Com'è imbarazzante la via della notorietà! Vi è chi, in poco tempo, diventa personaggio, chi si atteggia a maestro di pensiero e viene ritenuto tale e chi, qualunque cosa tocchi, diventa oro. E poi, tra soliti noti, tra famosi, ci si conferisce autorevolezza a vicenda. Il bello è che, improvvisamente, se qualcuno di quelli che contano (non mi sbilancio a dire se dotato di autorevolezza o autorità) ti assegna una patente di credibilità, questa ti si attacca saldamente addosso, al di là della situazione oggettiva.
I ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Non è esente nessun settore dell'umana attività da questa considerazione della cosiddetta saggezza popolare, forse vera. E così, quelli famosi diventano sempre più famosi, brillano sempre di più, ed è noto che se sei un lumicino, quando ti trovi vicino ad una luce abbagliante sparisci.
Un'alternativa all'autocommiserazione è l'ipotesi che se non vieni notato è perchè non vali molto e che la giusta notorietà arride sempre e solo i meritevoli.
Però...
Il titolo di questo articolo richiama quello di un libro di Raimon Panikkar, La porta stretta della conoscenza. Per lui,
la porta della conoscenza è stretta, perchè richiede una purezza di cuore non facile da raggiungere: è l'esperienza piena della Vita, l'esperienza mistica, che è un dono offerto a tutti.
La sua risposta alla domanda è: liberarsi dei dogmatismi, sia della ragione che della fede, per unire i due generi di conoscenza. Dialogo interculturale, lo chiamano. Bene, è una cosa che spesso grandi pensatori e intellettuali di qualsiasi disciplina invocano: dialogo tra le culture, quella scientifica e quella umanistica, come metafora del dialogo, più ampio e di ancora più grande portata, tra civiltà.
E dunque, se così molti intellettuali si sforzano di favorire il dialogo interculturale, forse significa che il modo di atteggiarsi delle due culture, utilizzato fino ad ora, è sbagliato. Sempre ammesso che non siano in errore i fautori del dialogo. E così, se sono in errore quelli che hanno favorito la separazione, questo potrebbe significare che l'intero settore non è esente da difetti e la stessa conclusione potremmo trarla considerando in difetto i dialoganti.
In realtà, anche se con debole analogia, questo mi dice che nessun settore dell'umana conoscenza è esente da difetti, il che è un'osservazione ampiamente banale. Ma mi serve per criticare un aspetto elogiato, indipendentemente dalla propria collocazione intellettuale, da tutti: la nozione di merito.
Chi merita avrà, presto o tardi, la sua ricompensa. E' chiaro che senza portare esempi concreti si rischia di fare del qualunquismo pure, non avendo voglia di sobbarcarmi la ricerca di fonti citerò un solo esempio che, secondo me, ha una portata piuttosto generale: la fuga dei cervelli dall'Italia.
Quello che spesso si sente dire dagli addetti ai lavori, quello che lamentano le intelligenze più sincere è proprio questa difficoltà di emergere per i giovani, di guadagnarsi uno spazio. Questo vale in tutti i settori, da quello accademico a quello politico.
Questo potrebbe significare che l'avanzamento, genericamente inteso, non passa affatto o solo attraverso il merito bensì attraverso le pubbliche relazioni, attraverso le conoscenze personali. Entrare a far parte di una ristretta cerchia è il viatico per la propria carriera. Purtroppo questo sistema non riguarda solo settori ben precisi, là dove questi si uniscono alle questioni economiche ma anche molti altri ambiti: è forse un portato delle abitudini o della pigrizia intellettuale del nostro paese, o forse una più ampia conseguenza degli atteggiamenti mentali propri di un popolo.
Infine, due parole di critica anche sui cosiddetti meritevoli bistrattati.
Un pessimo rilevatore del proprio valore è la consapevolezza di aver qualcosa da dire. Infatti, pur essendo genuina questa sensazione, non è detto che interpreti qualcosa di valore da dire, o qualcosa di meritevole di più ampia diffusione o di non già detto da altri prima di te. E' dunque un pessimo strumento di rilevazione la sensazione personale di aver fatto grandi scoperte. Un buon metodo consisterebbe nel renderle pubbliche e sperare in una lettura critica e spassionata.
Non so rispondere compiutamente alla domanda implicita nelle ultime considerazioni, che è poi quella dell'inizio: quale caratteristica influenza maggiormente il successo di un'idea, il suo valore intrinseco o le relazioni sociali del proponente?
Per non lasciarvi con l'amaro in bocca vi propongo un'anticipazione di ancora più amare considerazioni: nel suo libro, Panikkar parla, a un certo punto, di Sete di autenticità e cita l'invito platonico a essere noi stessi -esthe su. Devo dire che, alle volte, non so esattamente di cosa si parli quando si utilizzano certi concetti e soprattutto certi termini come autenticità, buoni a definire l'originalità di un manufatto ma piuttosto fumosi quando riferiti a enti immateriali. Così ci provo a far confusione anch'io, ragionandoci.
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