione) preparato da tutti quanti insieme (legislativo-esecutivo-giuridico. Non è proprio così. Essendo però la Costituzione una legge delle leggi e intervenendo sulle leggi più che sui singoli cittadini, può essere considerata universale). Questo decalogo fa le veci della possibilità del secondo giocatore del gioco dell'ultimatum di scegliere se la divisione fatta dal primo giocatore gli sta bene. In questo caso è la Costituzione che fa le veci, permettendo al magistrato di dire: questa legge è in contrasto con la Costituzione, non posso applicarla.
Ma torniamo all'interrogativo iniziale: perchè esecutivo e legislativo non possono applicare la legge che scrivono? Perchè potrebbero scrivere una legge che dice: questa legge si applica a tutti fuorchè a noi e, potendolo fare, applicarla. Si vede bene che questo gioco non sarebbe equo. Mentre il magistrato deve sempre applicare la legge che passa il vaglio Costituzionale, esecutivo e legislativo non hanno obblighi particolari nello scrivere leggi: possono scrivere anche leggi incostituzionali, al limite. A quel punto, però, interviene l'equità del gioco: la Costituzione, che fa le veci del giuridico, dice che la legge si può o non si può applicare. Come nel caso del gioco dell'ultimatum classico, si vuole evitare che il primo giocatore, quello che divide, prenda tutto per sè: è la divisione dei poteri, che previdenti padri legislatori hanno previsto e codificato.
Ora, come collegare tutto questo bel ragionamento con i comizi dei magistrati?
Perchè un magistrato che fa un comizio rispetto a uno che non lo fa, a parità di pensiero politico dei due, dovrebbe essere meno imparziale? Siccome tenere comizi non modifica il proprio pensiero più del non tenerli, il problema potrebbe stare in questo: esecutivo e legislativo forse sentono questa cosa dei comizi dei magistrati come una invasione di campo, un po' come se i magistrati, che pure possono scegliere se accettare la divisione della torta, dicessero: guarda che a me non piace come hai intenzione di dividere la torta. Visto e considerato che hanno il potere (mercè la Costituzione) di scegliere di non applicare la legge, il comizio lo si potrebbe considerare un'indebita ingerenza. Infatti, nella divisione della torta, dobbiamo considerare che anche una divisione non perfettamente 50 e 50 potrebbe essere considerata equa. L'ingerenza da comizio dei giudici quindi potrebbe servire a modulare quella parte di divisione variabile che può essere giocata dal primo giocatore, pur rimanendo all'interno dell'equità.
E' dunque psicologico, più che effettivo, l'effetto del comizio del magistrato? Il magistrato che non fa comizi, infatti, ma che la pensa esattamente come quello che fa comizi, alla fine agirà e giudicherà come questi, quando sarà chiamato a svolgere il suo lavoro. E allora che fare? Impedire anche i pensieri?
Io penso che l'effetto di mancato gradimento dei comizi dei magistrati da parte dei poteri esecutivo e legislativo sia quello che segue al mancato rispetto di tutte le regole di una partitella a calcio parrocchiale: si chiede l'assoluta parità di condizioni, per giocare. Ma la parità consiste anche in questo: la legge scritta dall'esecutivo-legislativo vale per tutti, anche per sè, altrimenti non passa il vaglio e chi applica la legge non può scegliere quale legge applicare e quale no (all'interno di tutte quelle che passano il vaglio della Costituzione).
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