Le Associazioni dei consumatori sono sul piede di guerra. E giustamente. Come riporta il Corriere oggi e come segnalato sui siti delle associazioni, all'aumento di 1 punto percentuale dell'Iva non corrisponde l'aumento di 1 punto percentuale del prezzo delle merci (misura già abbondante rispetto a quella effettiva) ma può arrivare anche a un 7% in più (Iva, rincari boom). Molti altri sono i casi di aumenti non giustificabili con l'aumento di 1 punto dell'Iva, su prezzi che le varie associazioni hanno verificato sul campo.
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Ma come dovrebbe essere fatto un aumento Iva secondo le regole? L'aumento dell'Iva, che significa appunto imposta sul valore aggiunto, è un'imposta che si applica al prezzo netto della merce. L'Iva per le aziende non è un costo mentre lo è invece per il consumatore finale. Appunto perchè imposta sul valore aggiunto va calcolata sugli imponibili al netto dell'Iva. Questo, rispetto al prezzo finale, si riduce ad un aumento inferiore all'1% e cioè circa allo 0,83%. Quindi, per sapere di quanto deve aumentare una qualsiasi merce soggetta all'aliquota del 21% basterà applicare un aumento dello 0,83% sul prezzo finale precedente. In pratica, nell'esempio della tabella sopra, il prezzo del cd musicale a 19,40 euro, in seguito all'aumento dell'Iva diventerà
19,40 + (0,83) 19,40/100 = 19,56
L'1% sul prezzo finale è un'approssimazione in eccesso, ma serve ad orientarsi. Di seguito una tabella (con dati arbitrari) di come dovrebbe essere fatto l'aumento e di alcuni possibili errori.
Quindi, tutti gli aumenti superiori allo 0,83% sul prezzo finale non sono imputabili all'aumento dell'Iva.
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