Nemmeno chi si cura di te nell'infanzia, i tuoi genitori, lo fa senza alcun motivo. Ciò che li spinge è la forza dei geni, il retaggio filogenetico, che li obbliga a prendersi cura di qualcosa su cui si è investito così tanto. Per parte sua, il piccolo, non è che se ne sta indolente a non far nulla per ottenere queste cure: già l'aspetto fisico contribuisce, per non parlare dei sorrisi e di tutto il repertorio infantile, che sono strategie ottime per avvincere coloro che devono accudirti. E infatti, nei casi più difficili, quando per qualche patologia il piccolo non stimola l'accudimento se non con il solo aspetto fisico, come nel caso dell'autismo, i genitori spesso devono essere aiutati.
Non chi serve al ristorante nè chi visita nel suo ambulatorio, e nemmeno chi ti patrocina davanti al giudice. Ma neanche chi ti ha sposato, chi ti ritrova per parente, o chi è diventato tuo amico: nessuno di costoro, tu compreso, fa niente per niente.
Però, è giusto così. Non è una cosa da "umani", è una cosa naturale. Anche chi presta gratuitamente la sua opera in aiuto ai bisognosi lo fa per un motivo, motivo definibile come altissimo, ma pur sempre per un motivo. Quindi, non dobbiamo scandalizzarci, anche se l'affermazione iniziale "nessuno fa niente per niente" è da noi intesa nel senso che la gente, di solito, agisce per un interesse materiale, e quasi mai agisce per un moto dell'animo, per un impulso solidale. A dirla tutta, questa non è una verità al 100%. Ci si avvicina molto, ma non lo è al 100%, perchè si trova sempre qualcuno che, magari senza ragionare, agendo d'impulso, pure si getta nel pericolo per aiutarti. Pochi, ma ve ne sono.
Lo scettico ha la risposta anche a questo. E' la conseguenza indesiderata di un tratto comportamentale: l'altruismo. Come dire: una conseguenza dell'essere molto alti è la difficoltà di trovare abbigliamento su misura e così una conseguenza dell'essere altruisti è aiutare gli altri, anche se magari non sono tuoi parenti.
Anche in questo caso si può dire: uno che è altruista di suo, se gli capita un fatto che stimola questo suo tratto, agisce generosamente. E' come la madre col suo piccolo: non lo sa, ma molto del suo amore è una questione di come siamo fatti, è una disposizione adattiva, in quelle specie che accudiscono la prole.
Ora, a costo di apparire blasfemo, mi viene da dire che neanche il concetto più spirituale che possediamo, Dio, fa niente per niente. Egli vuole il nostro amore e il nostro rispetto. Vuole essere pregato per intervenire in nostro favore, si comporta con noi come noi ci comportiamo con gli altri, e chiede che il Suo nome venga pronunciato con rispetto, non invano. Insomma sembra come un genitore un po' severo, con tante regole da rispettare, ma in fondo buono. Egli desidera essere ubbidito, anche se la punizione, molto spesso, è rimandata. Però, nella Sua severità, è anche generosissimo, perchè basta che ti penti -sinceramente- e Lui si scorda tutto.
Egli dunque vuole una dedizione totale a Sè.
Se io fossi Dio però, non vorrei amore per me. Forse neanche questo Dio cristiano lo rivendica a Sè, forse è solo un modo che Lui adotta affinchè prevalga in senso orizzontale l'amore tra gli uomini: obbligare ad amarLo per amare in realtà tutti quanti gli altri. Sta di fatto che molto della dottrina che i suoi rappresentanti in Terra diffondono implica anche un rispetto e un amore personali, riferiti cioè a Lui, come ricompensa dovuta.
Se io fossi Dio desidererei solo il rispetto tra gli uomini, che è un parente alla lontana dell'amore, ma è pur sempre un parente. Però non so dire esattamente perchè vorrei così. Cioè, da umano lo so: ogni cosa che porta beneficio, seppure indiretto, a me è desiderabile. Diffondere rispetto e solidarietà giova a tutti, indistintamente. Nei panni di Dio però, che ovviamente da questa diffusione non trae nessun giovamento -inteso sia come beneficio indiretto che come beneficio diretto- mi rimane un po' difficile comprendere perchè dovrei farlo. Per quale motivo dovrei volere il bene di tutti, nei panni di Dio? Già altre volte avevo discusso dell'impossibilità di definire il bene assoluto, stante l'evidenza che a volte il bene mio può trasformarsi nel male tuo. E mi chiedevo se si dessero casi in cui potesse esistere un bene assoluto, che non causa cioè nessun danno. Quella volta risposi no.
La diffusione di un rispetto e un amore orizzontale tra gli uomini serve a uno scopo: posto che a volte il bene di uno si trasforma nel male dell'altro, contribuire a diffondere la capacità di sopportare un male lieve in favore di un bene altrui rende la vita migliore. In attesa di scoprire che esiste una vita oltre la morte dobbiamo occuparci della vita prima della morte e cercare di non trasformarla in una lenta agonia. In questo senso, la sopportazione di un piccola privazione a favore dell'altro diffonde uno spirito.
Ma perchè Dio dovrebbe volere l'aumento della felicità generale tra tutti gli uomini? Perchè dovrebbe volere questa diffusione di spirito caritatevole? L'unica cosa che posso pensare, per ora, è questa: evidentemente Egli non vuole (o non può) intervenire direttamente nelle umane cose. Desiderando il bene diffuso quanto più possibile e non volendo intervenire direttamente, Egli potrebbe diffondere questo sentimento nelle menti degli uomini in maniera indiretta, affinchè siano loro stessi a migliorare le loro condizioni.
Resta comunque da capire perchè creare un genere di biologia che non contempla il bene assoluto, in cui mors tua vita mea. Poi, perchè creare un organismo che è in grado di rendersene conto? In fondo, l'ipotesi dell'inesistenza di Dio, seppure meno conveniente a livello individuale (come diceva Pascal), stante queste considerazioni è la cosa più logica da pensare. Ci sono molti meno problemi se si toglie di mezzo Dio, nel senso che non si deve rispondere a così tante domande, a tante altre sì, ma non a queste.
Per concludere, un'ipotesi sulla necessità dell'esistenza di Dio. L'esistenza di una relazione tra eventi che ci capitano e nostri comportamenti è una cosa nota, alla quale indulgono tutti, più o meno. C'è bisogno di una spiegazione ultima, e Dio, nella sua inspiegabilità, lo è. Ma, come si noterà, ogni popolo crea il suo Dio. E così, il Dio degli ebrei è diverso da quello dei cristiani, che è diverso da quello dei mussulmani che è diverso da quello degli indù e così via. La situazione storica influisce pesantemente sulle caratteristiche divine. Così, il Dio ebraico è quello della terra promessa, perchè gli ebrei cercavano una terra nella quale crescere senza subire invasioni, quello cristiano è quello degli ultimi, perchè, inizialmente, vi aderirono gli ultimi (gli ultimi saranno i primi Matteo 20, 1-16) eccetera.
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Dio è dunque una ricostruzione mentale del futuro desiderato. Ciò a cui noi tendiamo. Se rimanesse nel suo mondo immaginario servirebbe solo per un attimo, un piccolo frangente di vita, in cui darebbe un po' di sollievo e poi si tornerebbe alla triste realtà. Se invece lo si trasporta nel mondo reale, cercando di sottoporlo alla decisione, allora il suo effetto benefico sarà più duraturo. Come tutte le cose fantastiche portate nella realtà, c'è il problema di mantenere la stessa capacità di essere convincente. Un sogno, per esempio pensare di essere superman, trasportato nella realtà, dove non siamo superman, comporta, per continuare ad essere convincente, che noi confabuliamo, cioè ci auto-convinciamo, dandoci spiegazioni a volte inverosimili, che noi siamo veramente superman ma non ci manifestiamo perchè altrimenti scateneremmo il panico, e così via. Chi confabula nega una realtà discretamente obiettiva per una realtà che conosce lui solo. Se questa realtà che conosce lui solo si riesce a trasferirla ad altri, questo aumenterà la sua credibilità, portando a pensare che questo mondo immaginario, nel quale non si può decidere, per il fatto che tanti altri lo vedono sia in definitiva reale. E così nasce Dio. E così si capisce anche perchè Dio vuole ciò che vuole: perchè così vuole chi lo ha immaginato.
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