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Ho visto su Youtube alcuni pezzi dell'intervento di ieri di Adriano Celentano al Festival di Sanremo.
L'intento di Celentano è elevato, l'afflato è quello filosofico, lo spirito che lo anima è religioso, anche se non clericale. Non riesco però a comprendere la sua fissazione con Avvenire e Famiglia Cristiana che vorrebbe trasformare in strumenti di catechesi, cura che sarebbe senz'altro peggiore del male.
L'idea di Dio di Celentano è mistica, come detto, più che canonica. E' l'esigenza e la necessità di un Dio buono, che mal si accorda con quello che accade nel mondo e soprattutto con quello che accade dentro e intorno alla chiesa.
E' un pensiero un po' ingenuo anche se comunque accettabile. Il meccanismo presuppone l'interiorizzazione del messaggio di Gesù, attraverso le trasformazioni di alcuni teologi o santi che più di altri ne hanno interpretato l'aspetto pauperistico e profondo, da utilizzare come guida al cambiamento personale in senso di maggiore umanizzazione.
Questo meccanismo di filtrazione del vissuto attraverso il pensiero religioso quasi puro dovrebbe, e forse potrebbe anche, nell'intento di Celentano, agire come elemento di trasformazione delle persone. Se non è possibile migliorare gli uomini per mezzo della buona politica e delle buone leggi valga allora l'auto-educazione, il miglioramento individuale attuato nel solco di una idealizzata figura del redentore.
Il che non è un male, si badi, ma si presta a rischi. Ho spesso affermato che l'afflato morale dovrebbe far parte della dotazione di un buon politico. In entrambi i casi, nel caso ipotizzato da Celentano e nel mio, se non si è dotati di un forte spirito critico e autocritico si rischia un fanatismo della bontà che, come ogni fanatismo, può oscurare la ragione.
Noi lo vediamo spesso: uomini di chiesa, anche in perfetta buona fede, si scagliano con violenza contro pratiche che l'ortodossia religiosa qualifica come non confacenti. E questi uomini di chiesa non fanno il minimo sforzo per comprendere queste altre realtà.
Vi è dunque bisogno di temperare le proprie opinioni perchè la verità non è un requisito solo nostro. La verità può sfuggirci, anche se siamo le migliori persone del mondo e, sulla scia di ciò che crediamo, possiamo a volte fare più male che bene.
Per questa ragione è profondamente sbagliato desiderare che Avvenire e Famiglia Cristiana chiudano. Quand'anche fossero messaggeri di sole notizie fasulle (e non lo sono, chiaramente), chi ci dice che chi li sostituisce non continuerebbe a propinarcele?
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Obiettivamente, utilizzare la Bibbia e il Vangelo come strumenti di guida senza il filtro dei secoli che ci separano da quei tempi mi sembra utopistico e sbagliato. La visione presentata dal catechismo è una visione edulcorata e idealizzata del comportamento del buon cristiano. Ha di sicuro un impatto sulle coscienze e lo ha avuto sulla storia dell'umanità, ma occorre lasciar agire la ragione, del resto invocata anche dall'attuale papa. La religione, nonostante si pensi il contrario, si plasma e modifica sulle scelte e le preferenze delle più alte gerarchie della chiesa, che creano il canone.
Pensare di sostituire due testate giornalistiche con il libro delle orazioni mi sembra, come dicevo, non solo utopistico e sconsigliabile ma francamente nocivo. Posto che nessuno ha la bacchetta magica della verità, questa cosa così effimera ma così ricercata la si trova soltanto nella pluralità delle voci. Anche ora, che pure le voci che parlano sono tante, non ci facciamo guidare dalla ragione dei discorsi ma dalla passione dello schieramento.
Com'è possibile pretendere che la chiusura di due quotidiani di ispirazione cristiana e la loro sostituzione con il libretto del catechismo cambi le nature degli uomini? Io penso che accadrebbe quello che già accade: una formale e ipocrita adesione pubblica ai precetti del buon cristiano, e una effettiva e privata violazione.
Molto meglio una buona classe politica. Siamo sempre fanciulli, anche a cinquant'anni, e sempre guardiamo verso l'alto per giustificare i nostri comportamenti. Agisca più che predicare, Celentano, e farà sicuramente più bene di mille parole. Noi siamo spettacolari nell'accordarci a parole, operazione poco costosa. Una classe politica che abbia delle venature di etica può temperare la naturale tendenza all'egoismo più becero e può essere più educativa di tante leggi e belle parole.
Detto questo, però, sono sempre favorevole a che si parli e per questo non critico le parole di Celentano, al di là del fatto di condividerle o meno. Quello cui aspira il molleggiato è qualcosa che non si ottiene con la lettura bisettimanale delle parabole ma con una formazione culturale e umana continua. Ci vuole anche un po' di genetica perchè chi nasce stronzo (scusate il francesismo) la cultura gliela devi inculcare a librate in testa, e poi non serve. Però, come detto, è solo dal confronto culturale e dal portare al minimo i precetti che non si mettono in discussione che può venire un miglioramento della natura umana desiderabile da tutti.
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