Sulla stampa di oggi si sembra smentire il fatto che i vertici politici, contrariamente a quanto affermato, non fossero a conoscenza dell'espulsione di Alma Shalabayeva e della figlia Alua [Corriere, Repubblica].
Ma, che cosa fosse il Kazakistan, quello lo sapevano anche senza ricevere informative? Il paese nel quale è stata espulsa la donna kazaka e sua figlia, moglie e figlia di un dissidente, è quello nel quale la polizia spara sugli operai che scioperano per salari e condizioni di vita migliori, uccidendo 16 persone e ferendone centinaia -oltre al fatto che chi protesta poi perde il diritto di voto- [Limes]; è quel paese accusato di praticare la tortura [Amnesty], ma anche di trattamenti inumani dei detenuti, soprattutto i dissidenti [Amnesty], o di reprimere la libertà di parola [Human Right Watch], o di essere uno dei paesi più corrotti, che ricovera in una clinica psichiatrica i giornalisti che ne parlano [Human Right Watch], o di soffocare l'opposizione interna imprigionandone i leader politici [Human Right Watch] e nel quale il presidente vince con percentuali superiori al 90%.
Questo è il paese nel quale è stata espulsa la moglie di colui che viene definito dalle autorità kazake un dissidente. Servirà il ritiro del provvedimento di espulsione per garantire, non dico il ritorno in Italia, ma un trattamento umano di Alma Shalabayeva? E fino a quando, per sempre o fino a quando sarà presente l'attenzione dei media?
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