Liberalizzazioni e burocrazia sono, come si dice, due facce della stessa medaglia. Vi si ritrovano le medesime resistenze al cambiamento, la stessa difesa dei propri privilegi e delle proprie rendite di posizione. Qualsiasi modifica dell'assetto esistente è vista come pericolosa e destabilizzante. E' lo specchio del ritardo italiano, forse una voce che pesa sulla credibilità internazionale dell'Italia, unita a un certo rifiuto dei giovani per gli impieghi manuali, alle barricate dei sindacati e all'incentivo alle diseguaglianze, attuato premiando le raccomandazioni e non il merito.
Su tutto questo, ora, si instilla l'intento governativo delle liberalizzazioni, per dare spazio alla concorrenza e ai giovani. Monti le chiama le protezioni che avvantaggiano chi sta dentro la roccaforte e danneggiano chi sta fuori. Il che è sicuramente vero, anche se c'è da notare che il recente referendum sulla privatizzazione dell'acqua che ha avuto esito negativo, conferma che alcune liberalizzazioni sono sgradite all'opinione pubblica. Ma altre si possono e si devono tranquillamente fare. Sono il retaggio di un'epoca borbonica, di un modello di accesso alle professioni di stampo medioevale. Periodo storico però al quale è rimasta ancorata anche la nostra burocrazia: lenta, spesso inutile, farraginosa, indisponente, anti-tecnologica e incollata in modo durevole ai propri privilegi.
E allora mi viene da chiedere: a quando una liberalizzazione anche nel settore burocratico?
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