Se osservo macroscopicamente il susseguirsi delle varie correnti artistiche noto un sostanziale percorso tendente, in un primo tempo, a raggiungere la perfezione della riproduzione figurativa, la conquista della tridimensionalità, della presenza fisica dei personaggi, della loro collocazione prospettica, della sfumatura dei contorni e, una volta raggiunta, quasi come alimentati da una smania che vuole sempre scoprire cose nuove, ecco che si passa a rappresentare gli elementi fisici che concorrono a formare la visione così come sono in realtà, nudi, non mediati dalla ricostruzione cerebrale e poi, dopo questo, si cerca di riprodurre non solo la realtà al di fuori di noi “così com’è” ma “così come la vede ognuno di noi”, deformata dalle nostre emozioni.
E così via, sempre alla ricerca di qualcosa in più, con il retaggio di quanto già è stato investigato, e con la certezza che ancora tanto c’è da scoprire.
In ultimo poi, esplorato sia il mondo iconico che quello concettuale ecco apparire lo spunto a una nuova realtà, di cui questa volta è interprete lo spettatore, con l’artista che diventa mediatore tra una sua, a volte, inconsapevole conoscenza e il pubblico che osserva. Lo spettatore fissa l’opera d’arte come un fenomeno della natura, e anche se non lo comprende dal punto di vista fisico (il fenomeno naturale) pure ne è affascinato, viene stimolato nel profondo, ne ottiene un coinvolgimento emotivo, che è quello che cerca l’artista.
Ma, c’è un limite all’espressione artistica? Mi spiego meglio: c’è un limite all’espressione della rappresentazione artistica? C’è, cioè, un limite alle cose, nuove, che l’arte può scoprire sulla relazione con l’oggetto percepito?
È chiaro che la storia dell’arte contemporanea non è un unico flusso compatto che vede gli artisti proporre e ricercare le medesime sensazioni nell’arte. Pure una tendenza generica dall’iconico all’aniconico e, in mezzo a questa, dal concettuale all’emozionale, sembra esserci. Sembra quasi l’esplorazione di modi diversi di vedere la realtà, via personale alla comprensione della natura, e nel far questo non si può emulare chi ci ha preceduto, semmai citarlo, ma comunque sempre adottando un punto di vista diverso.
Allora, questa lecita ricerca continua, che vorrei per un attimo paragonare a quella esistente per esempio nel mondo della ricerca scientifica, è come quest’ultima destinata a un’innovazione costante, al susseguirsi delle teorie con le nuove che sostituiscono le vecchie, in una sempre più approfondita conoscenza dei fenomeni naturali, oppure l’arte, diversamente dalla scienza, riconosce un limite a quel mondo cognitivo più basato sull’estro individuale, quasi a significare che il processo individuale di conoscenza emotiva è più limitato del mondo naturale, di cui del resto fa parte?
Per esempio, Elisabeth B. Merrill (E.B. Merrill 1987) nel suo Art styles as reflections of sociopolical complexity, parla di una relazione tra complessità sociale e complessità nell’arte, e cita un lavoro di Fisher (1961) sui pellerossa Shoshone e sul cambiamento delle decorazioni dei loro prodotti da prima a dopo il contatto con gli europei, nel passaggio da una società egalitaria a una gerarchica. Anche i risultati di Barry (1952, 1957) inducono a considerare la severità della socializzazione come elemento che favorisce la complessità artistica.
Ma non solo a livello di interazione artista-società si manifesta questa tendenza alla complessità. Uno studio su Jackson Pollock, il famoso pittore astrattista dell’action painting, che dipingeva schizzando il colore con i suoi pennelli sopra le enormi tele stese a terra, ha dimostrato che questi quadri non sono semplicemente “astratti” ma presentano le stesse caratteristiche di frattalità che hanno fenomeni naturali come le nuvole, le scariche elettriche, i vasi sanguigni nella retina e così via (Fig. 1), con un aspetto interessante e cioè quello di avere una dimensione frattale D compresa tra 1 e 2
1 < D < 2
che sembra essere quella che presenta le migliori caratteristiche estetiche.
Fig. 1
(tratto da R.P. Taylor et alii, 2003)
In Fig. 2 si osservano come queste proprietà presenti nei frattali naturali siano simili a quelli presenti nei quadri di Pollock.
Fig. 2
(tratto da R.P. Taylor et alii, 2003)
Anche nella musica è rilevabile questo collegamento tra complessità e maggiore attivazione delle onde cerebrali nelle aree della corteccia prefrontale, in quei soggetti musicalmente sofisticati rispetto a quelli che non lo erano ( Birbaumer et alii 1996).
Questo legame tra maturità o evoluzione e complessità non è ipotizzabile solo lungo le vie che abbiamo immaginato ma fa parte anche della nostra personale evoluzione, una sorta di “ontogenesi che ricapitola la filogenesi” che vede nel percorso culturale di ognuno di noi un passaggio continuo dal semplice al complesso, sia come evoluzione normale del gusto e affinamento estetico dovuto all’esperienza, sia anche come vera e propria necessità fisiologica che, semplicemente, potremo definire: fuga dalla monotonia.
Nel percorso di ciascuno di noi però questo cammino segue la naturale sequenza della durata della vita, che non è eterna, ripetendosi magari con lo stesso livello di complessità in quelli che verranno subito dopo. Quello che varia nelle correnti di pensiero o artistiche è che la propria esperienza artistica personale non può prescindere da quello che è stato fatto: non si può riscoprire la Teoria della Relatività Generale né ridipingere la Gioconda, perché se anche colui che effettuasse queste performance non avesse mai avuto contatto con gli originali comunque perderebbe gran parte del valore che chi lo ha preceduto si è guadagnato. Sia nelle scienze che nell’arte vi è l’obbligo di percorrere nuove strade, da una parte con più vincoli, dall’altra con meno. Ma sempre di cose nuove si deve trattare. Oggi, un novello Leonardo che non facesse altro che ripetere i prodigi dell’originale sarebbe trattato, anche se non da copista, comunque da non-originale, bravo esecutore, ma non artista e inventore.
Ed è appunto assecondando queste considerazioni che nasceva il quesito se vi sia un limite alla complessità sperimentabile, dopo della quale l’arte cessa di essere un fenomeno fruibile dallo spettatore e diventa un trattato vero e proprio. Forse accadrà in conseguenza di un aumento generale del livello culturale, in quello che sembra un progresso senza fine verso la ricerca dell’assoluto, sta comunque di fatto che oggi come allora, attore o spettatore dell’arte, l’uomo sembra averne una dipendenza che è quella tipica dello scopritore, in cui ogni nuova scoperta, sua o di altri, non è che l’affermazione di questa atavica dipendenza.
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E.B. Merrill, Ethnology, 1987.
R.P. Taylor, B. Spehar, J.A. Wise, C.W.G. Clifford, B.R. Newell and T.P. Martin, Perceptual and Physiological Responses to the Visual Complexity of Pollock’s Dripped Fractal Patterns, Nonlinear Dynamics, Psychology, and Life Sciences, 2003
http://citeseerx.ist.psu.edu/viewdoc/download?doi=10.1.1.96.8308&rep=rep1&type=pdf
N. Birbaumer, W. Lutzenberger, H. Rau, G. Mayer-Kress, I. Choi, C. Braun, Perception of Music and Dimensional Complexity of Brain Activity, International Journal of Bifurcation and Chaos, 1996.
http://citeseerx.ist.psu.edu/viewdoc/download?doi=10.1.1.48.3277&rep=rep1&type=pdf
Bello! Mi piace! Ero certa che avresti dato anche tu un bel contributo per questo Carnevale della fisica.
RispondiEliminaGrazie, per il momento, ma fino al 29 c'è tempo ... se ti esce qualcosa d'altro ...
weeeeeeeeeeeee pascucciiii buon lunedi dall'unico blog alto due metri e tre ahahaajahjajahajahahjah
RispondiEliminabuon giorno pascuccetto
RispondiEliminabacio ;)
Pascucci ,le faremo sapere senza dubbio ,l'unica cosa che vi chiedo e pazienza ,mi faccio viva io !!! OK ? ;)
RispondiEliminaCi sono tante cose nella vita per cui fremere ...pascuccetto su un po' di contegno ..please !!!
RispondiEliminadico che ho esagerato? magari sono addiruttura asessuati?
RispondiElimina...bravo paopasc!
RispondiEliminaɾɐɥɐnɐɾɐɥɐnɐɾɐɐɥɐnɐɥnɐɥɐnɯ ɐzuɐɹɐd ɐɐɔ ɐzuɐuuɐ,s ɐzuɐd oɥɔuɐs ǝɹʇuǝɯ ǝɹʇuǝɯ oʇʇǝssoɹ ןoɔ oʇʇǝuǝɹıs ןı ɐɟ ǝɥɔ oʇʇǝɹɐuıɹɐɯ ןǝq ןı ɐpɹɐnƃ ɐɔsoן ɐɔsoɯ ɐɔsoɟ ɐן ıɔɔnɔsɐd oɹɐɔ
RispondiEliminaCarnevale della Fisica, dunque. Bel contributo, come sempre!
RispondiEliminaCongratulations!
Riguardo al rapporto tra la scoperta dell'artista e quella dello scienziato,l'atto creativo in entrambi i processi viene inteso come un mezzo di ricerca. Come dire,ogni momento storico ha una propria visione dello spazio e di ciò che lo occupa. è un'operazione tutt'altro che trascurabile e insignificante.
RispondiEliminaBell'articolo!
grazie joe,
RispondiEliminaAnna, me lo dai un sei allora? visto che siamo nel periodo giusto, ahahahaah. Grazie, cara.
Carla, infatti scrivendo pensavo proprio al tuo lavoro, ma tu hai preparato qualcosa per il Carnevale di Emanuela?
Certo Paolo:lo sto ultimando,a giorni lo pubblico.
RispondiEliminaCiao!
weeeeeeeeeeeeee buon giorno dal neurotizzato pascicci
RispondiEliminauhmmm credo che con l'enorme culo che si ritrova l'italcalcio i sorteggi ci diranno bene
RispondiEliminaCIAO PAO , TUTTO OK ?
RispondiElimina.
SEMPRE COSE INTERESSANTI DA QUESTE PARTI
.
UN SALUTO .
Paopasc, è un bellissimo post, anche se si riferisce all'arte "occidentale", così come l'abbiamo studiata noi. Il passaggio dal Semplice del graffito rupestre al Complesso dell'arte concettuale e astratta non è così natural-lineare, è piuttosto storico-culturale e qualcuno dice atavico, nel senso di genetico. L'icasticità dell'arte egizia, così come quella simbolica delle civiltà precolombiane, ad esempio, non è poi così distante dalle soluzioni delle avanguardie di inizio '900. Credo che l'arte inventi, la fisica scopra, la matematica sogni. Sono 3 aspetti della ricerca di se stessi, o la spasmodica ricerca di Uscire, da se stessi.
RispondiEliminaE poi se uno postula di essere un artista, si ingenera la falsa aspettativa che costui possa dire o fare qualsiasi cosa.
Quindi siamo tutti artisti, perciò l'arte esisterà sempre. Toh... come la fisica, e soprattutto come la matematica.
Scusa le banalità che ho scritto, ma sono dipendente dal cercare, perchè a cercare si evita di pensare.
"L'arte è l'idiozia della mente travestita da profondità". Forse... E meno male.
Non mi puoi contestare il mio personalissimo ed estemporaneo aforisma, se non con un altro di pari attaccabile Idiozia. E' divertente, vero?
B
Petta lì che adesso ti aforismizzo io.
RispondiElimina(Come "anche se"? io cado dalle nuvole, o meglio, cado in sollucchero!)
hola Corvo! todos bien! cioès, insommas....ahahahah
Se così fosse, cioè che il riferimento naturale a quanto ipotizzato vale solo per l'arte occidentale, non potrei pretendere di spiegare un fenomeno mentale ma solo uno culturale, il che potrebbe essere ugualmente lodevole ma non è quello che intendevo. Detto questo non ho verificato se l'arte orientale ha seguito lo stesso processo pensato per quella occidentale, ma mi sembrerebbe assai strano osservare una stagnazione ripetitiva.
RispondiEliminaIn secondo luogo, certo che il passaggio dal semplice al complesso non è così lineare, ma spero di non aver dato questa impressione. L'idea di fondo era quella di paragonare l'evoluzione estetica di ognuno di noi, o piuttosto l'esigenza estetica generica di ognuno di noi, che va dal semplice dello zecchino d'oro al complesso dei kiss o bartok.
Non riesco a immaginare un artista che riproduce quanto ha fatto un altro, se non per citazione.
La tua ripartizione tripartita arte, fisica, matematica mi piace, e quanto alla ricerca di sè ... si anche in questo caso potresti essere nel giusto, nel senso che il coinvolgimento emotivo forzatamente introduce il sè all'interno del discorso.
Il tuo aforisma mi gusta e cerco di rispondere con uno che si avvicini qualitativamente.
"La profondità è una necessità di chi non riesce a adeguarsi alla superficie".
"Espandersi è uno sprofondare in lungo e in largo". "Lo spessore è calibrato per convenzione" "La sigaretta si riduce la vita vivendo, per regalare emozioni. Indi : La sigaretta è un Dono dell'Uomo all'Uomo."
RispondiEliminaAvevo capito la tua idea e Bartòk segnava il passaggio da Clementi a Chopin, nelle cadute e nell'interpretazione. Come si arriva a Debussy? Bisogna incontrare Mozart prima, ma Mozart non hai mai finito di incontrarlo, vero? E Ravel è ipnotico anche senza Mozart. Chi cita chi?
forse chi viene prima sottrae idee, e bisogna cercarne altre. Citare va bene, ma chi è quell'artista che si accontenta solo di citare? io posso solo citare, ma l'artista vuole creare qualcosa all'interno del quale vi è la citazione.
RispondiEliminaLa citazione, all'interno dell'altro, non può mica muoversi tanto, le è consentito solo un movimento ridotto.
Il Senso del Bello fa parte di quei criteri non logici (illogici? prelogici?) che ci orientano spesso proficuamente in ogni attività, compresa quella scientifica matematica, e perfino logica. Ho la sensazione che matematici e artisti in fondo indaghino lo stesso universale segreto... e questa "sensazione" è ispirata proprio da quel primordiale senso di ordine e di bellezza che pervade tutte le cose!
RispondiEliminaPochi non sarebbero d'accordo con quanto dici, Profeta. Resterebbe da individuare, se il primo motore è simile, dal punto di vista mentale, cos'è che fa divergere i due tipi di indagine?
RispondiEliminaBella domanda. Boh. Uno incalza la bellezza cercando di analizzarla, l'altro cercando di riprodurla. Uno parte dal dato per risalire alle cause, l'altro muove dal creare per vedere l'effetto che fa. Cosa fa divergere quest'approccio bottom-up da quest'altro top-down? E' la prima risposta quella che conta: boh.
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