Chissà se il senso del discorso che Tomasi di Lamepdusa fa fare al suo don Fabrizio, cambiare tutto affinchè nulla cambi, può essere letto al contrario, mantenendo intatta la sua forza metaforica ma mutando completamente significato: niente cambi affinchè tutto cambi.
Mi viene infallibilmente in mente questo discorso assistendo in questi giorni alle grandi manovre dei partiti e movimenti per formare un Governo ed eleggere il Capo dello Stato, manovre che alla fine riportano i giocatori esattamente al punto di partenza: vuoi tu Napolitano ricandidarti al Quirinale?
Ma la risposta purtroppo è no: non cambiare nulla affinchè nulla cambi. Questo è il motto dei nostri politici.
Quello che molti chiamano "Re Giorgio" quest'oggi ha preso una decisione che gli fa onore, anche se è una diretta manifestazione dell'impotenza della nostra democrazia, e non solo per la parità delle forze che si affrontano. Constatata l'impossibilità di addivenire ad un accordo Napolitano, con senso del dovere, accetta una seconda candidatura, per non gettare nel ridicolo un intero paese, nella speranza che sia finalmente risolutiva. L'incapacità dei politici di accordarsi sul candidato al Quirinale è chiaramente alimentata dalla tappa conseguente, e cioè la possibilità di formare un governo. Con questa scelta, del resto, il centrosinistra si candida solamente ad un governissimo con il centrodestra e probabilmente, per la distanza tra i due schieramenti (almeno a quel che sembra ma, a sentire gli editoriali di Travaglio, le parti potrebbero essere più vicine di quel che si pensa), di tutte le riforme necessarie all'Italia che non siano un mero compitino mal fatto, non se ne farà niente. Troppo distanti, a parole, i due schieramenti. Altri, come La Russa, ipotizzano che l'elezione di Napolitano preceda il presidenzialismo, che uno come Cacciari ritiene di fatto inaugurato dall'attuale inquilino del Colle.
La spaccatura sul candidato al Quirinale ha finito per nuocere a un solo partito, che infatti vede presidente e segretario (Bindi e Bersani) dimissionari. La possibile intesa con il PdL finirà con il lacerare definitivamente questo partito che prima o poi dovrà separare le sue due inconciliabili anime: gli ex democristiani e gli ex comunisti.
Per come la vedo io, una sinistra simile a una socialdemocrazia matura, di tipo nord europeo, insieme al M5S potrebbe costituire, nel prossimo futuro, l'alternativa al centrodestra e a un nuovo centro che accoglierà Monti e i transfughi del Pd. Per il Partito Democratico sarebbe una rinascita, potrebbe accogliere i tanti micropartiti di sinistra e darsi una caratura internazionale, rifuggendo da una visione vetero comunista della società, ma anche da una vetero cristiana, con l'importante contributo che potremo definire anticasta del M5S.
Un tripolarismo, insomma. Quanto al presidenzialismo, non so se è la soluzione, quel che è certo è che l'elezione del Capo dello Stato la possono pure fare i cittadini, senza che cambino del resto le sue prerogative: cambiare tutto, affinchè nulla cambi.
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