mercoledì 7 settembre 2011

Intercettazioni e parlamentari: chi parla con l'onorevole è libero?

L'articolo 68 della Costituzione recita

I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni.

Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza.
Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazione, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza.
E' giusto allargare l'impossibilità di intercettare un parlamentare anche a tutti quelli che parlano con lui, quando le parole del parlamentare sono debitamente rimosse? Anche se costoro sono intercettati in maniera indipendente dal parlamentare per indagini personali e hanno casualmente una conversazione con l'onorevole? E se invece l'intercettazione prova un illecito del parlamentare? La normativa prevede che, per essere ammissibile, l'intercettazione di un parlamentare, o è autorizzata preventivamente dalla Giunta oppure deve avvenire in maniera indiretta. [1]

In sostanza, una sentenza della Corte Suprema [1] ha stabilito che l'intercettazione indiretta può essere usata senza il nulla osta della Camera se il parlamentare non entra nel procedimento, mentre deve essere richiesta se il parlamentare entra nel procedimento. Se il nulla osta viene negato però non è necessario distruggere le intercettazioni.

La questione sorge con il caso Ruby, che vede coinvolto Silvio Berlusconi. In quella occasione, infatti, secondo la difesa, le intercettazioni vennero effettuate a rete (cioè vennero intercettati tutti i telefoni mobili presenti nella zona) e lo scopo  «era il controllo del presidente del Consiglio», così un virgolettato del Corriere.
Dunque, richiesta del premier di completa inutilizzabilità di quelle intercettazioni alla Giunta.

Torna quindi prepotente il quesito esposto sopra, gravato dal sospetto di un processo alle intenzioni: i magistrati avevano o  no intenzione di intercettare il Presidente del Consiglio? Evento improbabile, essendo virtualmente  impossibile l'ignoranza dell'articolo in questione da parte degli inquirenti. Dunque? Il tema resta valido con riguardo a tutti i casi in cui, insieme a un imputato, viene intercettato un parlamentare.  
Se da quelle intercettazioni spuntano prove del coinvolgimento in fatti penalmente rilevanti del parlamentare,  possono essere utilizzate, eventualmente, contro di lui?  La normativa prevede l'approvazione della Camera ex post sulle cosiddette intercettazioni indirette. [1] [2] Nelle intercettazioni indirette però il requisito fondamentale è non sapere a chi appartengono i numeri intercettati, per sperare di ottenere l'autorizzazione dalla Camera.
Sembra quindi pretestuosa la richiesta di annullamento sulla base di una presunta volontà degli inquirenti di intercettare Berlusconi, per l'impossibilità  di ignorare le norme in vigore che avrebbero portato all'annullamento. Pure, si potrebbe anche ipotizzare un tentativo di aggiramento dell'articolo 68  da parte dei magistrati, che ci hanno provato pur non potendo non sapere.
Tema di non facile soluzione che però richiede una attenta valutazione delle conseguenze di una diffusa impunità da contatto. Infatti, la Corte sostiene che

 La distruzione di una prova legittimamente formata, che impedisca, di fatto, l’utilizzo delle intercettazioni anche nei confronti di terzi che, solo occasionalmente hanno interloquito con il parlamentare, ha rappresentato sino ad oggi “una immunità a vantaggio di soggetti che non avrebbero comunque ragione di usufruirne” [1]
E, d'altra parte, l'intercettazione indiretta del parlamentare dovrebbe garantire l'inquirente dalla volontà dall'accusa di voler andare contro l'articolo 68, visto che 
il precetto costituzionale persegue l’obiettivo di “porre a riparo il parlamentare da illegittime interferenze giudiziarie nell’esercizio del suo mandato [1]
e non rappresenta un'immunità  sic et simpliciter.
Altrimenti si rischia di fare come in quel gioco, tana libera tutti: chi parla con il parlamentare è libero.



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